2019-07-04
I medici americani contro le leggi pro life
L'Ama, la più grande associazione di tutte le categorie sanitarie, fa causa al North Dakota che ha varato due norme antiaborto. «I dottori sono costretti a comportarsi da portavoce dello Stato». Una mossa senza precedenti di chi ha giurato di difendere la vita.I medici in campo a favore dell'aborto. Messa così pare un paradosso, eppure è quanto sta succedendo negli Stati Uniti dove l'American medical association (Ama), la più grande associazione di medici e studenti di medicina del Paese, fondata nel 1847, ha deciso di adire le vie legali contro il North Dakota governato dal repubblicano Doug Burgum presentando una corposa denuncia di 23 pagine.Una scelta motivata dal fatto che il piccolo Stato, con meno abitanti della città di Torino, ha da poco varato due norme antiabortiste ritenute «antiscientifiche». Beninteso, le posizioni pro life del North Dakota non sono una novità dato che già nel 2013 fu il primo Stato negli Usa a vietare l'aborto eugenetico di bambini con la sindrome di Down o con altre malattie; ma le ultime due leggi varate in questo senso al fronte pro choice non vanno proprio giù.La prima norma, che entrerà in vigore il 1° agosto, richiede al personale medico di far presente alle pazienti che optano per l'aborto chimico tramite Ru486 - opzione che comporta l'assunzione di due farmaci in tempi diversi, il mifepristone e il misoprostolo - come tale procedura possa essere arrestata in caso di ripensamenti. Balle, secondo l'Ama, che boccia tutto questo come «palesemente falso e non dimostrato» in quanto «non supportato da prove scientifiche».In realtà, uno studio pubblicato sulla rivista medica peer-reviewed Issues in Law and Medicine e realizzato dal team del professor George Delgado dell'università della California, ha dimostrato come il ricorso alla cosiddetta abortion pill reversal, in pratica una dose massiccia di progesterone da assumere prima della seconda pasticca, abbia tassi di successo, nel fermare l'aborto, che sfiorano il 70%. Prova ne sia che grazie a questa tecnica solo negli ultimi anni, segnala Heartbeat international, realtà di supporto alle donne in gravidanza difficile o indesiderata, sono stati salvati da morte certa ben 750 bambini. Dunque è difficile capire quali sarebbero le «prove scientifiche» di cui l'Ama ha ancora bisogno. Ma andiamo avanti.La seconda legge contestata del North Dakota è quella che chiede ai medici a ricordare alle donne intenzionate ad abortire che, con questo intervento, si pone fine alla «vita di un intero, separato, unico essere umano vivente». Un messaggio ideologico, secondo l'Ama, che imporrebbe ai medici di fare «da portavoce dello Stato». Anche qui, però, non è ben chiaro cosa ci sia di fazioso dal momento che sono fior di manuali universitari, come quello di Scott. F. Gilbert, autore di Biologia dello sviluppo, testo che fa da riferimento nella materia, ad affermare che dal concepimento si è in presenza di «un nuovo individuo con un corredo genetico derivato da entrambi i genitori».Sorge pertanto il sospetto che l'Ama, nel fare causa al North Dakota, più che difendere posizioni scientifiche si stia in realtà prestando a un gioco politico. Un sospetto suffragato dal fatto che la denuncia dell'associazione dei medici si è andata sostanzialmente a sovrapporre a quella avanzata dalla Red river women's clinic di Fargo, l'unica struttura abortista presente nello Stato, diretta da Tammi Kromenaker.Una presa di posizione netta anche se irrituale quindi, quella dell'Ama. Sì, perché storicamente l'associazione, che è rappresentativa di tutte le categorie mediche, aveva sempre evitato di pronunciarsi su argomenti quali l'aborto e la contraccezione proprio in ragione della delicatezza dei temi. A dire il vero però già nel marzo scorso, in Oregon, l'associazione aveva rotto gli indugi intentando una causa contro le limitazioni dei fondi federali alla pianificazione familiare disposte dall'Amministrazione presieduta da Donald Trump.Tuttavia quella contro il North Dakota è una discesa in campo sicuramente molto più clamorosa, ed è motivata dal fatto che le due citate leggi di questo Stato, secondo quanto dichiarato in un'intervista da Patrice Harris, presidente dell'Ama, violerebbero il Primo emendamento obbligando i medici a «commettere una violazione etica». Un'argomentazione, con tutto il rispetto, quanto meno curiosa dal momento che, a proposito di etica, qualche millennio prima dell'Ama era stato il greco Ippocrate, con il suo solenne giuramento, ad orientare saldamente la professione medica a favore della vita, a partire da quella nascente.Non si vede quindi come il North Dakota, con le sue norme, possa diffondere «messaggi che contraddicono la realtà e la scienza», come invece sostiene Harris. Ad ogni modo, ora la palla è passata al procuratore generale dello Stato che sta esaminando la denuncia, secondo quanto confermato da Liz Brocker, responsabile dell'ufficio relazioni pubbliche. In attesa di capire come andrà a finire, resta comunque l'incredulità per una sigla medica, peraltro celebre, giunta ad andare in tribunale pur di difendere il diritto di aborto. Come se quello nel grembo materno non fosse già qualcuno, proprio perché indifeso e minuto, di cui prendersi cura.