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2018-05-04
Il centrodestra si compatta sull’incarico
ANSA
Nel giorno in cui si chiude il forno tra M5s e Partito democratico, il centrodestra si ricompatta in vista delle consultazioni lampo di lunedì al Quirinale. E da quel filtra, tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, l'idea sarebbe quella di proporre al capo dello Stato di dare un incarico al segretario della Lega Matteo Salvini per cercare una maggioranza in Parlamento. L'ultima speranza, infatti, è quella di trovare voti di possibili responsabili in uscita da altri partiti, soprattutto tra i grillini, in particolare se M5s dovesse spaccarsi dopo il flop del leader Luigi Di Maio. È un ultimo tentativo, che vede esclusa un'intesa con il Pd e su cui in pochi riservano speranze dati gli umori del Colle. Non a caso già ieri nel quartier generale di Silvio Berlusconi come in quello di Salvini si è iniziato a ragionare sulle elezioni imminenti - nel giro di cinque o sei mesi - come sulle prossime liste elettorali. Queste ultime, a quanto pare, potrebbero riserbare molte sorprese, sia tra gli azzurri sia tra i leghisti. Eppure Salvini pare crederci ancora nel possibile preincarico che avrebbe l'obiettivo di raccogliere consensi su un programma che riguardi la flat tax, l'abolizione della legge Fornero e il sostegno del reddito degli italiani.
In ogni caso, reduce dalla vittoria in Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga, la coalizione non è mai stata così compatta come in questo periodo, tanto che le tensioni delle ultime settimane sarebbero ormai un ricordo lontano. A dimostrarlo anche gli accordi raggiunti in vista delle prossime elezioni comunali del 10 maggio: in Toscana in tutti i 21 Comuni che andranno al voto Forza Italia e Lega vanno a braccetto. Per di più negli ultimi giorni Berlusconi si sarebbe avvicinato ancora di più al governatore ligure Giovanni Toti, da mesi ambasciatore degli azzurri con i leghisti, mentre i rapporti con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani si sarebbero raffreddati. Nel fine settimana i tre partiti della coalizione limeranno la proposta da portare al Colle, forse ci potrebbe anche essere un incontro lunedì mattina a Palazzo Grazioli per timbrare l'accordo. Intanto oggi pomeriggio il Carroccio si radunerà in via Bellerio per il consiglio federale, dove con tutta probabilità uscirà una linea condivisa.
A quanto pare la Lega continua a non voler sentire parlare di governi con il Partito democratico o di esecutivi tecnici o del presidente. Da settimane circola l'ipotesi che Mattarella possa dare un incarico alla mente economica Giancarlo Giorgetti, un progetto che avrebbe il sostegno dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dello stesso Berlusconi. C'è chi sostiene che anche i democratici potrebbero dare un appoggio, magari astenendosi in Parlamento in un nuovo inedito patto del Nazareno. Sono però solo ipotesi che circolano da giorni senza avere conferme pubbliche dai diretti interessati. Lo stesso segretario del Pd Maurizio Martina ieri chiudeva a questa ipotesi, spiegando che i democratici non avrebbero fatto parte di un governo con Berlusconi, Salvini e Meloni. La strada, insomma, appare al momento impraticabile, anche perché né Giorgetti né Salvini sarebbero d'accordo.
Oggi quindi la Lega certificherà di non voler partecipare a governi del presidente o di tregua. Al contempo, a quanto risulta alla Verità, potrebbe aprire però a un governo di scopo, con un limite di tempo ben preciso e con riforme certe, nello specifico quella elettorale. È la linea che proprio Giorgetti aveva delineato il primo maggio. «Salvini è il candidato naturale alla presidenza del Consiglio, ma noi abbiamo sempre aggiunto che Salvini è disposto a guidare un governo che abbia una solida maggioranza e una solida maggioranza in Parlamento, secondo noi, è fra il centrodestra e il Movimento 5 stelle», aveva spiegato il capogruppo alla Camera. «Altre soluzioni, incollate con lo scotch, trovare di volta in volta 40-50 parlamentari, per permettere di sopravvivere giorno per giorno, ecco questo non ha molto senso. Non serve al Paese, non serve agli italiani e su quell'ipotesi non credo che Matteo Salvini sia disponibile. Nei prossimi giorni dovremo valutare se ci sia la possibilità di fare un governo che governi, con il Movimento 5 stelle, o tornare alle urne».
Nel frattempo si va avanti con ordine, in vista dell'incontro di lunedì con Mattarella. L'ipotesi di un incarico a un esponente del centrodestra è stata avanzata ieri dalla leader di Fdi Giorgia Meloni. «Chiamerò Salvini e Berlusconi», ha spiegato «per proporre che il centrodestra lunedì nelle consultazioni con il presidente Mattarella chieda un incarico pieno per andare in Parlamento, verificare se ci sono i numeri su alcune proposte serie di cose da fare. Se non ci saranno quei numeri, sarà comunque un governo di centrodestra ad accompagnare l'Italia a nuove elezioni e non Gentiloni». Ma è Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato di Forza Italia, a spiegare nei dettagli quello che potrebbe essere un governo sostenuto dai «responsabili». Dice Bernini che «a due mesi dal voto, la priorità per Forza Italia è dare subito un governo al Paese, uscendo dalle chiacchiere inconcludenti e dannose di chi parla troppo e fa troppo poco. Serve un governo di centrodestra, votato dagli italiani e sostenuto in Parlamento da voti responsabili, per rispondere presto e bene ai bisogni e alle esigenze del Paese». Ma le elezioni si avvicinano sempre di più.
Mattarella ormai va a oltranza: terzo giro di valzer per tutti
Il tempo sta per scadere: prepariamoci alle elezioni anticipate, a ottobre o novembre. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato un terzo giro di consultazioni al Quirinale: lunedì prossimo, 7 maggio, incontrerà tutte le forze politiche in un solo giorno. «A distanza di due mesi», hanno fatto sapere fonti del Colle, «le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo. Nei giorni scorsi è tramontata anche la possibilità di un'intesa tra il M5s e il Pd. Il presidente Mattarella svolgerà nuove consultazioni, in un'unica giornata, quella di lunedì, per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranze di governo».
Si inizierà alle 10, con il M5s; alle 11 il centrodestra unito; alle 12 il Pd; alle 16 Leu; alle 16.20 il gruppo per le Autonomie del Senato, Svp e Uv; alle 16.40 il gruppo misto del Senato; alle 17 il gruppo misto della Camera; alle 17.30 il presidente della Camera, Roberto Fico, e alle 18 il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati.
Mattarella non ha neanche aspettato il risultato della direzione del Pd di ieri, per convocare nuovamente i partiti al Colle. Il capo dello Stato sapeva che il segretario reggente, Maurizio Martina, avrebbe chiuso definitivamente la porta al M5s, che del resto, attraverso le parole di Luigi Di Maio, aveva già fatto altrettanto con i dem. Dunque, lunedì è il termine ultimo per cercare di sciogliere il groviglio di veti e controveti, tatticismi esasperati, aperture e chiusure, che in questi due mesi hanno caratterizzato il dibattito politico post elettorale. Un governo centrodestra-M5s è stato escluso dalle consultazioni del presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: l'ipotesi Pd-M5s è caduta negli ultimi giorni. Ora, Mattarella può tentare la strada del governo di «responsabilità», che quanto meno modifichi la legge elettorale. Il M5s ha fatto sapere che non ci starà. La Lega? Forse sì, forse no. Mattarella esplorerà questa possibilità in prima persona, perché non ne può più dei balletti, a partire da quelli dei «ragazzi», Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che avrebbero potuto, come ha verificato (e auspicato) il Quirinale, dare vita a una solida maggioranza parlamentare, se solo non si fossero messi a giocherellare con le mosse propagandistiche (il veto di Di Maio su Forza Italia e le «tentazioni secessionistiche» ventilate dalla Lega mentre era in corso la trattativa Pd-M5s, Lega alla quale Mattarella rimprovera anche le uscite filo Putin).
A proposito di Salvini. Il leader della Lega, in questi ultimi giorni, sostenuto dagli alleati Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ha chiesto l'incarico per andare in Parlamento a verificare se il centrodestra è in grado di racimolare i 50 deputati e 30 senatori che servono per avere una maggioranza autosufficiente. Mossa propagandistica o prospettiva seria? Mattarella potrebbe anche dare l'ok, ma solo per un pre incarico, come quello che il 22 marzo del 2013 l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò a Pier Luigi Bersani, che sei giorni dopo rinunciò. Il preincarico sarebbe conferito a Salvini con il mandato di «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del governo». Niente salti nel buio: se davvero il centrodestra può aggregare 50 deputati e 30 senatori, deve dimostrarlo al Quirinale prima di chiedere un incarico pieno. Come? Sia alla Camera che al Senato devono nascere gruppi parlamentari, con tanto di capigruppo, che hanno l'obbligo di presentarsi al Colle dichiarando il loro sostegno al governo di centrodestra. L'alternativa è confluire nei gruppi misti, ed esplicitare comunque a Mattarella l'intenzione di allearsi con il centrodestra. Il capo dello Stato non avrebbe la minima intenzione di consentire a Salvini di ricevere l'incarico pieno, farsi sfiduciare in Parlamento e guidare comunque l'Italia verso le elezioni del prossimo autunno.
Ultima chance: una «non sfiducia» del Pd (ovviamente esplicitata lunedì al capo dello Stato) a un governo guidato da un esponente del centrodestra, che possa cambiare la legge elettorale ed evitare l'aumento dell'Iva. L'uomo giusto potrebbe essere il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, anche se al Quirinale si giudica più adatta la figura della presidente del Senato, Casellati, tra l'altro votata da centrodestra e M5s. Altrimenti, fino alle elezioni del prossimo autunno, a Palazzo Chigi può restare benissimo Paolo Gentiloni, dopo essere stato rinviato alle Camere e sfiduciato.
Carlo Tarallo
Il M5s dirà «elezioni» contro il Nazareno bis
Gli altri avanti con il Renzuschini e i 5 stelle invece divisi tra le piazze, a fare campagna elettorale, e le aule del Parlamento, a tenere Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini inchiodati su ogni singolo voto. Grazie alla forza dei loro 388 pulsanti rossi. Dopo 56 giorni di balletti, il programma di Luigi Di Maio è semplice, anche se un po' disperato: «Sputtana e combatti», si potrebbe riassumere senza dover scomodare i vecchi «Vaffa» di Beppe Grillo. Del resto, ormai, i pentastellati sentono aria di maxi inciucio, con i renziani nel ruolo dei nuovi «responsabili», che «renderanno al Cavaliere il favore incassato ai tempi di Denis Verdini e del primo patto del Nazareno». E rilanciano insistentemente le voci di incontri segreti tra Berlusconi e Renzi poco prima della porta in faccia presa dal Pd e prima ancora che il segretario reggente Maurizio Martina riuscisse a dire la sua.
Certo, l'agenda politica, formalmente, prevede ancora un giro di consultazioni dal presidente Sergio Mattarella nella giornata di lunedì, ma a ieri sera il testo del discorso che Di Maio e i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo andranno a fare al Colle era più stringato che mai. Anzi, addirittura, formula di cortesia a parte, era composto da una sola parola: «Elezioni».
Nell'era degli smartphone non è necessario vedersi di persona, specie se si è inseguiti dai fotografi. Ma non la pensano così i vertici del Movimento più tecnologico della Repubblica. Ieri, era tutto un cercare conferme a una voce che gira da qualche giorno, ovvero che Berlusconi abbia avuto più di un summit, recentemente, con Renzi. E soprattutto che i due si siano parlati a quattr'occhi poco prima che il segretario «autosospeso» dei dem andasse in tv da Fabio Fazio, domenica sera, ad anticipare il risultato negativo dei colloqui con i 5 stelle. Ma complotti o non complotti, Di Maio anticipa ai suoi che ci sarà un governo di minoranza del centrodestra, con sostegno esterno di buona parte dei piddini. E questo schema, nel Movimento, lo chiamano già con un certo disprezzo «Renzuschini». Un esecutivo che servirebbe a fare le nomine pubbliche, a salvare Mediaset da Vivendi, a blindare Antitrust, Consob, Agenzia delle comunicazioni e perfino le Procure, con un nuovo Csm, e mantenere intatto il controllo sulle televisioni e sui telegiornali. Insomma, dopo il 34% del 4 marzo, un vero incubo a 5 stelle.
In una lunga mail spedita ai suoi deputati per fare il punto di quasi due mesi di trattative inutili, Di Maio ha poi spiegato di aver seguito un percorso «lineare», tentando, in ordine di gradimento, di fare prima un contratto con la Lega («non un'alleanza, sia chiaro») e poi con quel che resta del Pd. Ma è stato tutto inutile perché, secondo i capi del Movimento, «Salvini non è stato in grado di liberarsi di Berlusconi e forse non ne ha mai avuto davvero neppure il desiderio e Renzi ha deciso di unire la sua debolezza con quella del Cavaliere». E uno dei primi effetti del «Renzuschini» nascente sarebbe, come si legge nella mail, «il fatto che sono di nuove partite le richieste ai Tg della Rai di fare servizi contro di noi». Così, ecco la gentile promessa ai piani alti di Viale Mazzini: «Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Cosa che faremo molto presto, grazie a una legge finalmente meritocratica».
E anche se Di Maio riconosce che «in questi due mesi, l'unico corretto con noi è stato il presidente Mattarella», lunedì il leader di Pomigliano d'Arco andrà comunque al Quirinale vestendo i panni del Signor no.
Il Movimento vuole elezioni subito e se il Colle dirà che a giugno non sono più possibili, allora le chiederà per ottobre. E se poi gli verrà opposto che in autunno non si può perché c'è la legge di bilancio da approvare, allora urne a febbraio. Ma per ripicca, con la stessa legge elettorale di adesso. Anche se fino ai ieri M5s non escludeva di aprire al doppio turno alla francese. «Di ballottaggi potevamo discutere in un contesto di dialogo corretto con gli altri partiti, non certo in questa situazione di ammucchiata messa su al solo scopo di fregarci», sintetizza uno dei deputati più ferrato sui sistemi di voto.
Come segno di «attenzione ai problemi reali», però, ieri i senatori 5 stelle hanno dato il via libera alla proroga delle procedure di cessione di Alitalia. Non si tratta di spingere perché venga effettivamente venduta, ma, si legge in una nota, «di un atto di responsabilità nei confronti dell'azienda e di chi ci lavora, soprattutto alla luce dello stallo politico che viviamo». Uno stallo che sperano quasi di non dover rimpiangere.
Francesco Bonazzi
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Tra domenica e lunedì mattina Lega, Fi e Fdi sigleranno un accordo: Matteo Salvini chiederà al presidente di andare in Parlamento a cercare i voti su pochi punti economici chiave. Comunque, la coalizione sta già lavorando alle liste in caso di urne anticipate.Dopo due mesi di stallo totale, il Quirinale ha convocato per lunedì l'intero arco parlamentare. Per traghettare il Paese a elezioni o Paolo Gentiloni o una figura di garanzia, magari la Maria Alberta Casellati.I grillini sono convinti che Silvio Berlusconi e Matteo Renzi si siano incontrati più di una volta. Perciò al presidente chiederanno il voto al più presto. Il piano di battaglia di Luigi Di Maio spiegato in una mail a tutti gli eletti.Lo speciale contiene tre articoli.Nel giorno in cui si chiude il forno tra M5s e Partito democratico, il centrodestra si ricompatta in vista delle consultazioni lampo di lunedì al Quirinale. E da quel filtra, tra Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, l'idea sarebbe quella di proporre al capo dello Stato di dare un incarico al segretario della Lega Matteo Salvini per cercare una maggioranza in Parlamento. L'ultima speranza, infatti, è quella di trovare voti di possibili responsabili in uscita da altri partiti, soprattutto tra i grillini, in particolare se M5s dovesse spaccarsi dopo il flop del leader Luigi Di Maio. È un ultimo tentativo, che vede esclusa un'intesa con il Pd e su cui in pochi riservano speranze dati gli umori del Colle. Non a caso già ieri nel quartier generale di Silvio Berlusconi come in quello di Salvini si è iniziato a ragionare sulle elezioni imminenti - nel giro di cinque o sei mesi - come sulle prossime liste elettorali. Queste ultime, a quanto pare, potrebbero riserbare molte sorprese, sia tra gli azzurri sia tra i leghisti. Eppure Salvini pare crederci ancora nel possibile preincarico che avrebbe l'obiettivo di raccogliere consensi su un programma che riguardi la flat tax, l'abolizione della legge Fornero e il sostegno del reddito degli italiani.In ogni caso, reduce dalla vittoria in Friuli Venezia Giulia con Massimiliano Fedriga, la coalizione non è mai stata così compatta come in questo periodo, tanto che le tensioni delle ultime settimane sarebbero ormai un ricordo lontano. A dimostrarlo anche gli accordi raggiunti in vista delle prossime elezioni comunali del 10 maggio: in Toscana in tutti i 21 Comuni che andranno al voto Forza Italia e Lega vanno a braccetto. Per di più negli ultimi giorni Berlusconi si sarebbe avvicinato ancora di più al governatore ligure Giovanni Toti, da mesi ambasciatore degli azzurri con i leghisti, mentre i rapporti con il presidente dell'europarlamento Antonio Tajani si sarebbero raffreddati. Nel fine settimana i tre partiti della coalizione limeranno la proposta da portare al Colle, forse ci potrebbe anche essere un incontro lunedì mattina a Palazzo Grazioli per timbrare l'accordo. Intanto oggi pomeriggio il Carroccio si radunerà in via Bellerio per il consiglio federale, dove con tutta probabilità uscirà una linea condivisa.A quanto pare la Lega continua a non voler sentire parlare di governi con il Partito democratico o di esecutivi tecnici o del presidente. Da settimane circola l'ipotesi che Mattarella possa dare un incarico alla mente economica Giancarlo Giorgetti, un progetto che avrebbe il sostegno dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e dello stesso Berlusconi. C'è chi sostiene che anche i democratici potrebbero dare un appoggio, magari astenendosi in Parlamento in un nuovo inedito patto del Nazareno. Sono però solo ipotesi che circolano da giorni senza avere conferme pubbliche dai diretti interessati. Lo stesso segretario del Pd Maurizio Martina ieri chiudeva a questa ipotesi, spiegando che i democratici non avrebbero fatto parte di un governo con Berlusconi, Salvini e Meloni. La strada, insomma, appare al momento impraticabile, anche perché né Giorgetti né Salvini sarebbero d'accordo.Oggi quindi la Lega certificherà di non voler partecipare a governi del presidente o di tregua. Al contempo, a quanto risulta alla Verità, potrebbe aprire però a un governo di scopo, con un limite di tempo ben preciso e con riforme certe, nello specifico quella elettorale. È la linea che proprio Giorgetti aveva delineato il primo maggio. «Salvini è il candidato naturale alla presidenza del Consiglio, ma noi abbiamo sempre aggiunto che Salvini è disposto a guidare un governo che abbia una solida maggioranza e una solida maggioranza in Parlamento, secondo noi, è fra il centrodestra e il Movimento 5 stelle», aveva spiegato il capogruppo alla Camera. «Altre soluzioni, incollate con lo scotch, trovare di volta in volta 40-50 parlamentari, per permettere di sopravvivere giorno per giorno, ecco questo non ha molto senso. Non serve al Paese, non serve agli italiani e su quell'ipotesi non credo che Matteo Salvini sia disponibile. Nei prossimi giorni dovremo valutare se ci sia la possibilità di fare un governo che governi, con il Movimento 5 stelle, o tornare alle urne».Nel frattempo si va avanti con ordine, in vista dell'incontro di lunedì con Mattarella. L'ipotesi di un incarico a un esponente del centrodestra è stata avanzata ieri dalla leader di Fdi Giorgia Meloni. «Chiamerò Salvini e Berlusconi», ha spiegato «per proporre che il centrodestra lunedì nelle consultazioni con il presidente Mattarella chieda un incarico pieno per andare in Parlamento, verificare se ci sono i numeri su alcune proposte serie di cose da fare. Se non ci saranno quei numeri, sarà comunque un governo di centrodestra ad accompagnare l'Italia a nuove elezioni e non Gentiloni». Ma è Anna Maria Bernini, capogruppo al Senato di Forza Italia, a spiegare nei dettagli quello che potrebbe essere un governo sostenuto dai «responsabili». Dice Bernini che «a due mesi dal voto, la priorità per Forza Italia è dare subito un governo al Paese, uscendo dalle chiacchiere inconcludenti e dannose di chi parla troppo e fa troppo poco. Serve un governo di centrodestra, votato dagli italiani e sostenuto in Parlamento da voti responsabili, per rispondere presto e bene ai bisogni e alle esigenze del Paese». Ma le elezioni si avvicinano sempre di più.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-compatta-sullincarico-2565613238.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mattarella-ormai-va-a-oltranza-terzo-giro-di-valzer-per-tutti" data-post-id="2565613238" data-published-at="1765818189" data-use-pagination="False"> Mattarella ormai va a oltranza: terzo giro di valzer per tutti Il tempo sta per scadere: prepariamoci alle elezioni anticipate, a ottobre o novembre. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha convocato un terzo giro di consultazioni al Quirinale: lunedì prossimo, 7 maggio, incontrerà tutte le forze politiche in un solo giorno. «A distanza di due mesi», hanno fatto sapere fonti del Colle, «le posizioni di partenza dei partiti sono rimaste invariate. Non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo. Nei giorni scorsi è tramontata anche la possibilità di un'intesa tra il M5s e il Pd. Il presidente Mattarella svolgerà nuove consultazioni, in un'unica giornata, quella di lunedì, per verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranze di governo». Si inizierà alle 10, con il M5s; alle 11 il centrodestra unito; alle 12 il Pd; alle 16 Leu; alle 16.20 il gruppo per le Autonomie del Senato, Svp e Uv; alle 16.40 il gruppo misto del Senato; alle 17 il gruppo misto della Camera; alle 17.30 il presidente della Camera, Roberto Fico, e alle 18 il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mattarella non ha neanche aspettato il risultato della direzione del Pd di ieri, per convocare nuovamente i partiti al Colle. Il capo dello Stato sapeva che il segretario reggente, Maurizio Martina, avrebbe chiuso definitivamente la porta al M5s, che del resto, attraverso le parole di Luigi Di Maio, aveva già fatto altrettanto con i dem. Dunque, lunedì è il termine ultimo per cercare di sciogliere il groviglio di veti e controveti, tatticismi esasperati, aperture e chiusure, che in questi due mesi hanno caratterizzato il dibattito politico post elettorale. Un governo centrodestra-M5s è stato escluso dalle consultazioni del presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati: l'ipotesi Pd-M5s è caduta negli ultimi giorni. Ora, Mattarella può tentare la strada del governo di «responsabilità», che quanto meno modifichi la legge elettorale. Il M5s ha fatto sapere che non ci starà. La Lega? Forse sì, forse no. Mattarella esplorerà questa possibilità in prima persona, perché non ne può più dei balletti, a partire da quelli dei «ragazzi», Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che avrebbero potuto, come ha verificato (e auspicato) il Quirinale, dare vita a una solida maggioranza parlamentare, se solo non si fossero messi a giocherellare con le mosse propagandistiche (il veto di Di Maio su Forza Italia e le «tentazioni secessionistiche» ventilate dalla Lega mentre era in corso la trattativa Pd-M5s, Lega alla quale Mattarella rimprovera anche le uscite filo Putin). A proposito di Salvini. Il leader della Lega, in questi ultimi giorni, sostenuto dagli alleati Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ha chiesto l'incarico per andare in Parlamento a verificare se il centrodestra è in grado di racimolare i 50 deputati e 30 senatori che servono per avere una maggioranza autosufficiente. Mossa propagandistica o prospettiva seria? Mattarella potrebbe anche dare l'ok, ma solo per un pre incarico, come quello che il 22 marzo del 2013 l'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò a Pier Luigi Bersani, che sei giorni dopo rinunciò. Il preincarico sarebbe conferito a Salvini con il mandato di «verificare l'esistenza di un sostegno parlamentare certo, che consenta la formazione del governo». Niente salti nel buio: se davvero il centrodestra può aggregare 50 deputati e 30 senatori, deve dimostrarlo al Quirinale prima di chiedere un incarico pieno. Come? Sia alla Camera che al Senato devono nascere gruppi parlamentari, con tanto di capigruppo, che hanno l'obbligo di presentarsi al Colle dichiarando il loro sostegno al governo di centrodestra. L'alternativa è confluire nei gruppi misti, ed esplicitare comunque a Mattarella l'intenzione di allearsi con il centrodestra. Il capo dello Stato non avrebbe la minima intenzione di consentire a Salvini di ricevere l'incarico pieno, farsi sfiduciare in Parlamento e guidare comunque l'Italia verso le elezioni del prossimo autunno. Ultima chance: una «non sfiducia» del Pd (ovviamente esplicitata lunedì al capo dello Stato) a un governo guidato da un esponente del centrodestra, che possa cambiare la legge elettorale ed evitare l'aumento dell'Iva. L'uomo giusto potrebbe essere il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti, anche se al Quirinale si giudica più adatta la figura della presidente del Senato, Casellati, tra l'altro votata da centrodestra e M5s. Altrimenti, fino alle elezioni del prossimo autunno, a Palazzo Chigi può restare benissimo Paolo Gentiloni, dopo essere stato rinviato alle Camere e sfiduciato. Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-centrodestra-si-compatta-sullincarico-2565613238.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-m5s-dira-elezioni-contro-il-nazareno-bis" data-post-id="2565613238" data-published-at="1765818189" data-use-pagination="False"> Il M5s dirà «elezioni» contro il Nazareno bis Gli altri avanti con il Renzuschini e i 5 stelle invece divisi tra le piazze, a fare campagna elettorale, e le aule del Parlamento, a tenere Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini inchiodati su ogni singolo voto. Grazie alla forza dei loro 388 pulsanti rossi. Dopo 56 giorni di balletti, il programma di Luigi Di Maio è semplice, anche se un po' disperato: «Sputtana e combatti», si potrebbe riassumere senza dover scomodare i vecchi «Vaffa» di Beppe Grillo. Del resto, ormai, i pentastellati sentono aria di maxi inciucio, con i renziani nel ruolo dei nuovi «responsabili», che «renderanno al Cavaliere il favore incassato ai tempi di Denis Verdini e del primo patto del Nazareno». E rilanciano insistentemente le voci di incontri segreti tra Berlusconi e Renzi poco prima della porta in faccia presa dal Pd e prima ancora che il segretario reggente Maurizio Martina riuscisse a dire la sua. Certo, l'agenda politica, formalmente, prevede ancora un giro di consultazioni dal presidente Sergio Mattarella nella giornata di lunedì, ma a ieri sera il testo del discorso che Di Maio e i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo andranno a fare al Colle era più stringato che mai. Anzi, addirittura, formula di cortesia a parte, era composto da una sola parola: «Elezioni». Nell'era degli smartphone non è necessario vedersi di persona, specie se si è inseguiti dai fotografi. Ma non la pensano così i vertici del Movimento più tecnologico della Repubblica. Ieri, era tutto un cercare conferme a una voce che gira da qualche giorno, ovvero che Berlusconi abbia avuto più di un summit, recentemente, con Renzi. E soprattutto che i due si siano parlati a quattr'occhi poco prima che il segretario «autosospeso» dei dem andasse in tv da Fabio Fazio, domenica sera, ad anticipare il risultato negativo dei colloqui con i 5 stelle. Ma complotti o non complotti, Di Maio anticipa ai suoi che ci sarà un governo di minoranza del centrodestra, con sostegno esterno di buona parte dei piddini. E questo schema, nel Movimento, lo chiamano già con un certo disprezzo «Renzuschini». Un esecutivo che servirebbe a fare le nomine pubbliche, a salvare Mediaset da Vivendi, a blindare Antitrust, Consob, Agenzia delle comunicazioni e perfino le Procure, con un nuovo Csm, e mantenere intatto il controllo sulle televisioni e sui telegiornali. Insomma, dopo il 34% del 4 marzo, un vero incubo a 5 stelle. In una lunga mail spedita ai suoi deputati per fare il punto di quasi due mesi di trattative inutili, Di Maio ha poi spiegato di aver seguito un percorso «lineare», tentando, in ordine di gradimento, di fare prima un contratto con la Lega («non un'alleanza, sia chiaro») e poi con quel che resta del Pd. Ma è stato tutto inutile perché, secondo i capi del Movimento, «Salvini non è stato in grado di liberarsi di Berlusconi e forse non ne ha mai avuto davvero neppure il desiderio e Renzi ha deciso di unire la sua debolezza con quella del Cavaliere». E uno dei primi effetti del «Renzuschini» nascente sarebbe, come si legge nella mail, «il fatto che sono di nuove partite le richieste ai Tg della Rai di fare servizi contro di noi». Così, ecco la gentile promessa ai piani alti di Viale Mazzini: «Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Cosa che faremo molto presto, grazie a una legge finalmente meritocratica». E anche se Di Maio riconosce che «in questi due mesi, l'unico corretto con noi è stato il presidente Mattarella», lunedì il leader di Pomigliano d'Arco andrà comunque al Quirinale vestendo i panni del Signor no. Il Movimento vuole elezioni subito e se il Colle dirà che a giugno non sono più possibili, allora le chiederà per ottobre. E se poi gli verrà opposto che in autunno non si può perché c'è la legge di bilancio da approvare, allora urne a febbraio. Ma per ripicca, con la stessa legge elettorale di adesso. Anche se fino ai ieri M5s non escludeva di aprire al doppio turno alla francese. «Di ballottaggi potevamo discutere in un contesto di dialogo corretto con gli altri partiti, non certo in questa situazione di ammucchiata messa su al solo scopo di fregarci», sintetizza uno dei deputati più ferrato sui sistemi di voto. Come segno di «attenzione ai problemi reali», però, ieri i senatori 5 stelle hanno dato il via libera alla proroga delle procedure di cessione di Alitalia. Non si tratta di spingere perché venga effettivamente venduta, ma, si legge in una nota, «di un atto di responsabilità nei confronti dell'azienda e di chi ci lavora, soprattutto alla luce dello stallo politico che viviamo». Uno stallo che sperano quasi di non dover rimpiangere. Francesco Bonazzi
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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Getty Images
Nel 2025 la pirateria torna a imporsi come una minaccia fluida, che si adatta ad ogni situazione, capace di sfruttare ogni varco lasciato aperto nel fragile equilibrio della sicurezza marittima globale. Due aree, più di altre, raccontano questa nuova stagione di attacchi: il Golfo di Guinea e l’Oceano Indiano. Non si tratta più di fenomeni isolati come mostrano i report di Praesidium, società che si occupa di intelligence marittima, né di improvvise fiammate criminali. È un ecosistema in movimento, che segue logiche precise, approfitta delle lacune statali, cavalca il maltempo o il suo contrario, e ridisegna continuamente la mappa del rischio.
Nel Golfo di Guinea, l’andamento dell’anno ha mostrato un susseguirsi di incursioni che sembrano quasi seguire una traiettoria invisibile. All’inizio la pressione è stata particolarmente intensa nel settore orientale, tra Gabon, Guinea Equatoriale e São Tomé e Príncipe. L’attacco del 31 gennaio al peschereccio Amerger VII ha inaugurato la stagione. Tre membri dell’equipaggio sono finiti nelle mani dei pirati a poche miglia da Owendo, un episodio che ha posto subito il tema dell’audacia dei gruppi criminali e della loro capacità di muoversi vicino alle acque territoriali. Interessante notare che la stessa imbarcazione era già stata attaccata nella stessa area nel 2020.
Pochi giorni dopo, l’abbordaggio della Jsp Vento, nella Zona economica esclusiva (Zee) della Repubblica della Guinea Equatoriale, ha mostrato un altro tratto distintivo della pirateria del 2025: attacchi rapidi e condotti contro navi senza scorta, dove gli equipaggi sono spesso lasciati a loro stessi visti i lunghi tempi di reazione delle autorità locali. In questo caso i pirati hanno abbandonato la nave dopo essere stati avvistati dall’equipaggio. A marzo l’escalation si è fatta più chiara. L’incursione alla petroliera Bitu River, al largo di São Tomé, è durata ore e ha incluso la violazione della cittadella, con i pirati che sono riusciti a prendere in ostaggio diversi membri dell’equipaggio e a fuggire. Il trasferimento degli ostaggi in Nigeria e il loro rilascio settimane dopo suggeriscono canali consolidati, territori di appoggio e una filiera criminale ben riconoscibile.
La traiettoria della minaccia è poi scivolata verso ovest, raggiungendo il Ghana, dove a fine marzo il peschereccio Meng Xin 1 è stato assaltato e tre marittimi sono stati rapiti e trasportati nel Delta del Niger, cuore storico delle milizie locali. In quest’area, simili episodi ai danni di pescherecci sono stati in passato ricondotti a dispute locali o ad azioni di ritorsione. Tuttavia, il fatto che gli assalitori comunicassero in pidgin english nigeriano richiama il modus operandi tipico dei sequestri a scopo di riscatto riconducibili alla pirateria nigeriana, lasciando aperta l’ipotesi di un’evoluzione dell’evento in tale contesto.
Il vero punto di svolta è arrivato il 21 aprile, quando la Sea Panther è stata abbordata a oltre 130 miglia da Brass. L’episodio ha segnato il ritorno ufficiale della pirateria all’interno della Zee nigeriana, un territorio che non registrava attacchi confermati dal 2021. Per gli analisti si è trattato della prova definitiva che la pressione militare degli anni precedenti si è attenuata, lasciando di nuovo spazio a cellule in grado di spingersi in acque profonde. Poche settimane dopo, a fine maggio, l’assalto alla Orange Frost nella zona di sviluppo congiunto tra Nigeria e São Tomé ha completato il quadro, mostrando come i gruppi criminali siano capaci di colpire anche aree formalmente pattugliate da due Stati.
L’estate ha portato una calma apparente, dissoltasi con l’arrivo di nuovi episodi a partire da agosto, quando il tentativo di sequestro della Endo Ponente è stato sventato dalla pronta ritirata nella cittadella da parte dell’equipaggio, che è rimasto all’interno fino all’intervento delle forze navali avvenuto comunque ore dopo l’attacco. Un altro tentato attacco è stato registrato nella regione occidentale del Golfo in ottobre contro la Alfred Temile 10 al largo del Benin. A novembre la minaccia è tornata a concentrarsi a est, dove la Ual Africa è stata presa di mira al confine tra la Zee di São Tomé e Principe e quella della Guinea Equatoriale: l’equipaggio ha resistito chiudendosi in un’area blindata all’interno della nave - un locale protetto, sigillato e dotato di comunicazioni indipendenti - progettata per consentire all’equipaggio di mettersi al sicuro durante un attacco. Non riuscendo a fare breccia nelle difese, i pirati hanno devastato ponte e alloggi prima di ritirarsi.
Se il Golfo di Guinea racconta una pirateria che cambia posizione ma non perde incisività, l’Oceano Indiano nel 2025 ha dato vita a uno scenario ancora più inquietante. La regione somala è tornata teatro di sequestri e attacchi con una frequenza che ricorda i periodi più bui della pirateria del decennio precedente. La stagione è iniziata a febbraio con una serie di dirottamenti per mezzo di dhow yemeniti, piccole imbarcazioni utilizzate dai pirati come piattaforme mobili per proiettarsi molto a largo. Il sequestro dell’Al Najma N.481 ha rivelato un modus operandi ormai consueto: catturare un peschereccio, impossessarsi delle piccole imbarcazioni, rifornirsi a bordo e ripartire verso obiettivi più remunerativi. Anche gli altri casi registrati tra il 15 febbraio e il 16 marzo mostrano lo stesso schema, con dhow impiegati come basi avanzate e poi abbandonati dopo l’intervento delle forze navali internazionali o a seguito del pagamento di riscatti.
Il periodo dei monsoni, tra maggio e settembre, ha rallentato l’attività, ma non l’ha soppressa. Appena il mare è tornato praticabile, gli avvistamenti sospetti sono ripresi con un’intensità che ha sorpreso perfino le missioni navali. Tra ottobre e novembre si è assistito a un ritorno deciso dei gruppi somali in acque profonde, con tentativi di abbordaggio a centinaia di miglia dalla costa, un dettaglio che ricorda i livelli operativi raggiunti nel 2011-2012. Il primo attacco avvenuto nel 2025 contro una nave commerciale è stato registrato il 3 novembre alla petroliera Stolt Sagaland, a oltre 332 miglia nautiche da Mogadiscio: quattro uomini armati hanno aperto il fuoco prima di ritirarsi, segno di una rinnovata audacia. Pochi giorni dopo, la Hellas Aphrodite è stata addirittura abbordata a più di 700 miglia nautiche dalla Somalia, un dato che conferma l’utilizzo di «navi madre» capaci di sostenere missioni lunghe e complesse. Proprio in questo contesto si inserisce il misterioso dhow iraniano Issamamohamadi, sequestrato a fine ottobre e ritrovato abbandonato l’11 novembre: secondo gli investigatori è molto probabile che sia stato utilizzato come base per gli attacchi alla Stolt Sagaland e alla Hellas Aphrodite.
Il mese di novembre ha proposto un crescendo di avvicinamenti sospetti, scafi non identificati che si accostano a mercantili per poi allontanarsi all’improvviso, petroliere che segnalano la presenza di droni in aree dove solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile. Le due regioni – Golfo di Guinea e Oceano Indiano – raccontano, seppure con dinamiche diverse, una stessa verità: la pirateria non è affatto un fenomeno residuale. È una minaccia che continua a mutare, sfrutta gli spazi lasciati liberi dalla sicurezza internazionale e approfitta delle fragilità degli Stati costieri. Nel 2025, il mare torna a parlare il linguaggio inquieto delle rotte clandestine, dei sequestri silenziosi e dei gruppi armati che conoscono perfettamente le pieghe della geografia nautica e delle debolezze politiche di intere regioni. Una minaccia che non chiede di essere osservata: semplicemente, ritorna.
«La lotta agli Huthi ha sottratto risorse. Contro i sequestri i mezzi sono limitati»
Stefano Ràkos, è manager del dipartimento di intelligence e responsabile del progetto M.a.r.e. di Praesidium.
In che modo la pirateria nel Golfo di Guinea nel 2025 dimostra una crescente capacità organizzativa rispetto agli anni precedenti?
«La crescente capacità organizzativa emerge soprattutto dall’elevata adattabilità dei pirati al contesto di sicurezza. I gruppi dimostrano di monitorare costantemente l’evoluzione delle misure di protezione, inclusa l’estensione progressiva delle aree coperte da scorte armate o navi militari, e di raccogliere informazioni attraverso canali aperti e circuiti informali. Le aree di attacco vengono quindi selezionate in modo sempre più mirato, privilegiando i settori dove le scorte armate non sono consentite per motivi legali o di scarsa presenza di asset militari. Gli assalti risultano basati su informazioni preventive sui movimenti delle navi e non più su opportunità casuali, indicando un livello di pianificazione e coordinamento superiore rispetto al passato».
Quali fattori hanno consentito ai gruppi criminali dell’Oceano Indiano di tornare a operare a distanze così elevate dalla costa somala, arrivando a colpire navi a oltre 700 miglia?
«A partire dalla fine del 2023, il ritorno delle attività pirata a distanze superiori alle 700 miglia dalla costa somala è stato favorito dallo spostamento dell’attenzione navale internazionale verso il Mar Rosso e il Golfo di Aden a seguito della crisi legata agli Huthi, con una conseguente riduzione della pressione di controllo nell’Oceano Indiano. La fine del monsone ha ripristinato condizioni meteomarine favorevoli alle operazioni offshore. Sul piano operativo, si è registrata una persistente limitata capacità di interdizione effettiva da parte degli assetti navali internazionali. Nel caso del dirottamento della Ruen nel dicembre 2023, così come in un più recente episodio con dinamiche analoghe, le forze presenti si sono limitate ad attività di monitoraggio a distanza, senza procedere a un’azione diretta di interruzione prima del rientro delle unità verso le coste somale. Questo approccio ha di fatto confermato ai gruppi criminali l’esistenza di ampi margini di manovra operativa, rafforzando la percezione di un basso livello di rischio nelle fasi successive al sequestro».
Che ruolo ha giocato la cooperazione regionale degli Stati dell’Africa occidentale nella gestione dei sequestri e nella risposta agli attacchi, e quali limiti emergono da questi interventi?
«Nella pratica, la cooperazione regionale tra gli Stati dell’Africa occidentale ha inciso in modo molto limitato sulla gestione dei sequestri e sulla risposta agli attacchi. I principali quadri di riferimento, tra cui Ecowas e l’Architettura di Yaoundé con i relativi centri di coordinamento regionali, hanno prodotto soprattutto meccanismi formali di cooperazione e scambio informativo. Tuttavia, tali strutture non si sono tradotte in una capacità operativa realmente integrata. Le risposte restano nazionali, frammentate e spesso tardive, con forti disomogeneità tra le marine locali».
In che misura l’utilizzo di dhow come «navi madre» rappresenta un salto qualitativo nelle operazioni dei pirati somali, e quali rischi introduce per le rotte commerciali globali?
«L’impiego dei dhow come navi madre non rappresenta una tattica nuova, ma una strategia già utilizzata dai pirati somali in passato e oggi tornata pienamente operativa. Questo schema consente di superare i limiti degli skiff, che per autonomia di carburante e condizioni del mare non possono spingersi troppo lontano dalla costa. L’uso di un’imbarcazione più grande permette invece di operare a grande distanza, trasportando uomini, carburante e mezzi d’assalto in aree di mare molto più estese. Una volta avvicinato il bersaglio, vengono poi impiegati gli skiff, più rapidi e adatti alla fase di abbordaggio. Ne deriva un ampliamento diretto dell’area di rischio e una maggiore esposizione delle rotte commerciali globali, anche in settori che in passato erano considerati marginali rispetto alla minaccia pirata. Negli anni d’oro della pirateria somala il loro raggio operativo raggiungeva addirittura le Maldive».
Quali segnali osservabili indicano che nel 2025 la pirateria non è un fenomeno residuale ma un ecosistema in evoluzione che sfrutta lacune statali e vuoti di sicurezza internazionale?
«Nel contesto dell’Oceano Indiano, l’assenza di un controllo statale effettivo su ampie porzioni del territorio somalo continua a costituire un fattore strutturale di instabilità, che facilita la riorganizzazione delle reti criminali. Le missioni navali internazionali, tra cui le componenti europee e le task force multinazionali, non esercitano più il livello di deterrenza raggiunto negli anni precedenti. La Marina indiana mantiene una presenza attiva nella regione, ma gli interventi risultano spesso legati alla presenza di cittadini indiani a bordo delle unità coinvolte. Nel Golfo di Guinea, il quadro appare ancora più critico. I gruppi criminali nigeriani operano con crescente frequenza al di fuori della zona economica esclusiva della Nigeria, spesso in aree dove l’impiego di scorte armate non è consentito. I tempi di risposta delle marine locali risultano generalmente elevati e frammentati, in assenza di un dispositivo internazionale strutturato analogo a quello attivo in Oceano Indiano».
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