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2020-12-01
Il capo dei cervelloni del Cts strilla e nessuno l’ascolta. Che ci sta a fare?
Coordina il Cts a titolo gratuito, però che ce ne facciamo di un capo degli esperti che difende il diritto allo studio solo a parole? Nell'ultima settimana, Agostino Miozzo ha messo insieme non verbali o pareri sulla didattica in presenza ma dichiarazioni sorprendenti, affermando che «non ha mai sostenuto la necessità di chiudere le scuole» e che vorrebbe «poter scendere in piazza» a protestare con gli studenti, tanto per citare le ultime perle del medico padovano. Ieri, intervenendo a Studio24 su RaiNews24, si è addirittura lamentato perché è «da aprile che il Cts parla di riaprire in sicurezza per studenti, docenti e personale non docente. Sappiamo quali sono i rischi, prevalentemente prima e dopo le lezioni quando ci sono gli assembramenti, perché in aula vengono rispettate le norme previste».
Insegnanti, genitori, alunni si staranno domandando come mai il numero uno di un team di cervelloni resti inascoltato dal governo. Eppure ci capirebbe così tanto, addirittura dichiara: «È più facile che uno studente risulti contagiato da Covid-19 se non frequenta la scuola e fa didattica a distanza piuttosto che il contrario, il rischio è molto sbilanciato e quindi i ragazzi è meglio mandarli in aula». Miozzo si fa passare per voce di uno che grida nel deserto, ma non è che il problema sia proprio lui? Tutto il Paese da mesi pende dalle indicazioni degli esperti del Cts, dai loro scenari sempre più cupi e catastrofici. Elaborano documenti ai quali dobbiamo grande parte delle restrizioni che subiamo, poi ci pensa il governo ad aggiungere misure ancora più contenitive. Se la scuola fosse stata davvero una priorità, l'avremmo capito tutti dai dpcm adottati su consiglio degli scienziati. Invece rimaniamo gli unici in Europa con la didattica a distanza. Austria, Belgio e Grecia hanno chiuso solo per due settimane, l'Italia mantiene gli studenti a casa fino al prossimo gennaio. Il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, difende la scuola senza essere riuscita a farla ripartire in sicurezza, il premier Giuseppe Conte ha mezzo promesso una riapertura prima di Natale pur sapendo che la riorganizzazione del trasporto pubblico e quella dei servizi sanitari territoriali rimangono ostacoli irrisolti, intanto il capo del Cts strilla perché non lo ascoltano.
La pantomima si arricchisce attraverso le molteplici interviste che il medico di Camposampiero, esperto di crisi ed emergenze in giro per il mondo, rilascia a destra e a manca. «Avremo una generazione di liceali che andrà all'esame di Stato a giugno avendo perso il contatto fisico con l'universo scolastico per quasi un anno. È un danno incommensurabile», dichiara al Corriere della Sera. «Ho la posta elettronica invasa da messaggi di genitori che mi raccontano le difficoltà e i drammi dei loro figli. Non ci rendiamo conto che la nostra incapacità di trovare soluzioni al problema della scuola sta aiutando a costruire una generazione di ragazzi fragili ed insicuri», confida il nostro a La Stampa. Il tono si fa più accorato, Miozzo si gonfia di sdegno: «Sembra evidente che la scuola sia la vittima sacrificale della nostra società; è molto più semplice chiudere una scuola che ritardare l'apertura di un nuovo centro commerciale, anche perché i ragazzi non votano».
Fosse un docente, un precario che si è visto sospendere il concorsone o un genitore che sta impazzendo con tre figli a casa, la protesta, anzi lo sfogo sarebbero comprensibili. Ma a parlare a ruota libera è il coordinatore del comitato istituito lo scorso febbraio per fornire consulenza al capo del dipartimento della Protezione civile. La massima autorità, tra gli esperti che consigliano quali misure di prevenzione è necessario adottare per fronteggiare la diffusione del coronavirus. Lo stesso Agostino Miozzo, tra un'ospitata e l'altra afferma che «come Cts ci confrontiamo con una comunità scientifica internazionale. Per le scuole ci siamo confrontati costantemente con l'Oms e altre istituzioni». Con questi ottimi risultati, viene proprio da dire, considerato che i nostri studenti sono stati penalizzati rispetto a quando accade nel resto dell'Europa. Il Cts che monitora la situazione epidemiologica in Italia non ha proprio difeso «il diritto alla scuola», di cui oggi il sessantasette coordinatore si fa tardivo paladino.
Miozzo afferma di non esprimere «un pensiero personale», ma di riflettere il pensiero «di tutti i colleghi del comitato», e questo se vogliamo è ancora peggio. Se la scuola fosse stata una questione al centro delle raccomandazioni degli esperti, il governo non sarebbe rimasto così sordo all'esigenza di non privare della didattica in presenza milioni di studenti. Il medico padovano in pensione, che nel 2017 aveva dichiarato: «Non ho voglia di chiudere la mia carriera ammuffendo chiuso in un ufficio», ed era anche disponibile a fare il commissario alla Sanità in Calabria (carica poi sfumata) parla tutti i giorni, lancia appelli ma è solo con il Cts che poteva fare qualche cosa di buono per la scuola e per i nostri studenti.
Gattuso rimbrotta l’anima di Napoli
Napoli in zona azzurra, come la maglia della squadra di Aurelio De Laurentiis. Tanto qui tutto va bene e ognuno può fare quel che vuole. Come riversarsi a migliaia intorno allo stadio per rendere onore a Diego Armando Maradona, assiepandosi senza lo straccio di una mascherina. Insomma, vedendo le immagini del San Paolo nei giorni scorsi, vien quasi da pensare che il Pibe de oro abbia compiuto l'ultimo miracolo: far sparire il Covid-19, ma solo per chi ha creduto in lui, e quindi a Napoli e dintorni. Sedicenti autorità tutte mute, per carità, che come si apre bocca si rischia di perdere ciò che hanno di più caro al mondo, i voti, e meno male che c'è Ringhio Gattuso, che ha detto quello che mezza Italia pensava, ma non aveva il coraggio di dire per paura di essere tacciata di razzismo. «Ho visto troppi senza mascherina…fate i bravi che ne paghiamo le conseguenze», ha chiesto l'allenatore degli azzurri, dopo aver battuto la Roma.
Insomma, nel silenzio degli altri, Rino Gattuso, ex giocatore del Milan e della nazionale, è assurto a unica guida politica e morale della città. Questo perché nella notta di domenica, dopo una bella vittoria per 4-0, ai microfoni di Sky, ha lanciato il suo appello: «Si respira un'aria triste (per la morte di Maradona, ndr), ma in questo momento la città deve avere anche buon senso: c'è troppa gente senza mascherina». E per evitare di essere accusato di sacrilegio, ha spiegato: «Maradona è una leggenda e lo sanno tutti, però in questo momento bisogna fare i bravi perché sennò ne pagheremo le conseguenze tutti quanti […] Da domani spero che si comincino a fare le cose come si deve, perché la città sta soffrendo tanto per Maradona ma anche per tutti i negozi chiusi e per l'economia». «Tutti noi», ha concluso Gattuso, «abbiamo il dovere di fare le cose fatte bene».
Prima di lui, né il ministro della Salute Roberto Speranza, né il sindaco Luigi De Magistris, né il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, avevano osato smettere di lisciare il pelo ai napoletani in lutto.
De Luca, dopo aver minacciato il lanciafiamme non solo ai suoi sudditi ma a mezza Italia, isole comprese, ha ritrovato la parola cinque ore dopo l'allenatore: «Desidero ringraziare Rino Gattuso ed esprimere apprezzamento per il suo appello ad osservare comportamenti rigorosi al termine di Napoli-Roma». Peccato che tre giorni prima, quando a Napoli c'era già il liberi tutti, il presidente della Campania si fosse limitato a scrivere sui social: «Unico, irripetibile genialità, il più grande di tutti, il più amato di tutti. Un grande uomo di calcio, un grande uomo di sport che prima del mondo intero, ha fatto innamorare Napoli perché di slancio e senza ipocrisia ha saputo scoprirne e interpretarne l'anima». Parole alate, anche se un giorno qualcuno dovrà spiegarci se questa famosa «anima di Napoli», che naturalmente possono capire solo i napoletani, sia minimamente, non diciamo, governabile, ma almeno assoggettabile a confronto dialettico.
Non pervenuti anche Speranza, quello che non ci farebbe fare il Natale neppure con la nonna, e il sindaco-pm De Magistris, un uomo dall'esposto facile. Certo, sempre guardando le immagini qui dall'Alta Italia, il leghista Roberto Calderoli aveva osato chiedere con ironia se la Campania fosse zona rossa («Forse ho capito male io», aveva detto il vicepresidente del Senato). Lo hanno criticato, ma certo, è della Lega ed è di Bergamo, quindi non può capire «l'anima di Napoli». Ma adesso che ha parlato il calabrese Gattuso, forse si può almeno criticare l'extraterritorialità di Napoli, senza passare per razzisti.
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Il Paese da mesi pende dalle indicazioni degli esperti guidati da Agostino Miozzo, che si fa tardivo paladino della riapertura delle scuole. Il governo rimane sordo ai suoi appelli. Lui si sdegna ma resta al suo posto.I tifosi del Napoli si riversano in migliaia e senza mascherine allo stadio per l'omaggio a Diego Armando Maradona. L'allenatore Gennaro Gattuso è l'unico che trova il coraggio di parlare a fronte dei politici diventati muti.Lo speciale contiene due articoli.Coordina il Cts a titolo gratuito, però che ce ne facciamo di un capo degli esperti che difende il diritto allo studio solo a parole? Nell'ultima settimana, Agostino Miozzo ha messo insieme non verbali o pareri sulla didattica in presenza ma dichiarazioni sorprendenti, affermando che «non ha mai sostenuto la necessità di chiudere le scuole» e che vorrebbe «poter scendere in piazza» a protestare con gli studenti, tanto per citare le ultime perle del medico padovano. Ieri, intervenendo a Studio24 su RaiNews24, si è addirittura lamentato perché è «da aprile che il Cts parla di riaprire in sicurezza per studenti, docenti e personale non docente. Sappiamo quali sono i rischi, prevalentemente prima e dopo le lezioni quando ci sono gli assembramenti, perché in aula vengono rispettate le norme previste». Insegnanti, genitori, alunni si staranno domandando come mai il numero uno di un team di cervelloni resti inascoltato dal governo. Eppure ci capirebbe così tanto, addirittura dichiara: «È più facile che uno studente risulti contagiato da Covid-19 se non frequenta la scuola e fa didattica a distanza piuttosto che il contrario, il rischio è molto sbilanciato e quindi i ragazzi è meglio mandarli in aula». Miozzo si fa passare per voce di uno che grida nel deserto, ma non è che il problema sia proprio lui? Tutto il Paese da mesi pende dalle indicazioni degli esperti del Cts, dai loro scenari sempre più cupi e catastrofici. Elaborano documenti ai quali dobbiamo grande parte delle restrizioni che subiamo, poi ci pensa il governo ad aggiungere misure ancora più contenitive. Se la scuola fosse stata davvero una priorità, l'avremmo capito tutti dai dpcm adottati su consiglio degli scienziati. Invece rimaniamo gli unici in Europa con la didattica a distanza. Austria, Belgio e Grecia hanno chiuso solo per due settimane, l'Italia mantiene gli studenti a casa fino al prossimo gennaio. Il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, difende la scuola senza essere riuscita a farla ripartire in sicurezza, il premier Giuseppe Conte ha mezzo promesso una riapertura prima di Natale pur sapendo che la riorganizzazione del trasporto pubblico e quella dei servizi sanitari territoriali rimangono ostacoli irrisolti, intanto il capo del Cts strilla perché non lo ascoltano. La pantomima si arricchisce attraverso le molteplici interviste che il medico di Camposampiero, esperto di crisi ed emergenze in giro per il mondo, rilascia a destra e a manca. «Avremo una generazione di liceali che andrà all'esame di Stato a giugno avendo perso il contatto fisico con l'universo scolastico per quasi un anno. È un danno incommensurabile», dichiara al Corriere della Sera. «Ho la posta elettronica invasa da messaggi di genitori che mi raccontano le difficoltà e i drammi dei loro figli. Non ci rendiamo conto che la nostra incapacità di trovare soluzioni al problema della scuola sta aiutando a costruire una generazione di ragazzi fragili ed insicuri», confida il nostro a La Stampa. Il tono si fa più accorato, Miozzo si gonfia di sdegno: «Sembra evidente che la scuola sia la vittima sacrificale della nostra società; è molto più semplice chiudere una scuola che ritardare l'apertura di un nuovo centro commerciale, anche perché i ragazzi non votano». Fosse un docente, un precario che si è visto sospendere il concorsone o un genitore che sta impazzendo con tre figli a casa, la protesta, anzi lo sfogo sarebbero comprensibili. Ma a parlare a ruota libera è il coordinatore del comitato istituito lo scorso febbraio per fornire consulenza al capo del dipartimento della Protezione civile. La massima autorità, tra gli esperti che consigliano quali misure di prevenzione è necessario adottare per fronteggiare la diffusione del coronavirus. Lo stesso Agostino Miozzo, tra un'ospitata e l'altra afferma che «come Cts ci confrontiamo con una comunità scientifica internazionale. Per le scuole ci siamo confrontati costantemente con l'Oms e altre istituzioni». Con questi ottimi risultati, viene proprio da dire, considerato che i nostri studenti sono stati penalizzati rispetto a quando accade nel resto dell'Europa. Il Cts che monitora la situazione epidemiologica in Italia non ha proprio difeso «il diritto alla scuola», di cui oggi il sessantasette coordinatore si fa tardivo paladino.Miozzo afferma di non esprimere «un pensiero personale», ma di riflettere il pensiero «di tutti i colleghi del comitato», e questo se vogliamo è ancora peggio. Se la scuola fosse stata una questione al centro delle raccomandazioni degli esperti, il governo non sarebbe rimasto così sordo all'esigenza di non privare della didattica in presenza milioni di studenti. Il medico padovano in pensione, che nel 2017 aveva dichiarato: «Non ho voglia di chiudere la mia carriera ammuffendo chiuso in un ufficio», ed era anche disponibile a fare il commissario alla Sanità in Calabria (carica poi sfumata) parla tutti i giorni, lancia appelli ma è solo con il Cts che poteva fare qualche cosa di buono per la scuola e per i nostri studenti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-capo-dei-cervelloni-del-cts-strilla-e-nessuno-lascolta-che-ci-sta-a-fare-2649090007.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gattuso-rimbrotta-lanima-di-napoli" data-post-id="2649090007" data-published-at="1606799452" data-use-pagination="False"> Gattuso rimbrotta l’anima di Napoli Napoli in zona azzurra, come la maglia della squadra di Aurelio De Laurentiis. Tanto qui tutto va bene e ognuno può fare quel che vuole. Come riversarsi a migliaia intorno allo stadio per rendere onore a Diego Armando Maradona, assiepandosi senza lo straccio di una mascherina. Insomma, vedendo le immagini del San Paolo nei giorni scorsi, vien quasi da pensare che il Pibe de oro abbia compiuto l'ultimo miracolo: far sparire il Covid-19, ma solo per chi ha creduto in lui, e quindi a Napoli e dintorni. Sedicenti autorità tutte mute, per carità, che come si apre bocca si rischia di perdere ciò che hanno di più caro al mondo, i voti, e meno male che c'è Ringhio Gattuso, che ha detto quello che mezza Italia pensava, ma non aveva il coraggio di dire per paura di essere tacciata di razzismo. «Ho visto troppi senza mascherina…fate i bravi che ne paghiamo le conseguenze», ha chiesto l'allenatore degli azzurri, dopo aver battuto la Roma. Insomma, nel silenzio degli altri, Rino Gattuso, ex giocatore del Milan e della nazionale, è assurto a unica guida politica e morale della città. Questo perché nella notta di domenica, dopo una bella vittoria per 4-0, ai microfoni di Sky, ha lanciato il suo appello: «Si respira un'aria triste (per la morte di Maradona, ndr), ma in questo momento la città deve avere anche buon senso: c'è troppa gente senza mascherina». E per evitare di essere accusato di sacrilegio, ha spiegato: «Maradona è una leggenda e lo sanno tutti, però in questo momento bisogna fare i bravi perché sennò ne pagheremo le conseguenze tutti quanti […] Da domani spero che si comincino a fare le cose come si deve, perché la città sta soffrendo tanto per Maradona ma anche per tutti i negozi chiusi e per l'economia». «Tutti noi», ha concluso Gattuso, «abbiamo il dovere di fare le cose fatte bene». Prima di lui, né il ministro della Salute Roberto Speranza, né il sindaco Luigi De Magistris, né il presidente della Regione, Vincenzo De Luca, avevano osato smettere di lisciare il pelo ai napoletani in lutto. De Luca, dopo aver minacciato il lanciafiamme non solo ai suoi sudditi ma a mezza Italia, isole comprese, ha ritrovato la parola cinque ore dopo l'allenatore: «Desidero ringraziare Rino Gattuso ed esprimere apprezzamento per il suo appello ad osservare comportamenti rigorosi al termine di Napoli-Roma». Peccato che tre giorni prima, quando a Napoli c'era già il liberi tutti, il presidente della Campania si fosse limitato a scrivere sui social: «Unico, irripetibile genialità, il più grande di tutti, il più amato di tutti. Un grande uomo di calcio, un grande uomo di sport che prima del mondo intero, ha fatto innamorare Napoli perché di slancio e senza ipocrisia ha saputo scoprirne e interpretarne l'anima». Parole alate, anche se un giorno qualcuno dovrà spiegarci se questa famosa «anima di Napoli», che naturalmente possono capire solo i napoletani, sia minimamente, non diciamo, governabile, ma almeno assoggettabile a confronto dialettico. Non pervenuti anche Speranza, quello che non ci farebbe fare il Natale neppure con la nonna, e il sindaco-pm De Magistris, un uomo dall'esposto facile. Certo, sempre guardando le immagini qui dall'Alta Italia, il leghista Roberto Calderoli aveva osato chiedere con ironia se la Campania fosse zona rossa («Forse ho capito male io», aveva detto il vicepresidente del Senato). Lo hanno criticato, ma certo, è della Lega ed è di Bergamo, quindi non può capire «l'anima di Napoli». Ma adesso che ha parlato il calabrese Gattuso, forse si può almeno criticare l'extraterritorialità di Napoli, senza passare per razzisti.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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