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2018-05-04
Il centrodestra si compatta sull’incarico
ANSA
Nel giorno in cui si chiude il forno tra M5s e Partito democratico, il centrodestra si ricompatta in vista delle consultazioni lampo di lunedì al Quirinale. E da quel filtra, tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, l'idea sarebbe quella di proporre al capo dello Stato di dare un incarico al segretario della Lega Matteo Salvini per cercare una maggioranza in Parlamento. L'ultima speranza, infatti, è quella di trovare voti di possibili responsabili in uscita da altri partiti, soprattutto tra i grillini, in particolare se M5s dovesse spaccarsi dopo il flop del leader Luigi Di Maio. È un ultimo tentativo, che vede esclusa un'intesa con il Pd e su cui in pochi riservano speranze dati gli umori del Colle. Non a caso già ieri nel quartier generale di Silvio Berlusconi come in quello di Salvini si è iniziato a ragionare sulle elezioni imminenti - nel giro di cinque o sei mesi - come sulle prossime liste elettorali. Queste ultime, a quanto pare, potrebbero riserbare molte sorprese, sia tra gli azzurri sia tra i leghisti. Eppure Salvini pare crederci ancora nel possibile preincarico che avrebbe l'obiettivo di raccogliere consensi su un programma che riguardi la flat tax, l'abolizione della legge Fornero e il sostegno del reddito degli italiani.
In ogni caso, reduce dalla vittoria in Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga, la coalizione non è mai stata così compatta come in questo periodo, tanto che le tensioni delle ultime settimane sarebbero ormai un ricordo lontano. A dimostrarlo anche gli accordi raggiunti in vista delle prossime elezioni comunali del 10 maggio: in Toscana in tutti i 21 Comuni che andranno al voto Forza Italia e Lega vanno a braccetto. Per di più negli ultimi giorni Berlusconi si sarebbe avvicinato ancora di più al governatore ligure Giovanni Toti, da mesi ambasciatore degli azzurri con i leghisti, mentre i rapporti con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani si sarebbero raffreddati. Nel fine settimana i tre partiti della coalizione limeranno la proposta da portare al Colle, forse ci potrebbe anche essere un incontro lunedì mattina a Palazzo Grazioli per timbrare l'accordo. Intanto oggi pomeriggio il Carroccio si radunerà in via Bellerio per il consiglio federale, dove con tutta probabilità uscirà una linea condivisa.
A quanto pare la Lega continua a non voler sentire parlare di governi con il Partito democratico o di esecutivi tecnici o del presidente. Da settimane circola l'ipotesi che Mattarella possa dare un incarico alla mente economica Giancarlo Giorgetti, un progetto che avrebbe il sostegno dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dello stesso Berlusconi. C'è chi sostiene che anche i democratici potrebbero dare un appoggio, magari astenendosi in Parlamento in un nuovo inedito patto del Nazareno. Sono però solo ipotesi che circolano da giorni senza avere conferme pubbliche dai diretti interessati. Lo stesso segretario del Pd Maurizio Martina ieri chiudeva a questa ipotesi, spiegando che i democratici non avrebbero fatto parte di un governo con Berlusconi, Salvini e Meloni. La strada, insomma, appare al momento impraticabile, anche perché né Giorgetti né Salvini sarebbero d'accordo.
Oggi quindi la Lega certificherà di non voler partecipare a governi del presidente o di tregua. Al contempo, a quanto risulta alla Verità, potrebbe aprire però a un governo di scopo, con un limite di tempo ben preciso e con riforme certe, nello specifico quella elettorale. È la linea che proprio Giorgetti aveva delineato il primo maggio. «Salvini è il candidato naturale alla presidenza del Consiglio, ma noi abbiamo sempre aggiunto che Salvini è disposto a guidare un governo che abbia una solida maggioranza e una solida maggioranza in Parlamento, secondo noi, è fra il centrodestra e il Movimento 5 stelle», aveva spiegato il capogruppo alla Camera. «Altre soluzioni, incollate con lo scotch, trovare di volta in volta 40-50 parlamentari, per permettere di sopravvivere giorno per giorno, ecco questo non ha molto senso. Non serve al Paese, non serve agli italiani e su quell'ipotesi non credo che Matteo Salvini sia disponibile. Nei prossimi giorni dovremo valutare se ci sia la possibilità di fare un governo che governi, con il Movimento 5 stelle, o tornare alle urne».
Nel frattempo si va avanti con ordine, in vista dell'incontro di lunedì con Mattarella. L'ipotesi di un incarico a un esponente del centrodestra è stata avanzata ieri dalla leader di Fdi Giorgia Meloni. «Chiamerò Salvini e Berlusconi», ha spiegato «per proporre che il centrodestra lunedì nelle consultazioni con il presidente Mattarella chieda un incarico pieno per andare in Parlamento, verificare se ci sono i numeri su alcune proposte serie di cose da fare. Se non ci saranno quei numeri, sarà comunque un governo di centrodestra ad accompagnare l'Italia a nuove elezioni e non Gentiloni». Ma è Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato di Forza Italia, a spiegare nei dettagli quello che potrebbe essere un governo sostenuto dai «responsabili». Dice Bernini che «a due mesi dal voto, la priorità per Forza Italia è dare subito un governo al Paese, uscendo dalle chiacchiere inconcludenti e dannose di chi parla troppo e fa troppo poco. Serve un governo di centrodestra, votato dagli italiani e sostenuto in Parlamento da voti responsabili, per rispondere presto e bene ai bisogni e alle esigenze del Paese». Ma le elezioni si avvicinano sempre di più.
Mattarella ormai va a oltranza: terzo giro di valzer per tutti
Il tempo sta per scadere: prepariamoci alle elezioni anticipate, a ottobre o novembre. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato un terzo giro di consultazioni al Quirinale: lunedì prossimo, 7 maggio, incontrerà tutte le forze politiche in un solo giorno. «A distanza di due mesi», hanno fatto sapere fonti del Colle, «le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo. Nei giorni scorsi è tramontata anche la possibilità di un'intesa tra il M5s e il Pd. Il presidente Mattarella svolgerà nuove consultazioni, in un'unica giornata, quella di lunedì, per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranze di governo».
Si inizierà alle 10, con il M5s; alle 11 il centrodestra unito; alle 12 il Pd; alle 16 Leu; alle 16.20 il gruppo per le Autonomie del Senato, Svp e Uv; alle 16.40 il gruppo misto del Senato; alle 17 il gruppo misto della Camera; alle 17.30 il presidente della Camera, Roberto Fico, e alle 18 il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Mattarella non ha neanche aspettato il risultato della direzione del Pd di ieri, per convocare nuovamente i partiti al Colle. Il capo dello Stato sapeva che il segretario reggente, Maurizio Martina, avrebbe chiuso definitivamente la porta al M5s, che del resto, attraverso le parole di Luigi Di Maio, aveva già fatto altrettanto con i dem. Dunque, lunedì è il termine ultimo per cercare di sciogliere il groviglio di veti e controveti, tatticismi esasperati, aperture e chiusure, che in questi due mesi hanno caratterizzato il dibattito politico post elettorale. Un governo centrodestra-M5s è stato escluso dalle consultazioni del presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: l'ipotesi Pd-M5s è caduta negli ultimi giorni. Ora, Mattarella può tentare la strada del governo di «responsabilità», che quanto meno modifichi la legge elettorale. Il M5s ha fatto sapere che non ci starà. La Lega? Forse sì, forse no. Mattarella esplorerà questa possibilità in prima persona, perché non ne può più dei balletti, a partire da quelli dei «ragazzi», Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che avrebbero potuto, come ha verificato (e auspicato) il Quirinale, dare vita a una solida maggioranza parlamentare, se solo non si fossero messi a giocherellare con le mosse propagandistiche (il veto di Di Maio su Forza Italia e le «tentazioni secessionistiche» ventilate dalla Lega mentre era in corso la trattativa Pd-M5s, Lega alla quale Mattarella rimprovera anche le uscite filo Putin).
A proposito di Salvini. Il leader della Lega, in questi ultimi giorni, sostenuto dagli alleati Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ha chiesto l'incarico per andare in Parlamento a verificare se il centrodestra è in grado di racimolare i 50 deputati e 30 senatori che servono per avere una maggioranza autosufficiente. Mossa propagandistica o prospettiva seria? Mattarella potrebbe anche dare l'ok, ma solo per un pre incarico, come quello che il 22 marzo del 2013 l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò a Pier Luigi Bersani, che sei giorni dopo rinunciò. Il preincarico sarebbe conferito a Salvini con il mandato di «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del governo». Niente salti nel buio: se davvero il centrodestra può aggregare 50 deputati e 30 senatori, deve dimostrarlo al Quirinale prima di chiedere un incarico pieno. Come? Sia alla Camera che al Senato devono nascere gruppi parlamentari, con tanto di capigruppo, che hanno l'obbligo di presentarsi al Colle dichiarando il loro sostegno al governo di centrodestra. L'alternativa è confluire nei gruppi misti, ed esplicitare comunque a Mattarella l'intenzione di allearsi con il centrodestra. Il capo dello Stato non avrebbe la minima intenzione di consentire a Salvini di ricevere l'incarico pieno, farsi sfiduciare in Parlamento e guidare comunque l'Italia verso le elezioni del prossimo autunno.
Ultima chance: una «non sfiducia» del Pd (ovviamente esplicitata lunedì al capo dello Stato) a un governo guidato da un esponente del centrodestra, che possa cambiare la legge elettorale ed evitare l'aumento dell'Iva. L'uomo giusto potrebbe essere il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, anche se al Quirinale si giudica più adatta la figura della presidente del Senato, Casellati, tra l'altro votata da centrodestra e M5s. Altrimenti, fino alle elezioni del prossimo autunno, a Palazzo Chigi può restare benissimo Paolo Gentiloni, dopo essere stato rinviato alle Camere e sfiduciato.
Carlo Tarallo
Il M5s dirà «elezioni» contro il Nazareno bis
Gli altri avanti con il Renzuschini e i 5 stelle invece divisi tra le piazze, a fare campagna elettorale, e le aule del Parlamento, a tenere Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini inchiodati su ogni singolo voto. Grazie alla forza dei loro 388 pulsanti rossi. Dopo 56 giorni di balletti, il programma di Luigi Di Maio è semplice, anche se un po' disperato: «Sputtana e combatti», si potrebbe riassumere senza dover scomodare i vecchi «Vaffa» di Beppe Grillo. Del resto, ormai, i pentastellati sentono aria di maxi inciucio, con i renziani nel ruolo dei nuovi «responsabili», che «renderanno al Cavaliere il favore incassato ai tempi di Denis Verdini e del primo patto del Nazareno». E rilanciano insistentemente le voci di incontri segreti tra Berlusconi e Renzi poco prima della porta in faccia presa dal Pd e prima ancora che il segretario reggente Maurizio Martina riuscisse a dire la sua.
Certo, l'agenda politica, formalmente, prevede ancora un giro di consultazioni dal presidente Sergio Mattarella nella giornata di lunedì, ma a ieri sera il testo del discorso che Di Maio e i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo andranno a fare al Colle era più stringato che mai. Anzi, addirittura, formula di cortesia a parte, era composto da una sola parola: «Elezioni».
Nell'era degli smartphone non è necessario vedersi di persona, specie se si è inseguiti dai fotografi. Ma non la pensano così i vertici del Movimento più tecnologico della Repubblica. Ieri, era tutto un cercare conferme a una voce che gira da qualche giorno, ovvero che Berlusconi abbia avuto più di un summit, recentemente, con Renzi. E soprattutto che i due si siano parlati a quattr'occhi poco prima che il segretario «autosospeso» dei dem andasse in tv da Fabio Fazio, domenica sera, ad anticipare il risultato negativo dei colloqui con i 5 stelle. Ma complotti o non complotti, Di Maio anticipa ai suoi che ci sarà un governo di minoranza del centrodestra, con sostegno esterno di buona parte dei piddini. E questo schema, nel Movimento, lo chiamano già con un certo disprezzo «Renzuschini». Un esecutivo che servirebbe a fare le nomine pubbliche, a salvare Mediaset da Vivendi, a blindare Antitrust, Consob, Agenzia delle comunicazioni e perfino le Procure, con un nuovo Csm, e mantenere intatto il controllo sulle televisioni e sui telegiornali. Insomma, dopo il 34% del 4 marzo, un vero incubo a 5 stelle.
In una lunga mail spedita ai suoi deputati per fare il punto di quasi due mesi di trattative inutili, Di Maio ha poi spiegato di aver seguito un percorso «lineare», tentando, in ordine di gradimento, di fare prima un contratto con la Lega («non un'alleanza, sia chiaro») e poi con quel che resta del Pd. Ma è stato tutto inutile perché, secondo i capi del Movimento, «Salvini non è stato in grado di liberarsi di Berlusconi e forse non ne ha mai avuto davvero neppure il desiderio e Renzi ha deciso di unire la sua debolezza con quella del Cavaliere». E uno dei primi effetti del «Renzuschini» nascente sarebbe, come si legge nella mail, «il fatto che sono di nuove partite le richieste ai Tg della Rai di fare servizi contro di noi». Così, ecco la gentile promessa ai piani alti di Viale Mazzini: «Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Cosa che faremo molto presto, grazie a una legge finalmente meritocratica».
E anche se Di Maio riconosce che «in questi due mesi, l'unico corretto con noi è stato il presidente Mattarella», lunedì il leader di Pomigliano d'Arco andrà comunque al Quirinale vestendo i panni del Signor no.
Il Movimento vuole elezioni subito e se il Colle dirà che a giugno non sono più possibili, allora le chiederà per ottobre. E se poi gli verrà opposto che in autunno non si può perché c'è la legge di bilancio da approvare, allora urne a febbraio. Ma per ripicca, con la stessa legge elettorale di adesso. Anche se fino ai ieri M5s non escludeva di aprire al doppio turno alla francese. «Di ballottaggi potevamo discutere in un contesto di dialogo corretto con gli altri partiti, non certo in questa situazione di ammucchiata messa su al solo scopo di fregarci», sintetizza uno dei deputati più ferrato sui sistemi di voto.
Come segno di «attenzione ai problemi reali», però, ieri i senatori 5 stelle hanno dato il via libera alla proroga delle procedure di cessione di Alitalia. Non si tratta di spingere perché venga effettivamente venduta, ma, si legge in una nota, «di un atto di responsabilità nei confronti dell'azienda e di chi ci lavora, soprattutto alla luce dello stallo politico che viviamo». Uno stallo che sperano quasi di non dover rimpiangere.
Francesco Bonazzi
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Tra domenica e lunedì mattina Lega, Fi e Fdi sigleranno un accordo: Matteo Salvini chiederà al presidente di andare in Parlamento a cercare i voti su pochi punti economici chiave. Comunque, la coalizione sta già lavorando alle liste in caso di urne anticipate.Dopo due mesi di stallo totale, il Quirinale ha convocato per lunedì l'intero arco parlamentare. Per traghettare il Paese a elezioni o Paolo Gentiloni o una figura di garanzia, magari la Maria Alberta Casellati.I grillini sono convinti che Silvio Berlusconi e Matteo Renzi si siano incontrati più di una volta. Perciò al presidente chiederanno il voto al più presto. Il piano di battaglia di Luigi Di Maio spiegato in una mail a tutti gli eletti.Lo speciale contiene tre articoli.Nel giorno in cui si chiude il forno tra M5s e Partito democratico, il centrodestra si ricompatta in vista delle consultazioni lampo di lunedì al Quirinale. E da quel filtra, tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, l'idea sarebbe quella di proporre al capo dello Stato di dare un incarico al segretario della Lega Matteo Salvini per cercare una maggioranza in Parlamento. L'ultima speranza, infatti, è quella di trovare voti di possibili responsabili in uscita da altri partiti, soprattutto tra i grillini, in particolare se M5s dovesse spaccarsi dopo il flop del leader Luigi Di Maio. È un ultimo tentativo, che vede esclusa un'intesa con il Pd e su cui in pochi riservano speranze dati gli umori del Colle. Non a caso già ieri nel quartier generale di Silvio Berlusconi come in quello di Salvini si è iniziato a ragionare sulle elezioni imminenti - nel giro di cinque o sei mesi - come sulle prossime liste elettorali. Queste ultime, a quanto pare, potrebbero riserbare molte sorprese, sia tra gli azzurri sia tra i leghisti. Eppure Salvini pare crederci ancora nel possibile preincarico che avrebbe l'obiettivo di raccogliere consensi su un programma che riguardi la flat tax, l'abolizione della legge Fornero e il sostegno del reddito degli italiani.In ogni caso, reduce dalla vittoria in Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga, la coalizione non è mai stata così compatta come in questo periodo, tanto che le tensioni delle ultime settimane sarebbero ormai un ricordo lontano. A dimostrarlo anche gli accordi raggiunti in vista delle prossime elezioni comunali del 10 maggio: in Toscana in tutti i 21 Comuni che andranno al voto Forza Italia e Lega vanno a braccetto. Per di più negli ultimi giorni Berlusconi si sarebbe avvicinato ancora di più al governatore ligure Giovanni Toti, da mesi ambasciatore degli azzurri con i leghisti, mentre i rapporti con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani si sarebbero raffreddati. Nel fine settimana i tre partiti della coalizione limeranno la proposta da portare al Colle, forse ci potrebbe anche essere un incontro lunedì mattina a Palazzo Grazioli per timbrare l'accordo. Intanto oggi pomeriggio il Carroccio si radunerà in via Bellerio per il consiglio federale, dove con tutta probabilità uscirà una linea condivisa.A quanto pare la Lega continua a non voler sentire parlare di governi con il Partito democratico o di esecutivi tecnici o del presidente. Da settimane circola l'ipotesi che Mattarella possa dare un incarico alla mente economica Giancarlo Giorgetti, un progetto che avrebbe il sostegno dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dello stesso Berlusconi. C'è chi sostiene che anche i democratici potrebbero dare un appoggio, magari astenendosi in Parlamento in un nuovo inedito patto del Nazareno. Sono però solo ipotesi che circolano da giorni senza avere conferme pubbliche dai diretti interessati. Lo stesso segretario del Pd Maurizio Martina ieri chiudeva a questa ipotesi, spiegando che i democratici non avrebbero fatto parte di un governo con Berlusconi, Salvini e Meloni. La strada, insomma, appare al momento impraticabile, anche perché né Giorgetti né Salvini sarebbero d'accordo.Oggi quindi la Lega certificherà di non voler partecipare a governi del presidente o di tregua. Al contempo, a quanto risulta alla Verità, potrebbe aprire però a un governo di scopo, con un limite di tempo ben preciso e con riforme certe, nello specifico quella elettorale. È la linea che proprio Giorgetti aveva delineato il primo maggio. «Salvini è il candidato naturale alla presidenza del Consiglio, ma noi abbiamo sempre aggiunto che Salvini è disposto a guidare un governo che abbia una solida maggioranza e una solida maggioranza in Parlamento, secondo noi, è fra il centrodestra e il Movimento 5 stelle», aveva spiegato il capogruppo alla Camera. «Altre soluzioni, incollate con lo scotch, trovare di volta in volta 40-50 parlamentari, per permettere di sopravvivere giorno per giorno, ecco questo non ha molto senso. Non serve al Paese, non serve agli italiani e su quell'ipotesi non credo che Matteo Salvini sia disponibile. Nei prossimi giorni dovremo valutare se ci sia la possibilità di fare un governo che governi, con il Movimento 5 stelle, o tornare alle urne».Nel frattempo si va avanti con ordine, in vista dell'incontro di lunedì con Mattarella. L'ipotesi di un incarico a un esponente del centrodestra è stata avanzata ieri dalla leader di Fdi Giorgia Meloni. «Chiamerò Salvini e Berlusconi», ha spiegato «per proporre che il centrodestra lunedì nelle consultazioni con il presidente Mattarella chieda un incarico pieno per andare in Parlamento, verificare se ci sono i numeri su alcune proposte serie di cose da fare. Se non ci saranno quei numeri, sarà comunque un governo di centrodestra ad accompagnare l'Italia a nuove elezioni e non Gentiloni». Ma è Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato di Forza Italia, a spiegare nei dettagli quello che potrebbe essere un governo sostenuto dai «responsabili». Dice Bernini che «a due mesi dal voto, la priorità per Forza Italia è dare subito un governo al Paese, uscendo dalle chiacchiere inconcludenti e dannose di chi parla troppo e fa troppo poco. Serve un governo di centrodestra, votato dagli italiani e sostenuto in Parlamento da voti responsabili, per rispondere presto e bene ai bisogni e alle esigenze del Paese». Ma le elezioni si avvicinano sempre di più.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-compatta-sullincarico-2565613238.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mattarella-ormai-va-a-oltranza-terzo-giro-di-valzer-per-tutti" data-post-id="2565613238" data-published-at="1765407655" data-use-pagination="False"> Mattarella ormai va a oltranza: terzo giro di valzer per tutti Il tempo sta per scadere: prepariamoci alle elezioni anticipate, a ottobre o novembre. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato un terzo giro di consultazioni al Quirinale: lunedì prossimo, 7 maggio, incontrerà tutte le forze politiche in un solo giorno. «A distanza di due mesi», hanno fatto sapere fonti del Colle, «le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo. Nei giorni scorsi è tramontata anche la possibilità di un'intesa tra il M5s e il Pd. Il presidente Mattarella svolgerà nuove consultazioni, in un'unica giornata, quella di lunedì, per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranze di governo». Si inizierà alle 10, con il M5s; alle 11 il centrodestra unito; alle 12 il Pd; alle 16 Leu; alle 16.20 il gruppo per le Autonomie del Senato, Svp e Uv; alle 16.40 il gruppo misto del Senato; alle 17 il gruppo misto della Camera; alle 17.30 il presidente della Camera, Roberto Fico, e alle 18 il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mattarella non ha neanche aspettato il risultato della direzione del Pd di ieri, per convocare nuovamente i partiti al Colle. Il capo dello Stato sapeva che il segretario reggente, Maurizio Martina, avrebbe chiuso definitivamente la porta al M5s, che del resto, attraverso le parole di Luigi Di Maio, aveva già fatto altrettanto con i dem. Dunque, lunedì è il termine ultimo per cercare di sciogliere il groviglio di veti e controveti, tatticismi esasperati, aperture e chiusure, che in questi due mesi hanno caratterizzato il dibattito politico post elettorale. Un governo centrodestra-M5s è stato escluso dalle consultazioni del presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: l'ipotesi Pd-M5s è caduta negli ultimi giorni. Ora, Mattarella può tentare la strada del governo di «responsabilità», che quanto meno modifichi la legge elettorale. Il M5s ha fatto sapere che non ci starà. La Lega? Forse sì, forse no. Mattarella esplorerà questa possibilità in prima persona, perché non ne può più dei balletti, a partire da quelli dei «ragazzi», Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che avrebbero potuto, come ha verificato (e auspicato) il Quirinale, dare vita a una solida maggioranza parlamentare, se solo non si fossero messi a giocherellare con le mosse propagandistiche (il veto di Di Maio su Forza Italia e le «tentazioni secessionistiche» ventilate dalla Lega mentre era in corso la trattativa Pd-M5s, Lega alla quale Mattarella rimprovera anche le uscite filo Putin). A proposito di Salvini. Il leader della Lega, in questi ultimi giorni, sostenuto dagli alleati Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ha chiesto l'incarico per andare in Parlamento a verificare se il centrodestra è in grado di racimolare i 50 deputati e 30 senatori che servono per avere una maggioranza autosufficiente. Mossa propagandistica o prospettiva seria? Mattarella potrebbe anche dare l'ok, ma solo per un pre incarico, come quello che il 22 marzo del 2013 l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò a Pier Luigi Bersani, che sei giorni dopo rinunciò. Il preincarico sarebbe conferito a Salvini con il mandato di «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del governo». Niente salti nel buio: se davvero il centrodestra può aggregare 50 deputati e 30 senatori, deve dimostrarlo al Quirinale prima di chiedere un incarico pieno. Come? Sia alla Camera che al Senato devono nascere gruppi parlamentari, con tanto di capigruppo, che hanno l'obbligo di presentarsi al Colle dichiarando il loro sostegno al governo di centrodestra. L'alternativa è confluire nei gruppi misti, ed esplicitare comunque a Mattarella l'intenzione di allearsi con il centrodestra. Il capo dello Stato non avrebbe la minima intenzione di consentire a Salvini di ricevere l'incarico pieno, farsi sfiduciare in Parlamento e guidare comunque l'Italia verso le elezioni del prossimo autunno. Ultima chance: una «non sfiducia» del Pd (ovviamente esplicitata lunedì al capo dello Stato) a un governo guidato da un esponente del centrodestra, che possa cambiare la legge elettorale ed evitare l'aumento dell'Iva. L'uomo giusto potrebbe essere il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, anche se al Quirinale si giudica più adatta la figura della presidente del Senato, Casellati, tra l'altro votata da centrodestra e M5s. Altrimenti, fino alle elezioni del prossimo autunno, a Palazzo Chigi può restare benissimo Paolo Gentiloni, dopo essere stato rinviato alle Camere e sfiduciato. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-compatta-sullincarico-2565613238.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-m5s-dira-elezioni-contro-il-nazareno-bis" data-post-id="2565613238" data-published-at="1765407655" data-use-pagination="False"> Il M5s dirà «elezioni» contro il Nazareno bis Gli altri avanti con il Renzuschini e i 5 stelle invece divisi tra le piazze, a fare campagna elettorale, e le aule del Parlamento, a tenere Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini inchiodati su ogni singolo voto. Grazie alla forza dei loro 388 pulsanti rossi. Dopo 56 giorni di balletti, il programma di Luigi Di Maio è semplice, anche se un po' disperato: «Sputtana e combatti», si potrebbe riassumere senza dover scomodare i vecchi «Vaffa» di Beppe Grillo. Del resto, ormai, i pentastellati sentono aria di maxi inciucio, con i renziani nel ruolo dei nuovi «responsabili», che «renderanno al Cavaliere il favore incassato ai tempi di Denis Verdini e del primo patto del Nazareno». E rilanciano insistentemente le voci di incontri segreti tra Berlusconi e Renzi poco prima della porta in faccia presa dal Pd e prima ancora che il segretario reggente Maurizio Martina riuscisse a dire la sua. Certo, l'agenda politica, formalmente, prevede ancora un giro di consultazioni dal presidente Sergio Mattarella nella giornata di lunedì, ma a ieri sera il testo del discorso che Di Maio e i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo andranno a fare al Colle era più stringato che mai. Anzi, addirittura, formula di cortesia a parte, era composto da una sola parola: «Elezioni». Nell'era degli smartphone non è necessario vedersi di persona, specie se si è inseguiti dai fotografi. Ma non la pensano così i vertici del Movimento più tecnologico della Repubblica. Ieri, era tutto un cercare conferme a una voce che gira da qualche giorno, ovvero che Berlusconi abbia avuto più di un summit, recentemente, con Renzi. E soprattutto che i due si siano parlati a quattr'occhi poco prima che il segretario «autosospeso» dei dem andasse in tv da Fabio Fazio, domenica sera, ad anticipare il risultato negativo dei colloqui con i 5 stelle. Ma complotti o non complotti, Di Maio anticipa ai suoi che ci sarà un governo di minoranza del centrodestra, con sostegno esterno di buona parte dei piddini. E questo schema, nel Movimento, lo chiamano già con un certo disprezzo «Renzuschini». Un esecutivo che servirebbe a fare le nomine pubbliche, a salvare Mediaset da Vivendi, a blindare Antitrust, Consob, Agenzia delle comunicazioni e perfino le Procure, con un nuovo Csm, e mantenere intatto il controllo sulle televisioni e sui telegiornali. Insomma, dopo il 34% del 4 marzo, un vero incubo a 5 stelle. In una lunga mail spedita ai suoi deputati per fare il punto di quasi due mesi di trattative inutili, Di Maio ha poi spiegato di aver seguito un percorso «lineare», tentando, in ordine di gradimento, di fare prima un contratto con la Lega («non un'alleanza, sia chiaro») e poi con quel che resta del Pd. Ma è stato tutto inutile perché, secondo i capi del Movimento, «Salvini non è stato in grado di liberarsi di Berlusconi e forse non ne ha mai avuto davvero neppure il desiderio e Renzi ha deciso di unire la sua debolezza con quella del Cavaliere». E uno dei primi effetti del «Renzuschini» nascente sarebbe, come si legge nella mail, «il fatto che sono di nuove partite le richieste ai Tg della Rai di fare servizi contro di noi». Così, ecco la gentile promessa ai piani alti di Viale Mazzini: «Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Cosa che faremo molto presto, grazie a una legge finalmente meritocratica». E anche se Di Maio riconosce che «in questi due mesi, l'unico corretto con noi è stato il presidente Mattarella», lunedì il leader di Pomigliano d'Arco andrà comunque al Quirinale vestendo i panni del Signor no. Il Movimento vuole elezioni subito e se il Colle dirà che a giugno non sono più possibili, allora le chiederà per ottobre. E se poi gli verrà opposto che in autunno non si può perché c'è la legge di bilancio da approvare, allora urne a febbraio. Ma per ripicca, con la stessa legge elettorale di adesso. Anche se fino ai ieri M5s non escludeva di aprire al doppio turno alla francese. «Di ballottaggi potevamo discutere in un contesto di dialogo corretto con gli altri partiti, non certo in questa situazione di ammucchiata messa su al solo scopo di fregarci», sintetizza uno dei deputati più ferrato sui sistemi di voto. Come segno di «attenzione ai problemi reali», però, ieri i senatori 5 stelle hanno dato il via libera alla proroga delle procedure di cessione di Alitalia. Non si tratta di spingere perché venga effettivamente venduta, ma, si legge in una nota, «di un atto di responsabilità nei confronti dell'azienda e di chi ci lavora, soprattutto alla luce dello stallo politico che viviamo». Uno stallo che sperano quasi di non dover rimpiangere. Francesco Bonazzi
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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