
La mania dei prodotti a «residuo zero» rende la vita impossibile agli agricoltori italiani. Tra assurdi requisiti green imposti dai commercianti, guerre insensate alla chimica e regole ultra salutiste che finiscono per impedire la difesa delle coltivazioni.Chiedete brutalmente a un acquirente che esplora il banco ortofrutta di un supermarket di scegliere fra due mele, una con più residui chimici e l'altra a tendenziale «residuo zero». La risposta sarà scontata. La «chemofobia» esiste, ma spesso è un istinto irrazionale: senza composti chimico-sintetici, non sarebbe possibile sconfiggere molte comuni patologie delle piante. Se poi allo stesso acquirente si dirà che i semi di molte varietà di mela contengono amigdalina, ossia acido cianidrico, cianuro, elemento presente in natura che si forma senza interventi esterni nei chicchi di questo frutto, egli si orienterà magari su un'arancia. Se tuttavia gli si farà presente che l'arancia è stata trattata con agrofarmaci e lo s'indirizzerà verso un'arancia prodotta in maniera biologica, ma non bella alla vista e un poco «invecchiata» perché costa più delle altre e molti clienti hanno preferito lasciarla sullo scaffale, probabilmente quell'acquirente non comprerà nessun frutto. E magari uscirà a pipparsi una sigaretta, che contiene 4.000 sostanze, di cui 400 tossiche e almeno altrettante cancerogene.Non è meglio allora continuare a nutrirsi quotidianamente di frutta e verdura, altamente consigliate dall'Organizzazione mondiale della sanità in un numero enorme di varietà? E, nei limiti del possibile, dedicare il giusto tempo per informarsi? Come mettono in luce diverse ricerche, per esempio quelle del ministero della Sanità e di Agrofarma, l'Italia risulta essere uno dei Paesi più virtuosi quanto a residui rilevati nei prodotti ortofrutticoli: le percentuali di frutta e verdura non conformi alle regole in materia sono irrisorie, dall'1 al 3 per cento. Un dato, quello del 3%, confermato anche dalle analisi sui campioni che ogni giorno giungono a Quargnento (Alessandria) nei laboratori di Cadir lab di Sata, una delle principali società italiane di consulenza per il settore agroalimentare, che vaglia 24.000 campioni di alimenti su base annua. I committenti sono produttori, realtà organizzate e soprattutto insegne della grande distribuzione, super e ipermercati. Già, i supermercati. È proprio l'ultimo spot lanciato in tv dalla catena Coop Italia, quello con il claim «Una buona spesa può cambiare il mondo», ad aver scatenato furenti proteste dei produttori agricoli. La pubblicità invita a riflettere, nella scelta dei prodotti, sull'etica ambientale, e a un certo punto si vede un carrello della spesa solitario che, rievocando la celebre scena di piazza Tienanmen, ferma non quattro tank dell'esercito cinese, bensì quattro macchine irroratrici di sostanze chimiche in fila su un campo coltivato.Eugenia Bergamaschi, presidente di Confagricoltura Emilia Romagna, da una delle regioni dell'Italia settentrionale più flagellate, nell'estate 2019, dal problema della cimice asiatica, concomitante con il maltempo e il crollo delle quotazioni all'origine di molte varietà frutticole, con danni di oltre 100 milioni di euro, è indignata e drastica. «Questa è disinformazione», protesta, «perché gli agricoltori sono a favore, non contro l'ambiente. Ricorrono agli agrofarmaci perché sono costretti, oltretutto aumentando le spese in un bilancio che langue. Cosa dovrebbero fare? È sul tavolo del ministero e in discussione in Europa l'ipotesi di ridurre ulteriormente le molecole utilizzabili contro gli attacchi dei parassiti. Siamo a un bivio: o ci consentono di utilizzare i principi chimici necessari oppure si allestisca un piano serio e finanziato per trovare alternative. Penso in primis alla genomica, cioè alla possibilità di ricorrere a piante geneticamente modificate con maggiori resistenze naturali alle avversità. Altrimenti estirperemo i frutteti e convertiremo i terreni a prati stabili di erba medica».Dello stesso avviso è Vincenzo Falconi, direttore di Italia ortofrutta, associazione con sede a Roma che raggruppa 140 organizzazioni di produttori ortofrutticoli in tutta Italia, per un valore di produzione totale di circa 2 miliardi di euro. «Negli ultimi anni, con le nuove norme, molti principi chimici impattanti sono stati messi al bando», spiega. «Da circa 1.000 molecole siamo ora a quota 300. Con il nostro impegno siamo andati anche molto al di sotto dei tetti stabiliti dalla legislazione per i residui. Anche perché per vendere frutta in Germania non si devono superare tre tipologie di residui, e con valori consentiti inferiori ai nostri standard di legge. Ma occorre pragmatismo: è impensabile incappucciare con reti protettive tutte le piante da frutto italiane, come si sta proponendo. Servirebbero 40.000 euro a ettaro. E nemmeno la soluzione della vespa samurai, antagonista naturale della cimice asiatica, di cui si parla da 4 anni, appare convincente. Servono strumenti straordinari di lotta chimica ad hoc anche in deroga ai limiti previsti nei disciplinari di lotta integrata».Gli effetti degli indugi e dei ritardi della politica sono sotto gli occhi di tutti. Si dice, con ironia, che l'agricoltore è un eterno insoddisfatto, come il Sagittario, ma stavolta è sull'orlo di una crisi di nervi. Claudio Gamberini, consulente ortofrutticolo dopo una carriera in Conad, ha osservato i danni in Romagna. «Qui si sta tagliando su larga scala, i frutteti spariscono, le aziende agricole non ce la fanno più. O si cambia rotta o è l'inizio della fine». Raccolti distrutti o semidistrutti, bilanci al lumicino, stretta delle banche, aste al ribasso dei prodotti - avversati da quelli esteri -, difficoltà a investire, nonostante i contributi del Piano di sviluppo rurale, una coperta troppo corta. Ma i residui? Sbandierarne una politica di contenimento, per le insegne della distribuzione è un must, salvo poi trovare scarse e chiare indicazioni di dettaglio nei cartelli dei banchi ortofrutta. Dunque, serve chiarezza. Tutte le varie forme di ortofrutticoltura praticate in Italia devono rendere disponibili prodotti con residui entro i limiti di legge. I metodi generalmente considerati più performanti per la salute dell'organismo e per l'ecosostenibilità sono il biologico e il biodinamico, quest'ultimo più di frontiera e a maggior spettro di variabili controllate rispetto al bio. Vi sono poi il metodo convenzionale, che si limita a impegnarsi al rispetto degli standard di legge, e la difesa integrata, sulla quale molti produttori hanno investito, basata su un mix di riduzione degli interventi chimici e ricorso a difese naturali, come gli «insetti utili». Va tenuto presente comunque che, al contrario di quel che si pensa, anche nei prodotti bio si può riscontrare nelle analisi la presenza di micotossine, sostanze segnalate dall'Istituto superiore di sanità come genotossiche, cancerogene e immuno-depressorie.Secondo Sebastian Nigro, attivo nell'unità di lavoro di Vittoria (Ragusa) della società britannica di Itaka crop solutions, «per alcune colture, come gli agrumi, meno per i limoni, gli standard residuali stabiliti dalle norme sono ancora troppo alti. Fra le orticole la maggior pressione fitosanitaria si registra nella melanzana e nel peperone, soprattutto in serra e, tra le piante da frutto, in drupacee, mango e colture tropicali». Tutti desiderano il «residuo zero», ossia l'assenza totale di contaminanti rilevabili, tuttavia gli ortofrutticoltori devono difendersi da infestanti e parassiti, pena la distruzione dei raccolti e la perdita di denari spesi. Si sta diffondendo l'uso dei biostimolanti, prodotti in grado di aumentare la resistenza delle piante agli stress ambientali e anche i loro valori nutrizionali. Tra i sostenitori del loro utilizzo, per limitare l'impatto ambientale delle molecole, figura Ferdinando Branca, dell'università di Catania, con il vasto progetto europeo Bresov. Un altro problema è che tra i Paesi membri dell'Ue le normative sono talvolta discordanti sul tema delle molecole ammesse, e dato che è impossibile controllare tutto, è lecito sospettare che possa esserci del torbido anche in questo mondo. E allora? «È consigliabile valutare l'offerta di supermercati e operatori commerciali che offrono maggiori garanzie sulla sicurezza», suggerisce Roberto Capurro, direttore tecnico di Sata. «Considerare prodotti bio, preferire prodotti di stagione, acquistare direttamente da produttori agricoli conosciuti». E, per tranquillo vivere, è bene ricordare che una mela è un concentrato di vitamine B1, B2, B6, E e C oltre che di antiossidanti, che il finocchio può sollevare dal fastidio della sindrome del colon irritabile e che la polpa del cocomero è ricca di licopene, un antiossidante, e aiuta la circolazione sanguigna. Pazienza se il fumatore, gratificato dopo una fetta d'anguria gelata in agosto, procederà con l'accendersi una paglia.
Le persone sfollate da El Fasher e da altre aree colpite dal conflitto sono state sistemate nel nuovo campo di El-Afadh ad Al Dabbah, nello Stato settentrionale del Sudan (Getty Images)
Donald Trump torna a guardare all’Africa. Il presidente americano si è infatti impegnato ad agire per cercare di portare a termine il sanguinoso conflitto civile che agita il Sudan da oltre due anni.
«Pensavo fosse solo una cosa folle e fuori controllo. Ma ora capisco quanto sia importante per te e per molti dei tuoi amici qui presenti il Sudan. E inizieremo a lavorare sul Sudan», ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca, rivolgendosi al principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman. Ricordiamo che la guerra civile in corso è esplosa nell’aprile del 2023 tra le Forze armate sudanesi e il gruppo paramilitare Rapid Support Forces. Secondo The Hill, «più di 150.000 persone sono morte nel conflitto, circa 14 milioni sono state sfollate e si prevede che circa metà della popolazione di 50 milioni di persone soffrirà la fame quest'anno».
Ecco #DimmiLaVerità dell'1 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Rico commenta l'ipotesi che la Nato lanci attacchi ibridi preventivi contro la Russia.
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