
La dispensa come farmacia: i consigli da seguire per restare in forma e ottenere protezione naturale dai nemici dell’organismo. Perché l’uomo è ciò che mangia.È possibile pensare alla dispensa come a una farmacia? Certamente sì, visto che già il filosofo Ludwig Feuerbach, recensendo il tomo del medico e fisiologo Jakob Moleschottle Trattato dell’alimentazione per il popolo del medico, pubblicato in Germania nel 1850, scrisse che l’uomo è ciò che mangia e poi esplicò questa sua arcinota massima nel saggio del 1862 Il mistero del sacrificio o l’uomo è ciò che mangia. Che il cibo possa essere medicina o veleno, in ragione innanzitutto delle quantità, lo sapevano prima e dopo Feuerbach, lo sappiamo anche oggi, ma a volte non sappiamo esattamente in che modo. Cioè come e perché il modo in cui ci alimentiamo può far bene e come e perché può far male. E forse non ci interessa nemmeno, perché pensiamo sempre di più al cibo come sapore e non come contenuto chimico. Le librerie ormai esplodono di cookbook (bene!), ma anche di libri che si posizionano tra il saggio, il manuale scientifico, la regola di vita e il ricettario, che ci vogliono spiegare come mangiare per vivere bene e spostano l’ago della bilancia dal gusto alla chimica degli alimenti. In questa categoria rientra Food Pharmacy. Il cibo è la migliore medicina di Lina Nertby Aurell e Mia Clase (Vallardi). Il manuale promette di insegnare a ottenere: batteri intestinali felici; messa al tappeto dell’infiammazione; nuova visione del cibo; microbiota rinvigorito; glicemia stabile; energia in più; più possente massa muscolare. E si incarica di spiegare vari meccanismi vitali e nutrizionali e l’interazione tra gli stessi: quella sbagliata, che portiamo avanti inconsapevolmente, e quella ideale, che potremmo ottenere seguendo i loro consigli, basati sulle ricerche effettuate dal dottor Stig Bengmark sulla correlazione fra infiammazioni croniche e alimentazione. infiammazioni cronicheCominciamo dal principio: poiché mangiamo troppo, mangiamo male e mangiamo troppo male, viviamo in uno stato perenne di infiammazione cronica che ci conduce a invecchiare precocemente, oppure in corrispondenza con la nostra età ma male e anche a molte malattie. Ma che cos’è questa infiammazione cronica? C’è differenza tra la comune infiammazione e l’infiammazione cronica. La definizione clinica di infiammazione è: «Risposta dell’organismo a fattori che provocano danni». L’infiammazione è solo la naturale reazione del corpo per contrastare intrusi come batteri, tossine e virus. La zona colpita attira dal sangue le cellule atte alla risposta immunitaria, ovvero i globuli bianchi, i quali rilasciano diversi meccanismi di difesa per riparare gli eventuali danni verificatisi. In questo senso l’infiammazione è un fatto positivo. Con un’unica eccezione: l’infiammazione cronica, di lunga durata e persistente. Questo tipo di infiammazione rappresenta per l’organismo un danno, tanto quanto un’infiammazione temporanea rappresenta l’opposto. L’infiammazione cronica nasce quando si indeboliscono le difese immunitarie: «Ogni volta che respiriamo, introduciamo nei nostri polmoni circa 5 decilitri di ossigeno. Una volta insediatosi nei polmoni, l’ossigeno si diffonde nel sangue per fornirgli energia. Nel corso di questa trasformazione non si sprigiona soltanto l’energia essenziale per la vita, ma anche alcune sostanze chiamate radicali liberi, che in grandi quantità danneggiano le cellule dell’organismo e causano infiammazione. Della produzione di radicali liberi è responsabile anche il nostro stile di vita. Se non ci prendiamo troppa cura di noi, anzi, ci abbandoniamo a un’alimentazione sbagliata, allo stress, al fumo, infischiandocene di fare un po’ di movimento, ebbene, tutto questo produce una quantità di radicali liberi contro i quali l’organismo non riesce a difendersi». «Questo provoca a sua volta», si legge ancora, «un indebolimento delle difese immunitarie, con la conseguenza che lo stato infiammatorio diventa cronico. Gli antiossidanti sono in grado di contrastare efficacemente i radicali liberi. Ci difendono dai danni che questi provocano alle cellule. Il nostro organismo riesce a produrre una piccola quantità di antiossidanti, che oltretutto si assottiglia con l’avanzare dell’età. Intorno ai 25 anni tale produzione cessa del tutto, e a quel punto diventa fondamentale per noi assumere antiossidanti attraverso il cibo, sotto forma, tra l’altro, di verdura, frutta e bacche (frutti di bosco) che grazie alla sinergia con i batteri intestinali difendono la nostra salute». La maggior parte delle nostre difese immunitarie risiede nell’intestino: le cellule immunitarie delle pareti intestinali collaborano coi batteri buoni. Batteri buoni? Sì. Come sappiamo, il nostro microbiota intestinale è il complesso di microrganismi (batteri, funghi, protozoi e virus) che colonizza il nostro intestino. Le autrici di Food Pharmacy ricordano che «le ricerche dimostrano che i batteri dell’intestino crasso possono non solo influire sull’insorgenza di una lunga serie di patologie, come diabete, allergie, asma, sclerosi multipla, autismo, problemi cardiaci e alcune forme di cancro, ma sono anche in grado di comunicare con il cervello e regolare il nostro peso corporeo, la nostra personalità e persino il nostro comportamento». cura del macrobiotaSulla scia di studi che mostrano come anche la depressione clinica possa essere collegata a problemi del microbiota, le due food blogger (Food Pharmacy è nato prima come blog, poi come libro) spiegano: «Esistono più collegamenti fra l’intestino e il cervello di quanti ne immaginassimo, tanto che alcuni ricercatori hanno iniziato a chiamarlo “il nostro secondo cervello”». I batteri Gram+, quasi tutti benigni e perciò chiamati buoni, ci proteggono dalle malattie, quelli Gram- sono detti cattivi perché per la maggior parte causano malattie: «In condizioni di vita ottimali, possiamo contare su circa 100 miliardi di batteri buoni (di 1.000 specie diverse) nell’intestino e ci dovrebbe essere circa un batterio cattivo ogni milione di batteri buoni, ma considerando le abitudini alimentari del nostro tempo questo rapporto non è neppure lontanamente immaginabile». Anzi, nella nostra pancia di sconsiderati mangiatori senza freni nella società dell’abbondanza è in corso una guerra permanente tra batteri buoni e batteri cattivi. Le regole per preservare e ottimizzare (aumentare i tipi di batteri buoni) il nostro microbiota sono: innanzitutto assumere probiotici e simbiotici. Nostra nota: i probiotici sono organismi vivi che assumiamo tramite alimenti o integratori e colonizzano l’intestino, i prebiotici invece sono sostanze organiche, come le fibre, che stimolano la crescita dei batteri buoni che costituiscono il microbiota e i simbiotici sono alimenti, farmaci o integratori che contengono miscele di probiotici e prebiotici. Mangiando i giusti alimenti, per esempio molte verdure crude, fibre vegetali, antiossidanti, minerali e grassi buoni, aumentiamo e nutriamo i batteri buoni, i quali rafforzano le pareti intestinali in modo che non lascino filtrare sostanze tossiche che possano inquinare la circolazione del sangue e il resto dell’organismo. I batteri buoni si trovano nell’intestino crasso, ma se mangiamo soprattutto o esclusivamente alimenti che vengono assorbiti dall’intestino tenue i batteri buoni restano senza cibo, e se gli antiossidanti calano, calano anche le difese immunitarie: «Il cibo che viene assimilato nell’intestino tenue, facendo salire troppo rapidamente il livello degli zuccheri nel sangue, fa sì che gli organi deputati al suo smaltimento, come il fegato e il pancreas, si affatichino nella lotta per respingere il più in fretta possibile gli zuccheri in eccesso, responsabili degli stati infiammatori». Ecco dunque le regole: innanzitutto, tenere sotto controllo glicemia e insulina, l’ormone che abbassa i livelli di glicemia. Poiché i dolci alimentano i batteri cattivi, bisogna ridurre drasticamente il consumo di dolci e preferire snack per esempio di verdure crude che danno energia più lentamente senza impennate glicemiche. Per l’Oms le donne dovrebbero assumere massimo 25 grammi di zucchero al giorno, ossia 6 cucchiaini, gli uomini 35 ovvero 8,75 zollette. La sindrome metabolica, incapacità di metabolizzare correttamente lo zucchero, è il primo stadio di varie malattie tra cui il diabete 2, che si acquisisce alimentandosi male. Ne possono soffrire anche persone magrissime, ma l’obesità addominale generalmente ne è sintomo. La maggior fonte di ingrasso per noi è lo zucchero: ne mangiamo troppo. occhio agli zuccheriSe un tocchetto di cioccolato ogni tanto va benissimo, il problema è che tra zuccheri occulti (in primo luogo negli alimenti conservati industriali, dalle bibite al minestrone) e zuccheri consapevoli, che cerchiamo perché abbiamo sviluppato un’assuefazione, noi assumiamo un quantitativo di zucchero, comprese le bibite zuccherate, di circa 90 chili annui a persona. Questa vagonata di zucchero danneggia il microbiota, ci fa ingrassare e ingrossare il fegato (prima del boom economico quasi solo gli alcolisti avevano il fegato ingrossato, oggi lo hanno già i bambini, nella misura di 1 su 10 in America, come il diabete 2, che è, spiega il ministero della Salute, fortemente correlato a sovrappeso e obesità, scorretta alimentazione e sedentarietà e pertanto è, in parte, prevenibile). Il consiglio è quello di eliminare per sempre lo zucchero raffinato e dopo un mese reinserire il gusto dolce nella dieta ma in quantità e qualità virtuose. Lo zucchero di qualità per Food Pharmacy è, sintetizzando, quello acquisibile mangiando la frutta: soddisfare la voglia di dolce con un po’ di frutta ci fornisce lo zucchero di cui abbiamo bisogno, ma non bisogna esagerare, né pensare che tutta la frutta vada bene. Meglio, per esempio, la banana verde di quella matura, perché in quest’ultima le fibre si sono trasformate in «zuccheri di nessun nutrimento». Bene anche i chicchi d’uva. E le macedonie con frutta acidula. Tra i trucchetti consigliati in caso di crisi di astinenza da zucchero, bere una tazza di tè verde perché stabilizza la glicemia, prepararsi uno smoothie verde o lavarsi i denti. Seconda regola, eliminare, ma noi suggeriamo di diminuire, non di eliminare, il consumo di cibi simili allo zucchero come pane, pasta, patate. Optare per un pane fatto in casa, oppure un pane fatto con farine più antiche, come quella di sorgo, sostituire (secondo noi occasionalmente, non regolarmente) la pasta di verdure alla pasta normale, mangiare le patate lesse in insalata invece che fritte. E poi, fare il pieno di verdure, alla ricerca anche di fibre solubili e insolubili: le prime si trovano in fiocchi d’avena, bacche, frutta, verdure, lenticchie, ceci, fichi, semi di girasole, fagioli, semi di lino, di sesamo e di erba medica; le seconde in verdure a foglia verde, cereali integrali e l’involucro di molti tipi di frutta secca e di semi. scegliere grassi «buoni»Le altre regole sono: limitare il consumo di carne, scegliere grassi «buoni» come quelli monoinsaturi dell’olio di oliva o dell’avocado e polinsaturi del pesce azzurro, dell’olio di semi o di lino e limitare quelli saturi dei grassi animali, eliminando quelli idrogenati, che sono grassi polinsaturi trasformati in saturi tramite procedimenti industriali e si trovano nei cibi iperprocessati, dai dolci alle patatine fritte. Poi, riequilibrare il rapporto 1:1 tra omega 3 e omega 6, ora sbilanciato verso i secondi, cercando i primi nel mare in forma di Dha ed Epa e nel regno vegetale in forma di Ala. E poi, cuocere a bassa temperatura per evitare di incappare nell’acrilammide, ossia sostanze che si legano tra loro come proteine e zuccheri detti Age (Advanced glycation end products), frutto del processo di glicazione, e proteina e grasso ossia gli Ale (Advanced lipoxidation end products) della lipossidazione: consumare Ale e Age è come fumare con lo stomaco, dicono le nostre. Anche il caffè troppo tostato è un portatore di Ale e Age. Quindi cuocere anche in forno fino a 100 gradi, i quali garantiscono la cottura interna della carne a 70 °C (ben cotta) e 50 °C al sangue e del pesce a 56 °C. Infine, riposare il corpo, non nel senso di vivere sul divano guardando la tv, perché le nostre ribadiscono sempre l’importanza di fare movimento, ma nel senso di giovarsi di una pausa che sia il più lunga possibile tra un pasto e l’altro. Si chiama digiuno intermittente e favorisce la restrizione calorica, ossia incamerare i 2/3 delle calorie necessarie. Si fa per 2 (al massimo 6) giorni la settimana limitando le ore dedicate ai pasti, anticipando quello finale prima del digiuno, per esempio la cena alle 16, e si organizza secondo lo schema 16:8, ossia 16 ore di digiuno e distribuzione dei pasti nell’arco di 8. Si può cominciare con uno schema 14:10. Semplificando, finito di bruciare il glucosio, l’organismo inizia a bruciare i grassi. Naturalmente, mangiando secondo le indicazioni Food Pharmacy.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.