2021-04-19
I vaccini fantasma. Perché dobbiamo sempre dipendere dalle aziende che producono all’estero
Fino ai primi anni Novanta operava in Italia un'eccellenza mondiale, la Sclavo di Siena. Dopo lo scandalo Enimont fu ceduta e da allora siamo spariti dal settore. Secondo il governo, quattro società sarebbero già in grado di avviare una produzione nazionale, ma sono necessari i finanziamenti e la semplificazione normativa. Per ora siamo fermi alle buone intenzioni. Così ci ritroviamo in balìa dei contratti capestro firmati da Bruxelles. E dei capricci delle Big Pharma nelle forniture.La ricercatrice al lavoro su Covidevax: «È il primo in Europa a Dna. Ad agosto i risultati della sperimentazione iniziale».Lo speciale contiene due articoli.I cervelli ci sono, quei ricercatori che hanno resistito alle sirene delle istituzioni internazionali. Ci sono anche i privati disposti a rischiare. Mancano però i soldi o arrivano con il contagocce. E soprattutto c'è scarsa lungimiranza politica. Sui vaccini si proiettano i soliti mali italiani. I due vaccini made in Italy, Reithera e Covidevax, rischiano di naufragare nelle pastoie di una burocrazia che non ha i tempi della scienza e per assenza di investimenti. Così siamo prigionieri delle forniture delle case farmaceutiche straniere. Una mancanza di autonomia che ha già avuto effetti pesanti sulla popolazione e ne avrà anche per il futuro: basta vedere quello che è successo con il blocco negli Usa del Johnson&Johnson. Ormai è chiaro, la pandemia non si esaurirà di qui a fine anno. Ce la porteremo dietro per chissà quanto tempo ancora, tant'è vero che la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato la trattativa con Pfizer per 1,8 miliardi di dosi dal 2021 al 2023.Nel settore dei vaccini l'Italia sconta errori politici sistematici. Siamo totalmente dipendenti dall'estero, dalle multinazionali che ora spadroneggiano al punto da mandare in crisi intere nazioni per il solo fatto di non rispettare le consegne. Pfizer, Moderna, Astrazeneca sono partiti nella ricerca contemporaneamente alle due aziende italiane che hanno il brevetto dei vaccini (Reithera e Takis), ma con la differenza che hanno ricevuto montagne di soldi, anche contributi pubblici, oltre a essere strutturate con laboratori, tecnologie e dipendenti più all'altezza della sfida. Eppure l'Italia è stata un punto di riferimento mondiale per la sperimentazione dei vaccini fino agli anni Novanta, fino al disastro Enimont che portò alla cessione della senese Sclavo, passata di mano in mano, fino ad arrivare alla britannica GlaxoSmithKline (Gsk) che vendette poi i vaccini influenzali italiani alla Seqirus controllata dall'australiana Csl. Il nostro Paese quindi paga decenni di assenza dal settore.Il ministero dello Sviluppo economico ha fatto sapere che al momento sarebbero almeno 4 le aziende pronte a produrre vaccini direttamente o in conto terzi: il loro nome è top secret. L'obiettivo indicato dal ministero è di raggiungere entro l'anno l'autosufficienza vaccinale anche per il futuro. Ma al momento sembra un libro di buone intenzioni, perché «sono necessari non solo incentivi economici, già a disposizione, ma anche una semplificazione normativa dell'industria farmaceutica» che non si annuncia facile. Negli annunci del governo c'è pure la creazione di un polo pubblico-privato relativo alla farmacia biologica e un polo vaccinale. Bisogna però cercare partner privati disposti a investire con i rischi d'impresa che comporta la ricerca sui vaccini. Così il target fissato inizialmente dal commissario Francesco Paolo Figliuolo di 500.000 vaccinazioni al giorno entro fine aprile è stato ridotto di quasi il 40% (315.000) per la mancanza di dosi. E per il futuro, qualora si dovessero rendere necessarie altre massicce campagne vaccinali, resteremo in balia dei contratti firmati da Bruxelles e dei capricci delle Case farmaceutiche fornitrici. Il nostro Paese ha un primato in Europa, ogni anno conteso con la Germania, per la produzione di farmaci. Ma abbiamo un ruolo marginale sui vaccini, a parte l'infialamento di prodotti provenienti dall'estero in base a qualche accordo commerciale. Lo stabilimento di Anagni del gruppo americano Catalent si occupa di confezionare l'Astrazeneca: è quello che sollevò forti discussioni qualche settimana fa per la presenza di 29 milioni di dosi ferme nel deposito. La Gsk a Rosia (Siena) è focalizzata sulla meningite: per modificare l'impianto allo scopo di produrre vaccini anti Covid ci vorrebbero 7-8 mesi e bisognerebbe trasferire altrove la produzione dei farmaci anti meningite, patologia che comunque colpisce milioni di individui. A dicembre il gruppo ha annunciato un investimento di 18 milioni di euro per ammodernare la struttura e contribuire a infialare e confezionare l'adiuvante pandemico del nuovo vaccino Sanofi-Gsk.A Latina l'Haupt Pharma della multinazionale Aenova, che produce per conto terzi, ha avviato un progetto di riconversione di un reparto per l'infialamento di medicinali tra cui i vaccini. Il Pfizer sarà prodotto nello stabilimento di Monza del colosso farmaceutico americano Thermo Fisher. Si punta a sfornare 130.000 fiale al giorno, 30 milioni entro il 2021. Sempre in Brianza opera la biorfamaceutica Adienne di Caponago, un'azienda impegnata dal 2004 nella ricerca e sviluppo di farmaci per le malattie rare e per il trattamento del trapianto di cellule staminali emopoietiche: qui da luglio si produrrà lo Sputnik, ma non per l'Italia. Infine, nei laboratori di Roche Italia, vicino a Monza, sono stati messi a punto i test diagnostici utilizzati per la ricerca del vaccino Moderna e ora sono in corso studi, in collaborazione con l'americana Regeneron, per un trattamento per la terapia con anticorpi monoclonali destinati alla cura di pazienti non ospedalizzati.Fin qui abbiamo parlato di grandi gruppi stranieri e di aziende che producono vaccini di case farmaceutiche estere. I vaccini made in Italy sono legati a filo doppio alla possibilità di ricevere fondi. L'imprenditore Lucio Rovati, a capo della Rottapharm Biothec, è impegnato in un prodotto tutto italiano. Il vaccino, chiamato Covidevax, è stato ideato dalla Takis di Castel Romano e Rottapharm si sta occupando dello sviluppo. Si basa su una tecnologia nuova rispetto alle altre già disponibili, a Rna messaggero (Pfizer e Moderna) e a vettore virale (Astrazeneca e Johnson&Johnson). Per stimolare la reazione immunitaria essa utilizza un frammento di Dna che viene iniettato nel muscolo e promuove la produzione di una porzione della proteina Spike, la principale arma che il virus utilizza per entrare nelle cellule umane. Nella fase di sperimentazione è stato coinvolto un consorzio di centri clinici italiani quali l'Istituto Pascale di Napoli, lo Spallanzani di Roma e l'ospedale San Gerardo di Monza in collaborazione con l'università Bicocca di Milano. Per completare la fase 3 occorrono finanziamenti e poi bisogna stringere accordi con un pool di aziende per la produzione su larga scala.C'è poi il vaccino di Reithera, azienda di Castel Romano, entrato in fase di sperimentazione clinica avanzata. Le somministrazioni sui volontari hanno avuto risultati incoraggianti. L'obiettivo è di concludere i test entro la fine dell'anno. Lo studio si avvale della collaborazione dell'Istituto Spallanzani ed è finanziato con 8 milioni dal Miur e dalla Regione Lazio e altri 81 milioni da Invitalia, entrata al 27% nell'azionariato, mentre l'azionista di maggioranza è la svizzera Keires. L'azienda finora ha ricevuto meno di un quarto dei soldi promessi. Ma ora il vero interrogativo è se valga la pena di investire risorse su prodotti che rischiano di essere tagliati fuori dalle scelte europee, orientate a puntare su Pfizer e Moderna.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-vaccini-fantasma-perche-dobbiamo-sempre-dipendere-dalle-aziende-che-producono-allestero-2652624766.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-i-vaccini-saremo-pronti-tra-un-anno-ma-servono-soldi" data-post-id="2652624766" data-published-at="1618772550" data-use-pagination="False"> «Con i vaccini saremo pronti tra un anno ma servono soldi» Senza risorse la sperimentazione rischia di non superare nemmeno la fase 3 e allora potrebbe essere l'ennesimo bel sogno svanito della ricerca italiana. È questo lo spettro che ha davanti uno dei vaccini made in Italy, il Covidevax dell'azienda Takis. «Stiamo cercando di creare un consorzio con altre aziende per la produzione in Italia. Se tutto andrà bene e se arriveranno i fondi per permetterci di fare il prossimo studio clinico (la fase 3), ci sarà un vaccino made in Italy per metà del prossimo anno», dice Federica Girolami, responsabile business development e della sicurezza dello studio clinico del vaccino Covidevax per Rottapharm Biotech. È la ricercatrice che verifica gli effetti collaterali del prodotto. Covidevax e Reithera sono al momento gli unici due vaccini italiani in fase avanzata di sperimentazione. A che punto siete? «Sì, è corretto, entrambe le aziende hanno iniziato la fase clinica, che è il punto finale dello sviluppo di un vaccino. Ma entrambe siamo nelle fasi iniziali di questa sperimentazione clinica». Quali sono le tappe? «Noi siamo alla fase 1, quella in cui si effettuano i test sui primi volontari, e proseguiremo direttamente con la 2, quella che viene effettuata non più sui volontari ma su piccoli gruppi di persone: il nostro protocollo clinico è già stato autorizzato anche per questo secondo stadio di sviluppo. Seguirà poi la fase 3, quella che interessa numeri molto più vasti di persone e conferma i risultati delle precedenti. Superate con successo queste fasi si può chiedere di essere autorizzati a mettere in commercio il vaccino». Come si sviluppa un vaccino? «L'idea di un ricercatore deve prima di tutto essere validata in laboratorio, poi è necessario fare una serie di prove, ad esempio raccogliere dati di sicurezza in laboratorio; quindi si avviano le tre fasi di sperimentazione sull'uomo. L'ultimo passo è la richiesta di autorizzazione per il commercio». In che cosa si differenzia il vostro vaccino dagli altri? «È il primo in Europa a Dna. Pfizer e Moderna usano l'Rna messaggero, inserito in nano particelle lipidiche per portare il materiale genetico nella cellula. Con lo stesso scopo, Astrazeneca, Reithera e Johnson & Johnson utilizzano come vettore un adenovirus, cioè un altro virus innocuo per il corpo umano. Noi usiamo il Dna associato a una piccola scossa elettrica chiamata elettroporazione, che permette la formazione di pori temporanei nella cellula muscolare del deltoide per favorire l'ingresso del Dna. È importante avere piattaforme con meccanismi diversi perché non sappiamo quale darà i risultati migliori come durata ed effetti collaterali». Quando arriverà in commercio? «Avremo i risultati della fase 1 ad agosto e della fase 2 per l'autunno. Se i dati raccolti confermeranno una potenziale efficacia del vaccino come speriamo, proseguiremo. Per la fase 3 avremmo bisogno di un finanziamento dello Stato o dell'Europa perché è uno sviluppo molto oneroso. Se i soldi arriveranno, la fase 3 partirà a inizio 2022 e a metà dell'anno prossimo dovremmo essere pronti per chiedere l'autorizzazione all'Ema. Il vaccino dovrebbe essere disponibile per la popolazione nella seconda metà del 2022». Perché in Italia nessuno ha pensato di partire prima? «Credo che chi ha potuto lo ha fatto immediatamente. Nel marzo 2020 abbiamo contattato la Takis, l'azienda che ha ideato il vaccino per mettere a disposizione le risorse economiche e le competenze necessarie per lo sviluppo». Pfizer, Moderna e Astrazeneca però hanno fatto prima. «Stiamo parlando di colossi, aziende con enormi risorse. Nonostante ciò, anche loro hanno avuto bisogno di finanziamenti governativi importanti. Noi per il momento siamo totalmente a carico di un privato, la famiglia Rovati proprietaria della Rottapharm Biotech. I farmaci innovativi richiedono investimenti ingenti e un alto rischio d'impresa che tanti imprenditori non si sentono di affrontare. Quanto alla produzione in Italia, non esistono stabilimenti già in grado di produrre un vaccino innovativo come quelli di cui stiamo parlando, ma diverse aziende si stanno attrezzando. Essere autonomi è fondamentale: sappiamo bene che questa non sarà l'ultima campagna vaccinale».
Jose Mourinho (Getty Images)