2019-06-17
Caos nomine. È in atto il ritorno al passato
Invece del chiarimento che sarebbe necessario, nella magistratura avanza la restaurazione. Approfittando dello scandalo del mercato delle nomine ai vertici delle Procure che ha coinvolto Luca Lotti e alcuni giudici, gli equilibri del sindacato delle toghe, e dunque della stessa magistratura italiana, stanno ritornando al passato, ossia a quando nei tribunali a dettare legge era la corrente di sinistra di Magistratura democratica. Lo so che tutto ciò, a un comune cittadino non addentro alle cose della Giustizia, può sembrare incredibile, ma è ciò che sta accadendo e per capirlo bisogna procedere con ordine. (...)(...) Innanzitutto è indispensabile riavvolgere il nastro degli eventi e tornare alla fine di maggio, quando al Csm un accordo fra le correnti boccia la sostituzione di Giuseppe Pignatone con Francesco Lo Voi. Il primo è il Procuratore capo di Roma, il secondo di Palermo; il primo è pronto per la pensione, il secondo a sostituirlo. Ma, all'improvviso, un accordo fra le correnti della magistratura affossa la candidatura del pm siciliano, preferendogli Marcello Viola, il procuratore generale di Firenze. Che il colpo di mano sia indigeribile per chi ha fatto e disfatto la magistratura in Italia negli ultimi anni, lo si capisce subito il giorno dopo, leggendo Repubblica, il vero organo dei poteri forti e del potere giudiziario. Nessuno ancora sa degli intrecci che riguardano Luca Palamara, l'ex capo del sindacato dei giudici e nemmeno si ha notizia di pressioni esercitate nella notte dai parlamentari del Pd per orientare la decisione sul sostituto di Pignatone. E però su Repubblica appare un articolo a firma Liana Milella in cui si parla di un ritorno alla stagione in cui la Procura di Roma era chiamata il porto delle nebbie. L'attacco è grave e per nulla giustificato, ma i toni fanno capire che il clima è cambiato e c'è chi non ha intenzione di vedersi sfuggire dalle mani il controllo del più importante ufficio giudiziario del Paese. Infatti, da quel momento in poi si scatenano i fuochi d'artificio e i protagonisti dell'intesa sulla Procura di Roma finiscono nel mirino. Lo scontro è al calor bianco e le indiscrezioni, ancorché coperte da segreto istruttorio, non si contano. Gli indagati, o i mascariati, non hanno accesso agli atti, cioè alle conversazioni carpite dal trojan, il virus capace di prendere il controllo di un telefonino e di trasformarlo in un orecchio in grado di ascoltare anche i sospiri. E tuttavia, se le persone in causa non hanno diritto di sapere di che li si accusa, i giornali - tra questi quelli dei poteri forti tipo Repubblica - hanno libero acceso a ogni intercettazione. O anche a ciò che si ritiene sia stato intercettato. Così capita che ogni giorno ci regalino una chicca, ossia un'indiscrezione. Completa, deformata o artefatta? Nessuno lo sa, perché nessuno ha visto le carte e può dire con certezza che le cose stiano come le raccontano Repubblica e gli altri pochi quotidiani che hanno il privilegio delle soffiate.Fin qui naturalmente potrebbe sembrare che la faccenda sia limitata a un regolamento di conti fra giornalisti. Dove alcuni godono della possibilità di avere in anticipo gli atti dell'inchiesta e qualcun altro no. Fosse così, noi, giornale indipendente da qualsiasi lobby anche giudiziaria, potremmo contentarci di leccare le ferite, in attesa di prenderci la rivincita con una nostra esclusiva. Ma in realtà le cose non stanno come le raccontano. Altro che indipendenza, terzietà e le diverse parole di comodo che si usano in questi casi. Qui si approfitta del caso Palamara non per fare chiarezza, ma per prendersi tutto.Ovviamente a molti lettori tutto ciò apparirà oscuro se non pretestuoso. In realtà, ciò che sta accadendo è il ripristino dell'acien régime, ovvero la restaurazione fra le toghe, con la scusa di un obiettivo alto e autorevole. Del resto è sufficiente dare un'occhiata a ciò che è accaduto ieri. Il segretario dell'Anm si è dimesso e subito è stato rimpiazzato. Fin qui nulla di male: per una volta non sono stati lasciati posti vacanti. Peccato che il posto di un moderato sia stato preso da un esponente di Md, ossia della corrente più a sinistra che ci sia in magistratura. Ma anche della corrente perdente. Alle ultime elezioni per il sindacato e il Csm, i togati di Md non avevano ottenuto la maggioranza, ma anzi l'avevano persa. Pero ora, con lo scandalo alla porta, l'associazione ha deciso di voltare pagina. Come? Beh, nominando uno presidente di Magistratura democratica. Cioè tornando all'antico, in barba agli equilibri scaturiti dalle ultime votazioni. Chiariti i passaggi, si capisce che la vecchia guardia, quella di Md, quella sconfitta, si sta riprendendo i propri spazi, rimettendo uno dei suoi ai vertici del sindacato delle toghe.Questa battaglia senza esclusione di colpi, ma con i colpi sotto la cintura, non so come finirà. Forse male, per lo meno a leggere ciò che viene anticipato sulle pagine dei giornali. Ma una cosa è certa, l'idea che basti un coperchio di sinistra per mettere a tacere lo scandalo, peggiorerà le cose. Qui, se si vuole raccontare che cosa sia successo, perché si sia arrivati al Consiglio di spartizione della magistratura c'è un solo modo, ovvero aprire gli archivi. Costerebbe meno, ma soprattutto non farebbe allungare altre ombre sull'indipendenza e i veri interessi della magistratura.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
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