2023-11-15
I progressisti contro il Garante (approvato da Mattarella)
Giorgia Meloni (Imagoeconomica)
La Commissione sugli scioperi è espressione dell’Aula e ha applicato norme del 2003 per fermare il blocco. Il Pd strilla al golpe solo perché non ha potuto scegliere i nomi.La sinistra e i quotidiani d’area scoprono l’esistenza del Garante degli scioperi, alias Commissione garanzia sciopero. «L’ombra meloniana sul Garante: chi c’è dentro la commissione che critica Cgil e Uil», titolava ieri La Repubblica lasciando intuire nemmeno troppo velatamente che i tecnici chiamati a vigilare su chi incrocia le braccia siano in realtà manganellatori per conto del premier. Accusa che sottintende nomine di parte, mirate esclusivamente a bastonare i sindacati. Peccato che dalle parti del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari si ometta qualche dettaglio non proprio irrilevante. La Commissione di vigilanza in questione è tra le più longeve tra quelle in attività. Nasce all’inizio degli anni Novanta e ogni sei anni viene nominata dall’Aula. I nomi sono scelti tramite i capigruppo di maggioranza e i due presidenti di Senato e Camera, cui tocca fare la sintesi. I cinque commissari, compresa la presidente, non possono però insediarsi senza l’ok del presidente della Repubblica a cui spetta l’onere della parola finale (dopo aver vagliato i curriculum) e l’onore della firma del decreto. Così è avvenuto prima dell’estate, quando Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana hanno indicato al Colle la lista dei cinque. Presidente, Paola Bellocchi. Commissari, Federico Ghera, Peppino Mariano, Paolo Reboani e Luca Tozzi. Sono esperti di diritto amministrativo, del lavoro, costituzionalisti, più che esperti di relazioni industriali. Sono stati scelti dal centrodestra: ovvio, lo prevede la legge. Sono dei manganellatori dei sindacati? Occhio, perché sostenerlo significa accusare il presidente della Repubblica di pesanti storture costituzionali. Affrontata la forma e le norme che sostengono il Garante, vale anche la pena entrare nel merito. La commissione si pronuncia appellandosi a una norma datata 200, mai cambiata nel corso degli anni né messa in discussione. La regola è molto semplice e descrive quali siano le basi per definire uno sciopero generale. O al contrario per definire uno sciopero «multisettoriale» e frammentato. Nel primo caso sono concessi spazi di manovra molto più ampi, nel secondo le regole sono più stringenti. E si riferiscono agli orari ammessi, agli slot e alla particolare distribuzione geografica. Le sigle confederali hanno dichiarato uno sciopero generale, sapendo però che spezzando gli orari, decidendo quali settori debbano astenersi e quali no e frammentando nei giorni le astensioni, si sarebbero posti fuori dal perimetro. L’intento era chiaramente quello di allungare il più possibile il disagio dei cittadini nel tempo e nello spazio, in modo da politicizzare il più possibile l’astensione. Così facendo però sono usciti dal seminato previsto e quindi hanno costretto il Garante a intervenire. Fatto mai successo prima in casi di questa portata, per il semplice motivo che le sigle non si sono mai spinte così in là. Probabilmente, compresa la situazione, a quel punto Maurizio Landini non si è sentito di fermare la macchina messa in moto e di fare retromarcia per non perdere la faccia, politicamente parlando. Chi ha attaccato il Garante pure nel merito è scivolato in un altro equivoco. In molti a sinistra hanno criticato la posizione dell’Authority perché resa pubblica dopo le parole di aspra critica di Matteo Salvini. Premesso che non ci sarebbe nessuno scandalo se un ministro e un’autorità indipendente sostengono la medesima posizione, in questo caso la delibera della Commissione è pure datata 8 novembre, mentre l’uscita pubblica di Salvini è del giorno successivo. A rafforzare poi nei contenuti la posizione del Garante c’è anche una interessantissima intervista a Pietro Ichino uscita sul Corriere della Sera tre giorni fa. L’esperto in diritto del lavoro ha spiegato in maniera semplice che differenza c’è tra uno sciopero generale e uno multisettoriale. In pratica ha spiegato che l’autorità di vigilanza non aveva alternative rispetto alla delibera. Pensare che Ichino eletto in Parlamento con il Pd si dia da fare per tirare la volata a Salvini è semplicemente ridicolo. Infatti il tema è un altro. Elly Schlein ha commentato il fatto sostenendo che il governo «umilia i lavoratori» e che questo è un assaggio del «premierato». Eppure poco tempo fa quando il Garante per l’infanzia ha bocciato le norme del dl sui migranti, l’opposizione ha esultato (legittimo per carità) sostenendo lunga vita al Garante perché segno di indipendenza. Il Pd abituato ad avere all’attivo più collocamenti nella macchina burocratica dello Stato che elettori nelle urne considera indipendenti solo quegli enti che sfornano posizioni a loro favore, mentre gli altri sono automaticamente soffocati dal potere del centrodestra. Abbiamo visto lo stesso concetto applicato con la Consulta. Se le nomine le fa il centro sinistra si tratta di applicare la Carta e fare il bene dei cittadini, se le nomine spettano al centrodestra allora scatta il modello «Donald Trump». Nulla di nuovo, per carità. Importante è che un governo politico prosegua nella propria visione e nel dare propria impronta al Paese. Le nomine sono sacrosante ed è giusto rivendicarle. Purché vengano scelte le persone giuste e preparate. È chiaro che i sindacati stiano tentando di fare esclusivamente politica per sopperire al Pd, ormai incapace di toccare palle. Ma la società si basa su pilastri. E se Landini scivola nei panni di altri è giusto che qualcuno gli rammenti il suo ruolo. Sia dalle parti di Palazzo Chigi sia dalle parti del Garante che è lì esattamente per quello. Sanzionare i sindacalisti bulimici e tutelare i cittadini che venerdì dovranno andare in ogni caso a lavorare.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)