
Per la poltrona di vicepresidente, Forza Italia punta su Michele Cerabona e Alessio Lanzi, ma anche la Lega non molla. Malumori tra i grillini perché i loro membri laici provengono tutti da ambienti di sinistra.Silvio Berlusconi prepara il colpaccio. E dopo anni di battaglie con i magistrati potrebbe per la prima volta vedere uno dei suoi avvocati eletto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Si tratta della carica più ambita nell'organo di autogoverno delle toghe, il numero due dopo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La nomina sarà decisa a settembre, votata tra gli otto membri laici appena eletti dal Parlamento. L'incarico si andrebbe ad aggiungere a quelli già prestigiosi conquistati da Forza Italia, come la presidenza del Senato con Maria Elisabetta Alberti Casellati o la presidenza della Vigilanza Rai con l'ex giornalista Mediaset Antonio Barachini. Ma il Csm avrebbe un altro valore. Soprattutto in questo contesto, dove spicca il nome di Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite, leader della corrente Autonomia e indipendenza, da sempre ai ferri corti con il Cavaliere e simbolo di una certa cultura giustizialista in Italia. «Ma nonostante la presenza di Davigo e Sebastiano Ardita questo è uno dei Csm più garantisti degli ultimi anni. La presidenza per Forza Italia sarebbe più che giusta anche perché i nomi in campo sono di grande esperienza», spiega una fonte di palazzo dei Marescialli. L'indiscrezione circola da qualche giorno. Ma c'è chi scommette che i giochi non siano ancora del tutto chiusi. Non sarà facile far digerire una nomina di questo tipo ai 5 stelle, figuriamoci allo stesso Davigo. Eppure i due avvocati indicati da Forza Italia, eletti dal Parlamento e possibili sostituti di Giovanni Legnini, sono di alto profilo, accademico e professionale. Il primo è Michele Cerabona, penalista napoletano, già collega dello storico avvocato e oggi senatore Niccolò Ghedini, quando Berlusconi era sotto processo per la compravendita dei senatori o anche in quello in cui era coinvolto Gianpaolo Tarantini. Il secondo è Alessio Lanzi, avvocato cassazionista, coordinatore della sezione di diritto privato dell'economia del Dipartimento di scienze economico aziendali e diritto per l'economia dell'Università degli Studi di Milano Bicocca. Lanzi è un'istituzione in Italia nel diritto penale tributario. Non ha mai seguito direttamente il Cav, ma è stato l'avvocato di David Mills e ha ottenuto l'assoluzione, insieme con un altro principe del foro come Franco Coppi, del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, nel processo Mediatrade. Al momento questi sono i nomi più forti per la vicepresidenza. Ma allo stesso tempo anche la Lega non demorde. E dopo aver conquistato un posto nella Corte costituzionale con il costituzionalista esperto di federalismo Luca Antonini, non vuole lasciare spazio ai 5 stelle. I nomi dei leghisti sono quelli degli avvocati Stefano Cavanna ed Emanuele Basile. A quanto pare il secondo avrebbe più possibilità rispetto al primo, impegnato con lo studio Archè di Genova nella difesa del Carroccio di fronte alla Procura genovese che chiede il sequestro di 49 milioni di euro sui conti dopo la condanna in primo grado di Umberto Bossi e Francesco Belsito. Infine c'è il capitolo 5 stelle. I membri laici grillini arrivano tutti dal centrosinistra. Alberto Maria Benedetti, docente di diritto privato a Genova, è stato allievo di Vincenzo Roppo, storico civilista di area di centrosinistra, già consigliere regionale in Liguria per il Pci, poi anche consigliere della Rai. Di Filippo Donati si è già scritto molto, costituzionalista fiorentino, a favore del referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi, la sua candidatura e la successiva elezione hanno scatenato qualche malumore tra i grillini. Donati vanterebbe un'amicizia di lunga data con il premier Giuseppe Conte ed è in ottimi rapporti anche il Guardasigilli, Alfonso Bonafede. L'unico che però può definirsi pentastellato è Fulvio Gigliotti, da sempre simpatizzante di Beppe Grillo, ordinario di diritto privato a Catanzaro. Per David Ermini, toscano e renziano di ferro, unico del Pd a entrare a palazzo dei Marescialli, le possibilità di arrivare alla vicepresidenza sono molto poche. Dopo cinque anni di Legnini è arrivato il momento di cambiare pagina.
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
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Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






