
Il documento distingue tra eutanasia attiva e passiva in una «riflessione» che tocca il caso Cappato. Gli esperti divisi a metà sulla depenalizzazione e la stampa strumentalizza il documento. Ma il presidente Lorenzo D'Avack corregge: «Nessun sì al suicidio assistito».«Nessuna apertura alla legalizzazione del suicidio assistito, ma soltanto un valido strumento per indicare nodi, criticità ed elementi positivi al legislatore, che potrebbe avere un approccio favorevole ma anche contrario al tema». Il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D'Avack, definisce così il documento redatto dal Comitato che parte da un caposaldo: il suicidio assistito è «diverso dall'eutanasia». Un documento fatto di informazioni chiare sui pro e i contro, uscite da un Comitato che, durante la plenaria dello scorso 18 luglio, si è diviso a metà, segnando una netta divergenza di opinioni tra i suoi componenti, testimoniata nel testo stesso perché, come si ribadisce, «il Cnb è un organismo consultivo, al cui interno vi sono differenti posizioni ideali e culturali: su un tema così delicato come il fine vita tali posizioni si sono confrontate senza formare maggioranze o minoranze, quasi fosse un'assemblea elettiva. Di esse il parere dà conto, al punto che chi ha espresso il proprio voto ha poi avuto modo di redigere una postilla in coda al documento». Tra chi era favorevole alla legalizzazione e chi contrario, ribadendo come «la vita deve essere affermata come principio essenziale», la discussione si è soffermata sul significato dell'aiuto al suicidio assistito, sulle sue modalità di attuazione, su analogie ma anche «importanti differenze» con l'eutanasia e sui temi etici più rilevanti e delicati attinenti alla richiesta di suicidio assistito: l'espressione di volontà della persona, il consenso informato, i valori professionali e la deontologia del medico e degli operatori sanitari. Alla fine però la condivisione c'è stata sulle 6 «raccomandazioni» che dovranno essere considerate dal legislatore una sorta di linea guida per «svolgere una riflessione sull'aiuto al suicidio a seguito dell'ordinanza n. 207/2018 della Corte costituzionale». Il riferimento è al caso di Marco Cappato, che aiutò a portare in una clinica svizzera dove morire dj Fabo, e «alla sospetta illegittimità costituzionale dell'art. 580 del codice penale», vale a dire il reato di istigazione al suicidio su cui il Parlamento deve legiferare entro ottobre. I componenti del Comitato hanno redatto il documento per fare chiarezza, distinguendo il suicidio assistito («è l'interessato che compie l'ultimo atto che provoca la sua morte, atto reso possibile grazie alla determinante collaborazione di un terzo») dall'eutanasia (un atto il cui obiettivo è «anticipare la morte su richiesta al fine di togliere la sofferenza») e fornendo elementi utili ad affrontare un dibattito molto difficile e delicato insieme all'esigenza di «conciliare i due principi, così rilevanti bioeticamente, della salvaguardia della vita umana da un lato, e dell'autonomia e dell'autodeterminazione del soggetto dall'altro».Il Comitato raccomanda, inoltre, «l'impegno a fornire cure adeguate ai malati inguaribili in condizione di sofferenza», e chiede che tutti i pazienti siano adeguatamente informati sulle possibili cure palliative. Indispensabile anche promuovere la partecipazione dei cittadini alla discussione etica e giuridica sul tema, nonché incentivare la ricerca scientifica biomedica e psicosociale e la «formazione bioetica degli operatori sanitari in questo campo. Il parere del Cnb è anche uno scossone per il Parlamento perché arriva a poco meno di 2 mesi dalla data del 24 settembre, quella cioè fissata dalla Corte Costituzionale come termine ultimo per riempire quel «vuoto normativo costituzionalmente illegittimo» che c'è a proposito di suicidio assistito. Se il legislatore non agirà per valutare il conflitto tra divieto assoluto di aiuto al suicidio e l'autodeterminazione del rifiuto dei trattamenti e la difesa della dignità umana, lo faranno i magistrati. In sostanza, è richiesta la modifica del già citato articolo 580 . La posizione degli alleati di governo sulla questione è piuttosto distante. Il M5s propone una legge a firma Sarli-Trizzino molto liberista, che prevede la somministrazione della buona morte a malati terminali maggiorenni in ospedali pubblici senza spese per il paziente. Autorizza anche l'obiezione di coscienza per il medico. Molto diverso è il testo avanzato della Lega (Pagano-Turri) che punta ad accompagnare il malato al fine vita senza mai togliere la speranza, mantenendo il reato di aiuto al suicidio. La proposta modifica anche la legge sulle Dat, le disposizioni anticipate di trattamento, vietando di interrompere nutrizione e idratazione. Si prevede inoltre un albo dei medici obiettori nei confronti delle Dat. Secondo i pentastellati la proposta della Lega è inaccettabile perché non prevede alcuna depenalizzazione, cosa che la Corte aveva invece chiesto venisse contemplata in alcuni casi. Nessuna proposta invece dal Pd che, come Forza Italia, aveva però condiviso la proposta del M5s come «unica via per arrivare in tempi brevi a un testo largamente condiviso». Esistono infine altre 3 proposte: una firmata da Cecconi (Misto, ex grillino) e un'altra da Rostan-Conte (Leu) che introdurrebbero la disciplina dell'eutanasia all'interno della legge sul biotestamento. È stata invece esclusa dagli esperti la proposta di legge di iniziativa popolare firmata da 130.000 cittadini.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






