2019-05-12
I legami del massone vicino al Giglio magico con le aziende pubbliche all’epoca di Renzi
Rocco Borgia, in rapporti con il faccendiere Carlo Russo coinvolto nel caso Consip, si interessò alle bonifiche e alla costruzione dell'ospedale di Trento.Antonio Savasta, l'ex pm accusato di aver preso oltre 50.000 euro dall'amico di babbo Tiziano: «Avrò compiuto omissioni, abuso d'ufficio, ma non ho preso soldi da questa storia».Lo speciale contiene due articoliC'è un filone carsico nell'inchiesta calabrese per associazione per delinquere e corruzione che ha coinvolto anche il governatore Pd della Regione Mario Oliverio. Riguarda i rapporti d'affari di alcuni maggiorenti del Pd con la Cooperativa muratori e cementisti (Cmc) di Ravenna, colosso «rosso» delle costruzioni. Il trait d'union è Rocco Borgia, settantaquattrenne di Melicucca (Reggio Calabria), un massone in sonno (assicura lui) e consulente di Cmc, considerato il finalizzatore degli interessi dell'associazione «nelle fasi di aggiudicazione delle gare pubbliche». Il presunto grembiulino a riposo, amico degli amici di Tiziano Renzi, avrebbe avuto le porte aperte dentro a società controllate dal governo, quando a Palazzo Chigi c'era Matteo Renzi. Ma il procedimento, al contrario di altri, ci ha messo quattro anni a deflagrare e, alla fine, come un residuato bellico è esplosa solo in parte e ha colpito con le sue schegge (il tribunale ha disposto solo misure interdittive) le retrovie di una classe dirigente piddina ormai in rotta. Ma dei rapporti di Borgia (indagato per associazione per delinquere e turbativa d'asta) con i ministeri non è rimasta traccia nell'ordinanza del gip emessa a inizio settimana.Il pedinamentoIl 20 settembre 2016 i carabinieri del comando tutela ambiente avevano pedinato e fotografato Borgia mentre passeggiava per Roma con Carlo Russo, l'aspirante faccendiere imputato per Consip (il 28 maggio c'è l'udienza per il rinvio a giudizio) e in stretti rapporti con Renzi senior, Luca Lotti e il Pd toscano. I due erano stati a pranzo in via Veneto con una dirigente dell'Inps che gestiva gli appalti che interessavano all'imprenditore Alfredo Romeo, il presunto corruttore della compagnia.Mentre investigano i militari dell'Arma scoprono i collegamenti di Borgia con la politica calabrese e con i suoi affari e inviano le carte alla Procura di Catanzaro. In particolare il 28 novembre 2016 il capitano Ivano Bigica, alla guida della sezione operativa centrale del reparto che aveva pedinato Borgia e Russo, trasmette una corposa informativa che dedicava a Borgia ben sette paragrafi. Dall'annotazione riepilogativa apprendiamo che il fascicolo era stato avviato nel 2015, riguardava 20 indagati e doveva accertare «la presenza e l'operatività sul territorio nazionale di una struttura ramificata operante principalmente nel settore degli appalti pubblici, dedita al traffico di influenze illecite, corruzione, concussione, abuso d'ufficio, turbata libertà degli incanti, truffa aggravata». Eravamo in pieno governo Renzi e l'inchiesta coinvolgeva uno dei pochi governatori in quota Bullo, Oliverio, ex comunista folgorato sulla via di Rignano sull'Arno.Ma se il procedimento gemello su Consip (quest'ultimo trattava reati analoghi, ma collegati alla gestione della centrale acquisti della Pa) esplose mediaticamente proprio a fine 2016, l'indagine catanzarese dopo l'informativa finale dei carabinieri è rimasta riservata per altri due anni e mezzo. Nel luglio del 2017 La Verità svelò che nel capoluogo calabrese gli inquirenti investigavano su Borgia. Il procuratore Nicola Gratteri, che Renzi aveva provato ad arruolare nel suo governo trovando l'opposizione del presidente Giorgio Napolitano, inviò un comunicato alle agenzie, in cui si esibiva in una rettifica sugli specchi: «Smentisco totalmente, perché si tratta di una notizia falsa, di avere riferito al giornalista Giacomo Amadori di un'indagine “sugli amici di babbo Renzi"». Quindi negava solo di aver parlato con noi (comprensibile), ma alcuni giornalisti calabresi vollero interpretarla come una smentita della notizia e arrivarono a immaginare un «trappolone (fallito)» ai danni di Gratteri, ordito da chi scrive e da un collega calabrese. Ovviamente la notizia era vera e Borgia era sotto inchiesta. Ma vediamo che cosa emergeva già allora dall'informativa.Alcuni spunti investigativi non avevano alcuna relazione con la presunta cricca del governatore Oliverio e chissà che non abbiano portato all'apertura di qualche altro fascicolo in giro per l'Italia.Secondo gli investigatori Borgia si mostra interessato, in particolare, ad altri due grandi affari: i progetti del polo ospedaliero di Trento e gli appalti per le bonifiche bandite dalla Sogesid, la società in house del ministero dell'Ambiente. Nel primo caso, Borgia fiuta aria di gara e manda un sms a tale Giuseppe Trifirò, direttore sviluppo di Cmc, e gli suggerisce di contattare il loro uomo ai piedi delle Dolomiti: Mario Malossini, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 1989 al 2002. Borgia in poco tempo riesce a sapere perfino chi scriverà il bando. E commenta: «La partita la gestisco io». Organizza una riunione, perché «è probabile», dice, «che vorremo anche qualche suggerimento». Subito dopo emergono i contatti che per i carabinieri sono «da approfondire»: con la Patrimonio dello Stato spa, con Giancarlo Innocenzi Botti e Paolo Bordon. La prima è una società per azioni pubblica costituita per la valorizzazione, la gestione e l'alienazione del patrimonio statale; il secondo era il presidente di Invitalia, l'agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, partecipata al 100% dal ministero dello Sviluppo; il terzo in quel momento era il direttore dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento. La riunione cruciale, intercettata dalle microspie, avviene proprio negli uffici di Invitalia. Vi partecipa anche l'onnipresente Borgia. Ma nella fase delle intercettazioni l'appalto per l'ospedale di Trento appare ancora un affare agli albori, mentre il settore della progettazione e della modifica degli impianti di depurazione è sicuramente più concreto. Soprattutto per le cifre: il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) aveva appena sbloccato quasi 2 miliardi di euro per la depurazione delle acque e per la bonifica dei siti contaminati. In Calabria vengono individuati ben nove siti d'interesse. La SiciliaMa c'è anche la Sicilia e qui compare la Sogesid del ministero dell'Ambiente. «Il gruppo investigato», annotano i carabinieri, «dimostra particolare interesse nell'organizzare delle strategie volte ad acquisire delle condizioni di vantaggio e supremazia nell'aggiudicazione dei fondi stanziati». Ma come fare per raggiungere una posizione di privilegio? Secondo gli investigatori «viene acquisita grazie alle interrelazioni stabilite da Borgia con i vertici della società in house del ministero». Spunta una telefonata con Marco Staderini, ad di Sogesid. Un uomo che vanta, oltre a un legame molto stretto con Pier Ferdinando Casini (oggi senatore eletto nelle liste del Pd), anche incarichi di ogni genere e in qualsiasi settore: nel suo curriculum posti di vertice in Lottomatica, Sogei, Ferrovie, Rai e Acea, la multiutility romana per acqua e rifiuti. Dopo diverse chiacchierate, Borgia punta sull'impianto di depurazione di Misterbianco, in provincia di Catania, e con un architetto valuta come ottenere l'aggiudicazione. Gli uomini dell'Arma segnalano alla Procura: «Di questo periodo risultano di particolare interesse gli incontri a Roma e i contatti tra Borgia e Staderini». L'informativa si chiude così. Era il 2016. Nel 2019 il gip di Catanzaro ha chiuso i capitoli calabresi. Chissà se il filone sommerso riemergerà in qualche altra Procura. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/i-legami-del-massone-vicino-al-giglio-magico-con-le-aziende-pubbliche-allepoca-di-renzi-2636920529.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ho-sbagliato-ad-aiutare-dagostino" data-post-id="2636920529" data-published-at="1757666309" data-use-pagination="False"> «Ho sbagliato ad aiutare Dagostino» Ora per un caffè, poi alla masseria, poi per concordare l'incontro con il segretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti. Il procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris ricorda all'ex pm di Trani Antonio Savasta, arrestato il 14 gennaio insieme al collega Michele Nardi, il lungo elenco di incontri con Luigi Dagostino, l'imprenditore barlettano degli outlet del lusso amico di babbo Tiziano Renzi. L'ex pm a denti stretti ammette: «Forse avrei dovuto astenermi dal trattare il procedimento giudiziario in cui era implicato Dagostino». E poi aggiunge: «Avrò fatto l'omissione, abuso d'ufficio, quello che volete, ma io da questa vicenda soldi non ne ho presi». Per giustificarsi, però, prende una strada scivolosa: «Io lo lessi nelle intercettazioni telefoniche, che tra parentesi nemmeno nell'informativa stava evidenziato il nome di Dagostino [...] speravo a novembre di rivedere Lotti ed eventualmente sperare in un'applicazione fuori». Sostiene, insomma, di non aver collegato il Dagostino che incontrava al Dagostino presente nei documenti di un procedimento che stava trattando e che è alla base delle accuse di corruzione in atti giudiziari che vengono mosse all'ex pm. Perché mentre Savasta interrogava quelli che sarebbero diventati i coindagati di Dagostino, l'imprenditore barlettano incontrava gli avvocati degli indagati e li pagava. La Procura di Lecce gli contesta di avere ricevuto da Dagostino, tramite l' avvocato Ruggiero Sfrecola, una mazzetta da oltre 50.000 euro. In più la Procura ritiene che il 7 giugno 2015 Dagostino avrebbe procurato a Savasta un incontro (poi avvenuto il 17 giugno) con l'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Lotti (incontro che si è trasformato, come rilevato da Panorama, in un procedimento per traffico di influenze illecite per Dagostino e babbo Renzi). E anche questo Savasta lo ammette. Dice di aver collegato solo dopo aver letto sui giornali il suo nome accanto a quello dell'amico di babbo Renzi. «È lì», verbalizza la toga indagata, «che cambia anche un po' di atteggiamento, comincio a vedere che anche io potevo essere messo in discussione». A tratti Savasta è così reticente da sembrare addirittura intimidito dalla figura di Dagostino. Al punto che la pm Roberta Licci, che durante l'interrogatorio ha affiancato il procuratore, gli dice: «Ma lei si sente minacciato? Dagostino le fa un po' paura?». L'ex pm continua a negare. E prende l'ennesima strada che per gli investigatori è poco convincente: le cifre annotate sull'agenda di Dagostino accanto al nome di Sfrecola «sono corrispettivi che l'avvocato aveva chiesto come onorari». E allora la Procura ha chiesto un'incidente probatorio per cristallizzare le dichiarazioni rese in undici diversi interrogatori, fino al marzo scorso, da Savasta e da altri due indagati. L'appuntamento è fissato per domani.
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