Il babbo della Boschi voleva vendere Banca Etruria a questo pachistano

Nel libro inchiesta di Maurizio Belpietro, I segreti di Renzi, c'è una storia legata alle vicissitudini di Banca Etruria che ha dell'incredibile. Ma che non lo è. È la favola senza lieto di fine di un modesto cittadino pakistano alla ricerca di un permesso di soggiorno che all'improvviso, ripulito e vestito di tutto punto, viene proiettato nel salotto buono della finanza aretina per trattare l'acquisto della banca cittadina. A introdurlo ai piani nobili dell'istituto è stato, ça va sans dire, Pier Luigi Boschi, babbo della ministra Maria Elena ed ex vicepresidente di Bpel. Chi scrive nel gennaio scorso svelò che Boschi e il presidente dell'istituto Lorenzo Rosi si rivolsero al faccendiere Flavio Carboni, imputato per la cosiddetta P3 e condannato in via definitiva per la bancarotta del Banco Ambrosiano, per trovare un nuovo direttore generale di Bpel. Quindi presero contatti con un fantomatico fondo del Qatar, legato a un collaboratore di Carboni, per cercare finanziamenti. Tutti tentativi che naufragarono miseramente.

A questo elenco di cantonate bisogna aggiungere la tentata scalata di Abdul Aziz Jamaluddin, nato a Lahore in Pakistan il 26 maggio del 1957. L'uomo, piccolo, calvo e occhialuto, più che un ricco emiro assomiglia a un venditore di tappeti. Ma è lui la carta segreta che nel giugno 2014 l'ottuagenario e plurinquisito avvocato svizzero Pier Francesco Campana, vecchio amico di Carboni, estrae dal cilindro per dare l'assalto alla banca. E lo fa attraverso il fido Giuliano Michelucci, faccendiere toscano di provata esperienza. La mattina in cui Jamaluddin viene condotto in Banca Etruria, Michelucci resta in attesa all'esterno a bordo di una berlina scura noleggiata nella Capitale. Ad accompagnare Aziz all'incontro con i vertici dell'istituto è Campana, nome noto ad Arezzo perché imputato nel crac Eutelia. I due si accomodano nella sala riunioni all'ultimo piano della sede di rappresentanza dell'istituto. Nella stessa stanza ci sono Lorenzo Rosi, il vice Boschi e un altro paio di dirigenti. Jamaluddin è vestito in abito scuro e sfoggia due vistosi gemelli d'oro. Ai suoi interlocutori si presenta come un facoltoso imprenditore, titolare di una grande azienda dell'Arabia Saudita, il Falouda group. In realtà sarebbe bastato visitare il sito della società per smascherare il bluff: la grafica è a dir poco artigianale e Jamaluddin è ritratto al fianco di personaggi dall'aspetto decisamente naïf.

Durante l'incontro Jamaluddin dice di operare per conto di un giovane sceicco con il nome che pare uno scioglilingua e che vuole trasferire in Italia capitali freschi e investire in Bpel. Annuncia che intende aprire un conto in banca Etruria e uno presso il Monte dei Paschi di Siena. Promette che all'istituto arriveranno almeno 300 milioni, 100 dei quali di anticipo. I dirigenti di Bpel si sfregano le mani. L'elenco delle sue presunte disponibilità è contenuto in un appunto scritto in inglese che gli investigatori aretini hanno acquisito. Nulla di ufficiale, un foglio di Word con tanti presunti codici di conti correnti. A voler credere al promemoria, la somma delle disponibilità liquide di Aziz e del principe arabo ammonterebbe a 1 miliardo di dollari. Alla fine dell'abboccamento i dirigenti di Bpel annunciano all'aspirante banchiere pakistano che in una sola settimana verranno completate le pratiche e che la grande operazione di salvataggio della banca potrà prendere il via.

Ai nostri lettori sarà bastato dare una sbircitina alle foto pubblicate in prima pagina e qui a lato per capire che i soldi di Jamaluddin ad Arezzo non arriveranno mai. A metà luglio in Etruria mostrano i primi segnali di insofferenza perché i milioni annunciati sul conto di Jamaluddin non arrivano. Inizia allora un febbrile scambio di mail tra la Svizzera, l'Italia e il Pakistan, per informare Jamaluddin e i suoi sponsor che a Bpel hanno una gran fretta di vedere il denaro promesso. Parallelamente Campana e Michelucci si preoccupano di organizzare il rientro in Italia del presunto businessman mediorientale. Ma sono le condizioni di questo ritorno nel Belpaese a sconcertare. Per esempio tra le carte depositate in Procura ad Arezzo ci sono le tracce del tentativo di fornire a Jamaluddin un permesso di soggiorno ottenuto sotto banco. C'è anche una lettera in cui il pakistano spiega di voler comprare un piccolo appartamento nella Maremma toscana e di essere in procinto di prendere incarico presso una ditta aretina con uno stipendio di 5.000 euro al mese. In pratica il milionario Jamaluddin punta a un permesso di soggiorno per lui e i suoi figli e a un posto di lavoro sicuro come un clandestino qualsiasi.

Nel frattempo visto che i fondi arabi non si sbloccano iniziano a spuntare strane garanzie: per esempio il 16 luglio, dalle montagne del Colorado, giunge in Italia il fax di un misterioso trust che annuncia che saranno accreditati a Bpel 100 milioni di euro provenienti dalla britannica Barclays bank. Ovviamente non arriva nulla. Passano altre due settimane e l'1 agosto viene preparata una lettera di dichiarazione di conformità (compliance package) sulle ricchezze di Aziz, in cui a prendersi la responsabilità di garantire per il cittadino pakistano è guarda caso lo stesso Campana. Il Gatto che garantisce per la Volpe. Questa volta non si parla più di soldi, ma di vecchi titoli di Stato cinesi, documenti che la Procura di Arezzo considera carta straccia. Anche in questo caso il lieto fine non c'è. E di Jamaluddin alla banca toscana non avranno più notizie.

Ma i rapporti pericolosi di Boschi con gli amici di Carboni non finiscono qua. Infatti nel 2014 il babbo dell'allora neo ministra Maria Elena avrebbe chiesto a uno dei più stretti collaboratori di Carboni, il massone Valeriano Mureddu, di dargli una mano con la Banca d'Italia per il problema dei fidi concessi in conflitto di interesse a 13 ex consiglieri d'amministrazione e a 5 ex sindaci, un affare da 185 milioni di euro. E come si rende utile Mureddu? Consegna il dossier al già citato Michelucci, il quale è una sorta di mister Wolf italiano con buoni contatti nei nostri apparati di sicurezza: a Perugia ha aperto un piccolo ufficio per gli affari riservati con cui cerca di risolvere problemi con istituzioni e banche, con l'aiuto di gole profonde e aspiranti 007. Il dossier Boschi viene archiviato con la sigla «Va 3367 S». Ma i presunti buoni uffici di Michelucci con la Banca d'Italia non devono aver sortito gli effetti sperati, visto che Bpel nel febbraio del 2015 viene commissariata e anche per colpa di quei fidi i vertici dell'istituto finiranno sotto inchiesta.

«Forza Italia non fa favori a Mediolanum»
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.


Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».

«Oggi nell’Ue non ci sono le condizioni per togliere l’unanimità in Consiglio»
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».


Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».

La sinistra si batte per dare gli appartamenti popolari agli stranieri senza lavoro
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.


In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.

Henry Winkler racconta le follie del passato in «Una storia pericolosa»
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.

Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.

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