2019-08-10
Il Bullo è disperato e ci prova con i grillini
Nonostante i toni da battaglia di Matteo Renzi, i suoi aprono un canale con Luigi Di Maio. Andrea Marcucci: «L'unico incubo è il Capitano premier». La trappola: anticipare la sfiducia a Matteo Salvini rispetto a Giuseppe Conte e allontanare le urne. E colpire il segretario dem che vuole il voto.Nel grande caleidoscopio del Partito democratico gli amici diventano nemici e viceversa. E la minoranza renziana continua a giocare la sua partita non solo in autonomia, ma addirittura contro la linea del segretario. Lui, l'uomo di Rignano, apparentemente adotta toni belligeranti: «Leviamoci di dosso il vestito da fighetti, c'è bisogno di indossare la maglietta da battaglia. Non riuscirei a guardarmi allo specchio se lasciassi un Paese nelle mani di chi istiga ad avere paura degli altri». Ma la linea la spiega bene il capogruppo al Senato (renziano anche lui) Andrea Marcucci: «Faccio appello a tutti i gruppi parlamentari: evitiamo che si consumi lo strappo più grave. Il prossimo candidato premier non può essere il ministro dell'Interno che ci porta al voto». E ancora, a chi gli chiede se ci può essere un governo elettorale: «Per noi il Paese viene sempre prima di tutto». Il discorso culmina nell'atto di ribaltare l'ordine delle mozioni: la Lega vuole votare la sfiducia a Conte? Prima si porti in Aula la sfiducia del Pd a Salvini. Manovra che serve a prendere tempo e a segnalare volontà di dialogo, di prendere tempo, insomma di accordarsi con il M5s.E il segretario? Giovedì sera nella notte in cui la crisi deflagra, davanti alla platea di Reggio Emilia, e a In Onda, su La7, Nicola Zingaretti spiega, ripete e ribadisce la sua strategia: «Non c'è nessun governo possibile, all'orizzonte, solo il voto». E i retroscenisti impazzano. Da tre giorni il Foglio scrive di un suo fantomatico incontro con Matteo Salvini (i contatti ci sono stati, e diretti). Sulle stesse pagine la matita di Makkox arriva a immaginare il leader del Pd nella parodia del famoso graffito di Tv boy, mentre bacia in bocca Salvini. E lo raffigura come quella celebre icona di un anno fa, in cui baciava Di Maio. La notizia dell'incontro non è vera, i due non si sono mai visti fisicamente in privato, o almeno così dicono le fonti del Nazareno. Ma tuttavia non lo fanno per smentire l'entente cordiale, anzi. È vero che i due si sono sentiti in questi giorni intessuti di relazioni complesse, soprattutto scambiandosi dei messaggi. In questo momento Salvini, che avrà Zingaretti come avversario nelle elezioni politiche, se lo ritrova come «alleato oggettivo» per convergenza di interessi nella gestione delicatissima del pre-voto. Il Pd delle mille anime, il partito dei due contendenti divisi e separati in casa, si produce in un sorprendente ribaltamento di ruoli e di parti che con i normali canoni della politica sarebbe assolutamente inspiegabile. Fino a ieri il grande nemico di qualsiasi dialogo con i 5 stelle era Matteo Renzi, mentre il grande amico del Movimento era il governatore del Lazio (se non altro perché con loro ci governava insieme con una sorta di astensione benevola di Roberta Lombardi in consiglio regionale). Da ieri, il quadro si è completamente ribaltato: Zingaretti è l'uomo del grande No (nel modo che abbiamo visto), mentre Renzi e i suoi sono diventati repentinamente i sostenitori di un governo di scopo, o almeno un governo elettorale con aspettativa di vita possibilmente più ampia dei tre mesi, insomma qualsiasi cosa tengo in piedi la legislatura. Quello che la politica e la razionalità non possono spiegare, diventa intelligibile solo alla luce delle fasi alterne e delle guerre bizantina e che dividono il partito da ormai venti anni. I renziani sono maggioranza nel gruppo parlamentare del Senato e sono ampiamente sovrarappresentati in quello della Camera: in caso di voto anticipato verrebbero sterminati, con la stessa ferocia che Renzi usò contro tutti i suoi oppositori per piazzare i propri nominati nelle liste. Ma in queste ore esistono anche canali carsici che collegano i 5 stelle ad alcuni pontieri del Partito democratico: i franceschiniani (e personalmente Zanda, il grande cerimoniere di mille stagioni politiche), persino Marco Minniti che ha rapporti di conoscenza con i grillini che hanno ereditato le deleghe per i servizi e sta dialogando con il fedelissimo di Di Maio, Spadafora. C'è dunque una grande nuvola di relazioni, consultazioni, abboccamenti, ipotesi che in queste ore si solleva intorno i due nemici feroci di un tempo. Fu un deputato dei grillini - Massimo Felice De Rosa - a gridare alle deputate del Pd: «Siete qui perché sono stati fatti troppi pompini!». Ed era ai deputati dem che gli uomini del M5s in parlamento gridavano «ladri!», «venduti!», «Onestà! onestà!». Tuttavia, anche nei momenti più duri, uomini che provengono da quest'area politica democratica hanno sempre mantenuta ferma l'idea di una grande alleanza antifascista. Il primo è Massimo Cacciari, che ne ha sempre parlato nelle sue interviste nei suoi interventi televisivi a Otto e mezzo. E la seconda è la vice presidente dell'Emilia-Romagna Elisabetta Gualmini, che considerava «indispensabile» quel dialogo. Il terzo è un altro zingarettiano, il vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, oggi eurodeputato: «I grillini non sono i nostri nemici, sono gli unici che possono aiutarti a sconfiggere la Lega», ha sempre ripetuto. Adesso, nel corso di tutto il circuito impazzito dell'amore, del rancore e dell'odio, tra le pressioni dei grandi vecchi e la moral suasion del Colle, tutto diventa possibile. Anche che, in pieno agosto, Renzi sia il primo fautore del dialogo con i grillini. La capigruppo di lunedì porterà tutto allo scoperto.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci