2024-08-29
I giornali oscurano la confessione
Chi ha diffuso per anni le bufale ufficiali sul Covid ignora la lettera di Mark Zuckerberg. Il «Corriere» tace, trafiletti sulle testate di Gedi. Sui siti la notizia è quasi introvabile.La lettera di Mark Zuckerberg? Quale? La censura online? Quando? Le colpe di Kamala Harris? Sul serio? I giornali italiani sembrano non aver visto né sentito nulla. Ieri, andando in edicola, bisognava sforzarsi per trovare la bombastica notizia della confessione del fondatore di Facebook, contenuta in una missiva al repubblicano Jim Jordan, capo della commissione Giustizia della Camera Usa. Il magnate ha svelato le pressioni dell’amministrazione Biden affinché la piattaforma cancellasse contenuti sgraditi e addirittura satirici sul Covid, nonché i post sui guai del figlio del presidente. Eppure, già nella giornata di martedì, sui siti dei principali quotidiani, si doveva scorrere un bel po’ con il mouse prima di imbattersi in un resoconto. Ieri, online, gli articoli erano già pressoché scomparsi. Il peggio, però, la nostra stampa l’ha dato nelle versioni cartacee.Sul Corriere, ad esempio, non c’era manco un rigo su Zuck. Paura di danneggiare la candidata dem alla Casa Bianca, dopo che tante lingue sono state intinte nell’inchiostro per tesserne le lodi sperticate? Mah. D’accordo che c’è una grottesca deferenza nei confronti dell’avversaria di Donald Trump, ma gli italiani non votano mica in America. Ormai, nemmeno Joe Biden è più un intoccabile: forse, ai lettori sarebbe interessato scoprire che, negli Stati Uniti, non si poteva discutere su Facebook delle foto compromettenti scoperte nel pc del rampollo Hunter. E sarebbero rimasti ancor più sbalorditi nell’apprendere che la scure dell’algoritmo si abbatteva non solamente su palesi menzogne, ma altresì su contenuti che, «con il senno di poi e con nuove informazioni», ha detto Zuckerberg, non era giusto oscurare. L’unica campana che era lecito ascoltare, durante la pandemia, era quella pro divieti e pro vaccini.Esattamente come Meta, i giornali italiani hanno fatto da cassa di risonanza per sciocchezze tipo quella di Mario Draghi sul green pass e la «garanzia di trovarsi tra persone non contagiose». Adesso si vergognano un po’. Così, il Messaggero non si è spinto oltre il taglio basso. Il Foglio, dove pure Giuliano Ferrara espresse qualche perplessità sul certificato verde, ha glissato. Idem Il Sole24Ore e Avvenire. L’organo ufficiale della Cei era quello sul quale veniva definito «eticamente inaccettabile» (scritto in corsivo, per enfatizzarlo) rifiutare il vaccino, poiché esso «contrasta la diffusione del virus, impedendo o anche solo limitando i contagi e le letali conseguenze». Erano le frottole che Roberto Speranza e soci volevano fossero raccontate a reti unificate. Non sappiamo se partissero veline dal ministero o da Palazzo Chigi. Sappiamo, invece, che il governo Usa chiese a Facebook di censurare e Facebook obbedì.Eppure, sulla Stampa, che si è limitata a un trafiletto sullo «schiaffo» di Zuckerberg alla Casa Bianca, il papà dei social media passa più per vittima che per correo. Manco avesse alzato le barricate per difendere la libertà di Internet, anziché piegarsi ai diktat di Biden. Il giornale torinese ha poi citato i Twitter files, dimenticando di precisare un dettaglio rilevante: era stato l’ex proprietario, Jack Dorsey, a sbianchettare a tutto spiano i post indigesti. La subdola operazione di «pulizia» era stata denunciata dal successivo acquirente, Elon Musk, che ha appunto pubblicato i «files» sulla mordacchia, prima di scendere in campo a sostegno di Trump. Ha scelto di mantenere il profilo basso anche Repubblica. L’altro quotidiano del gruppo Gedi, con un boxino di una manciata di battute, ha fatto poco meglio della creatura dell’ex editore Carlo De Benedetti, il Domani, completamente disinteressato alla storia. Ma persino nell’area del centrodestra, qualcuno ha preferito dedicare meno spazio possibile alla lettera di Zuckerberg a Jordan.È il caso del Giornale. In prima, per la verità, un pezzo sulla censura compariva; solo che si riferiva alla fissa dell’Europa per l’islamofobia. A occuparsi della censura sui social ci ha pensato Carlo Lottieri, relegato tra i commenti a pagina 18. Non ci si doveva aspettare di più: la testata è diretta dall’uomo che, quando era al timone di Libero, accusò noi di essere i «mandanti precisi» delle aggressioni dei no green pass. La Verità venne bacchettata perché, opponendosi al regimetto sanitario, sarebbe andata «a caccia di un pugno di copie in più». Di sicuro, chi nasconde le notizie, alla lunga finisce per vendere qualche copia in meno.
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