2020-10-30
I lavoratori del «suocero» di Conte: «Paladino non ci paga gli stipendi»
Olivia Paladino e Giuseppe Conte (Ansa)
Alcuni dipendenti attendono i bonifici. Il papà della compagna del premier chiede la revoca della condanna per mancati versamenti delle tasse di soggiorno grazie alla legge di Giuseppi. E una sentenza lo fa sperare.Domenica scorsa è scoppiato un parapiglia davanti a un piccolo supermercato di via Fontanella Borghese, nel pieno centro di Roma. L'inviato delle Iene, Filippo Roma, stava inseguendo Olivia Paladino e la compagna del premier Giuseppe Conte si è rifugiata nel negozio. Dopo un po' sono intervenuti alcuni soggetti che avevano tutta l'aria di far parte della scorta del presidente del Consiglio a portare in salvo la donna. Un testimone oculare ci racconta: «Le volevano chiedere di alcune presunte agevolazioni ricevute dal padre della Paladino, Cesare (amministratore dell'hotel Plaza ndr). La scena è durata 15-20 minuti».L'estate scorsa il suocero del premier Giuseppe Conte, attraverso l'avvocato Stefano Bortone, ha fatto istanza di revoca contro la condanna per peculato a 1 anno, 2 mesi e sette giorni passata in giudicato nel 2019 per il mancato versamento di oltre 2 milioni di tasse di soggiorno al Comune di Roma tra il 2014 e il 2018. Grazie a quel patteggiamento Paladino senior ha potuto riavere indietro i soldi sequestrati dalla Procura, denari che sono stati restituiti «pari pari» al municipio, a cui erano dovuti. La vicenda sembrava conclusa. Ma adesso si è riaperta. E una sentenza del 22 ottobre del Tribunale della Capitale, come vedremo, dà speranza di successo al ricorrente.La decisione è stata presa dopo la conversione in legge del Decreto rilancio del 19 maggio 2020. Da quel giorno, grazie ai commi terzo e quarto dell'articolo 180, la condotta di omesso versamento delle tasse di soggiorno è qualificata come illecito amministrativo, trasformando gli albergatori da incaricati di pubblico servizio (esattori), in soggetti obbligati in solido con i clienti al pagamento. Prima della riforma il mancato versamento configurava il reato di peculato, cioè quello per cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio si appropria del denaro di cui ha la disponibilità.Ovviamente adesso tutti i condannati proporranno incidente di esecuzione della pena e ne chiederanno la revoca, sostenendo che quel fatto non è più previsto dalla legge come reato. Anche indagati e imputati andranno verso archiviazioni e assoluzioni. Solo a Roma le strutture che hanno gabbato il Campidoglio sono 26: dal Jsh Hotel (1 milione e 500 mila euro di mancati versamenti), al Church Palace (970 mila euro), al Radisson Blu Es Hotel Roma (oltre 2 milioni di euro). La conta l'ha fatta il sostituto procuratore Alberto Pioletti, che negli ultimi quattro anni ha chiesto e ottenuto il sequestro di circa 11,3 milioni di euro.Dopo le prime istanze la Procura di Roma ha dato un parziale parere negativo firmato dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, secondo cui la nuova legge non si può applicare a chi ha commesso l'illecito prima del maggio 2020, quando cioè il mancato versamento della tassa di soggiorno era ancora considerato peculato.L'argomento ha acceso il dibattito tra i giuristi: Marco Gambardella, professore associato di Diritto penale alla Sapienza, sulla rivista Penale, diritto e procedura prevede che «le condanne definitive verranno revocate dal giudice dell'esecuzione, su richiesta dell'imputato o anche d'ufficio». Oltre alla sentenza, inoltre, verrà revocata anche la confisca. «E questo», spiega ancora Gambardella, «vale pure in caso di patteggiamento».Un'interpretazione fatta propria dall'avvocato Bortone: «C'è una nuova legge e quindi in funzione di questa io sto cercando di far riaprire il caso» ha confermato alla Verità il difensore di Paladino. E il fatto che Ielo & c. siano contrari non lo perplime più del giusto: «I pubblici ministeri», spiega Bortone, «cercano di salvare quello che hanno fatto, ma staremo a vedere». In realtà alcune recenti sentenze sembrano dare ragione all'avvocato. Il 22 ottobre Carmine Sarnella, titolare dell'Opera house accommodation e dell'hotel Nizza, ha ottenuto la sospirata assoluzione per circa 300.000 euro di omessi versamenti precedenti al maggio 2020. Il suo difensore, l'avvocato Michele Andreano, afferma: «L'abolitio criminis voluta dal governo Conte ha fatto assolvere il mio cliente. È indubbio che il decreto si applichi a tutti quelli che hanno avuto comportamenti che prima erano considerati penalmente rilevanti, a prescindere dalla data della commissione».La famiglia Paladino oltre a non aver versato il dovuto al Comune, se non dopo il processo, ha anche accumulato debiti con il fisco: oltre 36 milioni di debiti con l'Agenzia delle entrate, diventati poco più di 15 dopo la rottamazione ter varata dal primo governo Conte e ammortizzati in dieci rate, di cui, però, prima di presentare un ricorso, è stata pagata solo la prima, perché i Paladino chiedono una rateizzazione più lunga (18 rate). E la palla è passata a un ufficio che dipende dal ministero dell'Economia e delle finanze. Ovviamente la decisione non riguarderà solo il suocero di Giuseppi, ma pure la compagna Olivia e la sorella Cristiana che possiedono il 47,5 per cento a testa della Srl Agricola monastero Santo Stefano Vecchio, la quale direttamente (10,6 per cento delle quote) e attraverso altri veicoli (Immobiliare Spledido e Immobiliare Archimede) controlla la Srl Unione esercizi alberghi di lusso, la società del Grand hotel Plaza.L'ultimo bilancio, depositato il 31 dicembre 2019, racconta la crisi profonda del Plaza: 1.694.956 euro di buco. Ma la situazione sembra destinata a peggiorare come si legge nella nota integrativa al bilancio di esercizio: «A causa dell'epidemia da Covid-19 (...) la società nel corso del 2020 subirà una drastica riduzione dei propri ricavi in quanto provenienti dal settore turistico alberghiero e in particolare costituita da clientela internazionale. La situazione emergenziale ha portato alla chiusura totale dell'albergo che si protrarrà per buona parte del 2020, ad oggi non si conosce ancora la data di riapertura».Per fortuna, a partire dal mese di marzo 2020, aderendo ai Decreti cura Italia e Rilancio, «tutti i dipendenti della società», è scritto nella nota, «sono stati messi in Cig (la cassa integrazione guadagni ndr) in deroga» e «ciò comporterà una riduzione dei costi fissi ad essi legati che si rifletterà nel bilancio 2020».Sarà per questo che Paladino, amministratore della società, fa presente che «non sono state identificate significative incertezze sulla capacità di continuazione dell'attività aziendale».La questione delle maestranze a carico dello Stato viene ripresa in un altro passaggio: «In considerazione del fatto che il costo relativo alla retribuzione dei dipendenti ha una incidenza pari almeno al 40% dei costi complessivi ricorrenti ed alla luce della anzidetta riduzione dei ricavi pari all'83% nel primo semestre, la società ha avuto necessità di ricorrere, per circa il 90% dei dipendenti in forza, all'istituto della Cig in deroga messo a disposizione dalla normativa deliberata dal Governo per fronteggiare la crisi economica ed epidemiologica». Insomma la barca stava andando a fondo, ma gli aiuti del governo sono arrivati ad hoc. Anche perché la società, «si è trovata nel corso degli anni in momenti di temporanea carenza di liquidità, dovuta principalmente alla crisi del settore turistico, il che ha comportato problemi di disponibilità economica». Eppure l'amministratore avrebbe sempre scelto di «mettere al primo posto il regolare pagamento degli stipendi e dei fornitori a scapito principalmente del puntuale pagamento delle imposte e dei tributi».In realtà un buon numero di ex lavoratori a chiamata e di interinali non sembrano soddisfatti del trattamento che la società dei Paladino o le agenzie a cui si è rivolta hanno loro riservato.I.S., per esempio, ha lavorato per tre mesi per conto di una cooperativa. Ora si sfoga: «Non sono mai riuscita a contattare i miei presunti datori di lavoro. Secondo la responsabile commerciale che faceva da tramite i problemi dipendevano dalla cooperativa». Poi aggiunge: «Dopo tre mesi mi sono licenziata perché non avevo ricevuto neanche uno stipendio. Non ho mai avuto buste paga, non ho firmato fogli, neppure il licenziamento. Dopo che mi sono rivolta al Caf e ho fatto una serie di minacce mi hanno accreditato, a rate, parte dei soldi sul conto, ma del Tfr neanche l'ombra». U. V., uno degli chef, continua: «Molti lavoratori hanno contratti a chiamata, tramite agenzie interinali. Queste agenzie cambiavano una volta al mese, in poche parole sono scatole vuote. Addirittura ci sono lavoratori con contratti a tempo indeterminato a cui dal 2004 non vengono pagati i contributi. Adesso una cinquantina di persone è nella merda e gli altri sono in cassa integrazione». B. R. è uno dei tanti camerieri a chiamata, però, non è passato da un'agenzia interinale per lavorare al Plaza: «Ho mandato il curriculum al maitre, il quale mi ha chiamato e mi ha fatto lavorare. All'entrata e all'uscita firmavo un foglio, come se fosse un badge. L'unica cosa che ho firmato, perché sempre il maitre mi fece lasciare documenti, curriculum e Iban. Ho prestato servizio per tre mesi e devo ricevere ancora una bella somma. Aspetto il denaro da febbraio. Mi sono rivolto anche all'ispettorato del lavoro dove a fine luglio ho presentato una richiesta di intervento». Per quattro tipologie: la prima relativa alla regolarizzazione del rapporto di lavoro «in nero»; la seconda e la terza per spettanze economiche relative a retribuzioni e a straordinari/ore in busta paga e non pagati; la quarta per retribuzioni relative a prestazioni di lavoro registrate con altro titolo (trasferte, rimborsi, indennità) mai ottenute. Conclude B. R.: «Avrebbero dovuto darmi notizie sulle ispezioni, ma dopo tre mesi non so ancora nulla. Dietro al Plaza ci sono dei poteri forti e ho paura di avere di fronte un muro di gomma».
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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