
Mario Draghi smina l'ossessione di Bruxelles: «Priorità è produzione» e critica l'accanimento su Londra. Anche Novavax è in ritardo.«Non ne usciamo con i blocchi all'export ma con la produzione dei vaccini, è l'unica cosa che ci farà uscire dalla pandemia e ci ridarà fiducia nel tornare a viaggiare, a costruire relazioni». Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha capito che la guerra commerciale dichiarata da Bruxelles ad Astrazeneca e alla Gran Bretagna alla fine non porterà da nessuna parte. Anzi, rischia di diventare un boomerang per la stessa Europa considerando la mappa mondiale della filiera produttiva, quella che gli inglesi chiamano supply chain. Lo ha spiegato bene lo stesso premier nel corso della conferenza stampa di ieri. Draghi è partito dal meccanismo rafforzato Ue per l'export varato dal Consiglio europeo di giovedì: «Prima l'unico requisito per lo stop all'export di un certo vaccino era il non rispetto del contratto da parte di una società. Ora il criterio è stato allargato introducendo le parole proporzionalità e reciprocità. Conta anche cosa fa il Paese verso cui un vaccino è diretto, ovvero se consente o meno le esportazioni. La proporzionalità riguarda la spedizione di vaccini verso un Paese che ha una percentuale già alta di vaccinati», ha aggiunto. La Commissione ha dunque allargato la «rete» in cui possono cadere le società che esportano. Ma ha anche alzato l'attenzione per evitare provvedimenti che possano interrompere la produzione dei vaccini. Ed ecco il tallone d'Achille dell'Europa: la catena del valore. «Alcuni di questi vaccini sono prodotti in più punti, le varie componenti sono prodotte per esempio negli Stati Uniti, arrivano e vengono infialati in Italia o in altre parti dell'Unione Europea. Nel caso di Pfizer, se si bloccano le esportazioni verso gli Usa, i quali per altro hanno bloccato l'export fuori dal Paese, si interrompe la catena valore e così anche la produzione dei vaccini, perché il principio attivo arriva dall'America», ha detto Draghi. Consapevole di quanto possa essere forte, anche nella guerra dei vaccini, l'asse tra i vecchi alleati Usa-Gb. Proprio nei confronti dell'Inghilterra il presidente del Consiglio ieri ha usato toni ben diversi da quelli minacciosi di Ursula Von der Leyen. «Il revanscismo» tra Ue e Gran Bretagna «non porta a nessuna parte», ha detto ieri. Quanto al contenzioso con Astrazeneca, «l'impressione è che sia interesse di tutti arrivare a un accordo, nessuno ha voglia di andare in tribunale», ha detto ieri rispondendo a una domanda sulla destinazione del vaccino Astrazeneca prodotto nello stabilimento olandese di Halix. Che proprio ieri ha ricevuto il via libera dell'Ema all'immissione in commercio nella Ue delle dosi. L'agenzia europea del farmaco ha dato la stessa autorizzazione anche allo stabilimento tedesco di Marburg, che produce vaccini per Pfizer. Ciò significa che finora quel che è uscito da Marburg non è andato in Europa ma fuori, senza che da Bruxelles si lamentasse nessuno o che qualcuno alimentasse teorie del complotto. Se guardiamo chi produce, chi assembla e chi gestisce i singoli siti, è chiaro che il Vecchio Continente dipende invece da altri. Soprattutto dagli Usa, ma anche dall'India da cui proviene il principio attivo per una parte delle dosi dirette in Uk e in Ue e che proprio in questi giorni ha rallentato le consegne all'estero per accelerare la campagna di vaccinazione nel Paese. Il problema non riguarda solo Astrazeneca, diventata ormai un'ossessione per la Commissione. Non ha infatti avuto la stessa eco mediatica la notizia dei ritardi di un altro vaccino, quello della biotech americana Novavax che non ha ancora firmato il contratto per la fornitura ai Paesi dell'Ue. Bruxelles aveva pianificato di firmare l'intesa all'inizio di quest'anno per almeno 100 milioni di dosi, con un'opzione per altri 100 milioni. Ma la società da settimane sta rinviando la firma. Secondo la versione ufficiale, l'azienda sta affrontando «alcune carenze di approvvigionamento di materie prime». La sensazione però è che Novavax non intenda impegnarsi finché non riceve garanzie chiare perché - viste le mattane di Bruxelles su Astrazeneca - teme che la supply chain possa essere interrotta all'improvviso. E chissà che ne pensa la francese Valneva, in attesa di contratto per 60 milioni di dosi, il cui principio attivo è prodotto in Uk.Altri problemi per le relazioni tra Ue e Usa potrebbero arrivare da eventuali accordi con l'azienda di Tianjin CanSino per acquistare delle dosi del nuovo prodotto «made in China». Dopo l'Ungheria, che lo ha approvato quattro giorni fa per un uso d'emergenza, sarebbero tre le nazioni del Vecchio Continente ad aver avviato contatti con i cinesi per comprare Convidecia - questo il nome del vaccino - che è paragonabile a quello monodose di Jonhson&Johnson. Di certo, non un bel messaggio per Biden davanti al quale gli europei giovedì si son presentati col cappello in mano. Il presidente Usa, tra l'altro, è alle prese con la preoccupazione opposta. Ovvero come gestire il surplus di dosi, visto che entro maggio, se non prima, negli Stati Uniti le forniture supereranno la domanda. Ma nonostante le sollecitazioni che arrivano dall'Europa, gli appelli da Oms e delle Ong a inviare milioni di dosi ai Paesi poveri, la Casa Bianca sarebbe orientata a tenere gran parte di questo surplus in casa.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.
I guai del Paese accentuati da anni di Psoe al governo portano consensi ai conservatori.
A proposito di «ubriacatura socialista» dopo l’elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani e di «trionfo» della Generazione Z (il nuovo primo cittadino avrebbe parlato «a Millennial e giovani»), è singolare la smentita di tanto idillio a sinistra che arriva dalle pagine di un quotidiano filo governativo come El País.
Oggi alle 16 si terrà a Roma l’evento Sicurezza, Difesa, Infrastrutture intelligenti, organizzato dalla Verità. Tra gli ospiti, Roberto Cingolani, ad di Leonardo, e Marco Troncone, ad di Aeroporti di Roma. Si parlerà di innovazione industriale, sicurezza contro rischi ibridi, tra cui cyber e climatici, con interventi di Pietro Caminiti di Terna e Nicola Lanzetta di Enel. Seguiranno il panel con Nunzia Ciardi (Agenzia cybersicurezza nazionale), e l’intervista al ministro della Difesa Guido Crosetto (foto Ansa). Presenterà Manuela Moreno, giornalista Mediaset, mentre il direttore della Verità, Maurizio Belpietro, condurrà le interviste. L’evento sarà disponibile sul sito e i canali social del quotidiano.
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Dai cartelli antisionisti di Birmingham ai bimbi in gita nelle moschee: i musulmani spadroneggiano in Europa. Chi ha favorito l’immigrazione selvaggia, oggi raccoglie i frutti elettorali. Distruggendo le nostre radici cristiane.
Uno spettro si aggira per il mondo: lo spettro dell’islamo-socialismo. Da New York a Birmingham, dalle periferie francesi alle piazze italiane, cresce ovunque la sinistra di Allah, l’asse fra gli imam dei salotti buoni e quelli delle moschee, avanti popolo del Corano, bandiera di Maometto la trionferà. Il segno più evidente di questa avanzata inarrestabile è la vittoria del socialista musulmano Zohran Mamdani nella città delle Torri Gemelle: qui, dove ventiquattro anni fa partì la lotta contro la minaccia islamica, ora si celebra il passo, forse definitivo, verso la resa dell’Occidente. E la sinistra mondiale, ovviamente, festeggia garrula.





