
Il Rottamatore durante il duello a Porta a Porta con Matteo Salvini: «Abbiamo fatto un gioco di Palazzo». Scontro su tutto, tranne che sulle dimissioni di Virginia Raggi. Bruno Vespa: «Siete d'accordo sul fare la festa a Conte...».Ma ci sono o ci fanno? Il confronto tv tra Matteo Salvini e Matteo Renzi ha un vincitore: Bruno Vespa, arbitro di un match tv che rappresenta comunque un evento. Ieri a Porta a Porta i due Matteo si sono affrontati per 90 minuti esatti a colpi di battute, frecciate, qualche colpo sotto la cintura, ma alla fine del match ci si chiede se questi due protagonisti della politica italiana non abbiano, in fondo, e nemmeno tanto, un solo obiettivo: fare fuori, politicamente parlando, Giuseppe Conte. I due arrivano nello studio della Rai, la «terza camera», alle 18.20; entrambi in completo blu, cravatta scura a tinta unita per il senatore di Italia viva, scura con losanghe per il leader della Lega. «Sono 13 anni», gongola Vespa, «che due leader non si confrontano qui, furonoRomano Prodi eSilvio Berlusconi. Vi ringrazio per la vostra presenza».I due iniziano a stuzzicarsi subito: «Renzi», attacca Salvini, «in maniere geniale si è inventato un governo sotto il fungo. Il governo è nato per non fare votare gli italiani, dopo le europee era tutto un no, continuo. No addirittura alle Olimpiadi». «Ero imbarazzato», confessa Renzi, «quando ho dovuto dare la fiducia al governo...». Salvini raccoglie l'assist: «Ma perché non potevano andare a votare come fanno tutti i Paesi normali del mondo?». Renzi accusa il colpo, Salvini non molla la presa: «Sono contento di essere qui stasera perché ho un'idea di Italia diversa da quella della sinistra». «Il colpo di sole da Papeete che ha preso il collega Salvini», ribatte il senatore di Rignano, uscendo dall'angolo, «è evidente. E lo fa rosicare ancora adesso. Ha fatto una cosa che non ha né capo né coda. Non è mai è successo che ci fosse una crisi in questo modo. Quando si vota in questo Paese lo decide la Costituzione, non un beach club a Milano Marittima. Sì», ammette Renzi, «abbiamo fatto un'operazione di Palazzo, ma c'era l'interesse del Paese, io non lo volevo fare un accordo con il M5s».I due Matteo si danno del tu e del lei a seconda del momento. Litigano, si azzuffano, ma quel volpone di Vespa sa bene che il confronto va bene a tutti e due. Salvini spera che Renzi, che già sta piantando grane ogni mezz'ora sulla manovra, prima o poi, più o meno in primavera, faccia cadere il governo di Giuseppe Conte. In cambio, è disposto a concedere all'ex premier un po' di preziosa visibilità a costo zero. «Fare la festa a Conte», provoca Vespa, «è una delle poche cose su cui andate d'accordo». «Non è vero!», risponde immediatamente Renzi, ma non gli crede nessuno. Non a caso, su una cosa i due Matteo si trovano d'accordo: il futuro sindaco di Roma. «Io spero che Virginia Raggi si dimetta domattina», dice Renzi, «abbiamo fatto una petizione. Se c'è una persona che ha fallito come sindaco è lei, se lo faccia dire da un ex sindaco. Molto meglio i sindaci della Lega rispetto a lei». «La Lega raccoglie firme contro la Raggi, lo faremo anche sabato a piazza San Giovanni», argomenta Salvini. Sostituire la parola «Raggi» con la parola «Conte» e avrete chiara la ragione che ha spinto i due Matteo ad affrontare questo confronto tv.Poi, c'è lo spettacolo. Se sia pugilato o wrestling lo sanno solo loro due, ma le botte volano. «Io», attacca il senatore di Rignano, «mai mi permetterei di giudicare le sue ferie e mai quelle con figli e famiglia. Lei però avrebbe fatto migliore figura se quando era in vacanza non si fosse messo in missione in Senato». «I ministri sono sempre in missione, lei non conosce i regolamenti», risponde Salvini. «Io conosco qualcosa che lei non conosce che si chiama buona educazione», ribatte Renzi. «O gli italiani sono cretini», si inalbera Salvini, «e rimbambiti o qualcosa abbiamo fatto. Io sono al 33% e tu sei al 4%. Se in un anno abbiamo raddoppiato i voti è grazie all'abolizione della legge Fornero, grazie alla flat tax. E poi io non mi sognerei mai di creare un partito dalla sera alla mattina. Renzi è un genio incompreso: ha fatto di tutto di buono ma gli italiani non se ne sono accorti». La gara a chi ce lo ha più grosso (il partito) è senza storia, Renzi è costretto a cambiare argomento: «Uomo di parola», azzanna Renzi, «Salvini. Lei Salvini? Era per la Padania e poi è diventato nazionalista. Era comunista padano e ora sta con Casa Pound. Ha tifato contro l'Italia e per la Francia. Ha detto di tutto contro Luigi Di Maio e poi gli ha proposto la premiership. Io ho cambiato idea sul referendum e sul M5s, ma se cambiare idea è simbolo di intelligenza Salvini può puntare al Nobel per la fisica». Sulla manovra Salvini affonda i colpi: «È sbagliato massacrare i lavoratori autonomi nella manovra economica, è un danno incredibile all'economia italiana, in cui il 94% delle aziende ha meno di nove dipendenti. Grazie a quota 100 uomini delle forze dell'ordine, camionisti, infermieri con la schiena rotta, vanno in pensione», dice il leader della Lega. Il match scivola via così, con qualche veleno incrociato sui voli di stato, il Russiagate e altri argomenti caldi. Al 90° l'arbitro Vespa fischia la fine, chi lo sa se ci sarà una rivincita.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.





