2022-05-22
I sarti napoletani che insegnano l’eccellenza
«Le mani di Napoli» è la prima associazione che riunisce maestri artigiani con lo scopo di tramandare tradizione e stile partenopei. Il presidente Giancarlo Maresca: «Trasmettiamo la nostra arte agli apprendisti con una formazione di alto profilo, svolta per gran parte in bottega».Draghi e Mattarella si vestono qui, ma non si può dire. E nemmeno che diversi ministri italiani e stranieri scelgono l’eleganza napoletana, e che pure la famiglia al-Thani del Paris Saint Germain, e Cannavaro, Zingaretti, e quindi Montalbano e sua moglie anche quando fa l’ispettrice in tv, prediligono quell’arte straordinaria dei sarti napoletani. Anche Ciro Immobile «u bomber» di Torre Annunziata, il presidente della Samsung in Corea, stesse scelte. Napoli e i sarti, Napoli e gli artigiani: un binomio inscindibile. Ma non finisce lì, non solo belle parole e riconoscimenti di vip e affini. Ora c’è molto di più: è nata l’associazione Le Mani di Napoli, un’unione che fa la forza. E se da progetto è diventato realtà in pochi mesi, è bastato un pomeriggio per decidere la tre giorni di moda a Napoli, a fine novembre: tre giorni di sfilate, eventi, dimostrazioni dal vivo, mondanità. Obiettivo, far diventare la città partenopea la capitale dello stile. Si sono uniti i grandi artigiani napoletani, quelle figure straordinarie che rappresentano un sapere storico, non facilissimo da tramandare. «Mai prima d’ora i maestri che detengono i segreti del gusto partenopeo si erano uniti in un organismo che li rappresentasse come tali», spiega Giancarlo Maresca, presidente di Le Mani di Napoli «ciò mancava da sempre, un’associazione composta da persone fisiche e giuridiche di Napoli e Città Metropolitana che producono in zona capi o accessori di abbigliamento». Sono anche ammessi «in quota culturale» soggetti che si siano distinti per conoscenze e impegno nei campi oggetto dell’associazione. Le Mani di Napoli si è data un unico statuto, suddiviso in Camere d’Arte dove siedono i rappresentanti dei diversi settori: sartoria, camiceria, cravatteria, calzoleria, guanteria, pantalonai, gioielleria. Per ora, da gennaio, mese della nascita, sono 26 gli associati. «Il programma è ben preciso», continua Maresca, che ha stilato una serie di regole. Dal trasmettere l’arte e lo stile napoletano con una formazione di alto profilo svolta per gran parte in bottega, affinché gli apprendisti acquisiscano la teoria dai professori e la pratica dai maestri». L’idea base è che la napoletanità sia un valore riconoscibile e riconosciuto attraverso prodotti che sappiano esprimere il territorio originario, rispettando i processi materiali della regola d’arte e quella eredità immateriale nota come tradizione, in grado di legare nel tempo diverse generazioni. «Le Mani di Napoli si propongono di rendere i soci più competitivi negli acquisti di materie prime, indirizzandoli in modo organizzato». L’obiettivo è anche sfatare i luoghi comuni come la poca fiducia che ci può essere verso il napoletano. «Questo fa male a tutto il comparto - spiega Damiano Annunziato della Sartoria Dalcuore, vice presidente dell’associazione - È stata una esigenza unirci per valorizzare il nostro prodotto, farlo conoscere, dare un valore reale e fare una lotta contro chi denigra la nostra città». Un gioco di squadra, un’alleanza che non può che portare risultati positivi. Non facile. Il sarto è un uomo che sta chiuso 13/14 ore nella sua stanza. Ne servono cinquanta per confezionare un abito normale, di pronto mai nulla, solo su misura. «Nostro punto di forza è la formazione perché al giorno d’oggi è difficilissimo trovare un giovane che si avvicina a questa professione, è una formazione di passione. Non si possono fare due ore di pratica e sei di teoria, deve essere tutto il contrario. Oggi ci sono le scuole ma escono in particolare modellisti e sanno lavorare con le macchine, ma non con le mani. Dobbiamo avere persone che entrano in sartoria e ci mettono amore». Ma non può non esserci un vero aiuto istituzionale. «Oggi un ragazzo deve essere retribuito. Se vengono a fare apprendistato da noi li vogliamo anche pagare, e in questo dobbiamo essere supportati». Un cambio di passo a 360° è indiscutibile per poter tutelare e salvaguardare mestieri antichi, e preziosi, ai quali ora accedono donne, vuoi per eredità vuoi per passione, che diventano maestre sartore. «Se il cambio generazionale è stato programmato nel tempo le cose funzionano, non è detto che i figli subentrino ai padri. Cristina Dalcuore taglia da diversi anni, il padre Gigi andava solo in alcuni posti come il Giappone dove era considerato un simbolo». Già, perché i sarti napoletani sono diventati internazionali. I primi sarti andati oltre oceano e a fare da apripista sono stati Dalcuore, Solito, Panico, Sabino e diversi altri. E la perenne gara tra Napoli e Savile Row. «La nostra giacca ha un’anima, quella inglese è strutturata, sembra un’armatura con quella spalla, la nostra rivela la fisicità italiana. La spalla viene messa in forma sul ginocchio e lì si cuce. La sartoria napoletana è un’esperienza di vita. Con la pandemia è cambiato un po’ tutto, un uomo che si faceva dieci abiti oggi magari si fa dieci pantaloni perché non va più alle riunioni. Ma credo che le Mani di Napoli sia nata per questo, per riportare il mondo sull’eleganza, sulla sartorialità e sul vestire. Bisogna riportare a Napoli e in tutto il Paese, quelle serate eleganti alle quali tutti aspirano. Si ha voglia di tornare oltre che al bel vestire anche al bel vivere. All’aeroporto di Capodichino non vogliamo più vedere i sarti che partono ma vedere clienti che arrivano».
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)