2021-02-02
Il Bullo d’Arabia prova a fregare Giuseppi sui servizi
Luigi Di Maio ha bloccato l'export verso Riad per fare un dispetto al conferenziere. Regalando così visibilità internazionale a Matteo Renzi. Che ora vuole sostituire Pietro Benassi con il dem Enrico Borghi. Innescando la rissa Pd-grilliniBisogna dare atto a Matteo Renzi che la sua capacità di essere divisivo è pari all'abilità di muoversi tra i palazzi. Non solo quelli romani, adesso pure quelli della geopolitica internazionale. È riuscito, anche grazie ai media attenti solo a controllare l'applicazione dei dpcm, a trasformare un suo viaggio in Arabia Saudita da intervento retribuito 80.000 euro (quello che è) a viaggio di Stato per saldare i rapporti con i regnanti di Riad. Nessuno dentro il suo partito ha avuto il coraggio di inquadrare la realtà, Pd e 5 stelle sono stati zitti. L'unica mossa è stata mettere il blocco all'export di armi verso l'Arabia in contemporanea con il rientro dell'ex sindaco in Italia. La scelta celebrata da Luigi Di Maio ha avuto l'effetto opposto rispetto rispetto ai desiderata grillini. Non ha messo Renzi nella black list, ma lo ha elevato tra i leader internazionali e ha fatto passare in secondo piano la sua spregiudicatezza. Molti politici vengono pagati per presenziare a conferenze. Ma non da senatori in carica, solo quando hanno appeso il cappello da parlamentare al chiodo. Il bando all'export di armi colpisce un grosso contratto firmato nel 2016, quando Renzi era a Palazzo Chigi, e mira a fornire al Qatar l'assiste per riallineare l'area e avvicinarsi alla Turchia. Non a caso Anadolu, l'agenzia stampa turca, nel dare la notizia del bando ha tenuto a specificare che l'origine dei rapporti sta nel governo di centrosinistra a matrice renziana. Messaggi a cui l'ex sindaco di Firenze ha risposto ribadendo la necessità di stare al fianco dei sauditi nella lotta al terrorismo. Vero. Peccato che non bisognerebbe mai mischiare le attività personali con le strategie sulla sicurezza nazionale. Non solo. Ci vorrebbe anche trasparenza. Di che cosa avrà parlato Renzi con i rappresentanti di Mohamed bin Salman? Del mega progetto vicino al confine con Israele e della possibilità di aziende italiane di parteciparvi? E se sì, quali? Oppure del ruolo dell'Italia nello scacchiere libico dove gli avversari dei sauditi bisbocciano? Ma soprattutto in un mondo in cui ciò che sembra è a volte più importante di ciò che è, che conclusioni avrà tratto la nuova amministrazione Usa impegnata in queste ore a modificare gli equilibri in Medio Oriente? Capiremo a breve se nel braccio di ferro tra il leader di Italia viva e i grillini (al momento Pd non pervenuto) che si mostrano vicini all'emirato del Qatar, l'amministrazione di Joe Biden sceglierà come interlocutore il primo al posto dei secondi. Nel frattempo Renzi continua a sfruttare benissimo le dinamiche internazionali per il suo vantaggio politico interno. Così, man mano che ottiene risultati nel contrasto alla nascita del Conte ter, alza la posta. Ieri, per esempio, compreso che il neo sottosegretario con delega ai servizi, Pietro Benassi, non ha ricevuto tutte le deleghe (scusate il gioco di parole), è partito all'attacco. Facendo sapere di essere pronto a chiedere la sua testa. Non solo. Ha anche fatto filtrare la notizia che al suo posto vorrebbe il deputato del Pd Enrico Borghi, attuale membro del Copasir. Borghi in questi mesi ha portato avanti una battaglia eccellente e da grande conoscitore delle istituzioni. Obiettivo: riportare nel solco della collegialità le decisioni relative al comparto dell'intelligence. Ricordando al premier che le agenzie dipendono dal governo, ma rispondono allo Stato. Tutto, per di più, nell'alveo dell'atlantismo. Renzi sa perfettamente che puntando l'ambasciatore Benassi metterebbe nel mirino anche il direttore del Dis, Gennaro Vecchione. L'ha già fatto nel recente passato. Adesso ci riprova, ma con l'intento di ottenere un altro beneficio (politico): far litigare Conte e il Pd. Ora che il senatore semplice di Scandicci sa che il premier dimissionario non ha abbastanza «costruttori» dalla sua parte, può permettersi di infilare le dita nelle piaghe dell'esecutivo. E alla peggio, se non riuscisse a ottenere un divorzio, potrà essere ancora di più il terzo incomodo. Non si tratta di semplici elucubrazioni. A riprova delle abilità di Renzi va registrata pure l'anomala uscita del diretto interessato Benassi. «Lasciamo lavorare il presidente Fico e le altre forze politiche», ha detto il sottosegretario con delega ai servizi rispondendo a Fanpage.it in merito alle indiscrezioni di stampa relative alla sua carica. Da notare la scelta non casuale della testa: una delle preferite da Rocco Casalino e il passaggio su Fico. L'osservatore non dovrebbe essere lì a stendere un programma di governo, ma a vedere se c'è ancora una maggioranza in grado di sottoscriverlo. Il neo sottosegretario dovrebbe sapere che lasciare lavorare Fico non equivale per forza - né istituzionalmente - a salvaguardare il governo Conte. Cosa che invece sa bene Renzi.