2019-08-13
Pur di sostenere la tesi buonista, i giornaloni ci accusano di aver falsificato le dichiarazioni in cui la capitana confessa che la Germania ha chiesto di registrare in Italia i profughi. Ma la trascrizione prova che è tutto vero.Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3, ha spiegato durante un'intervista alla televisione tedesca Zdf che da subito poteva esserci una soluzione alternativa a Lampedusa. L'abbiamo già scritto sabato. Oggi lo ribadiamo riportando le parole esatte tratte dal video dell'intervista. La giornalista di Zdf chiede: «Se noi guardiamo le cifre vediamo che c'è una diminuzione, ma nonostante ciò, Stati come Italia, Spagna e Grecia sono sovraccaricati e si sentono lasciati soli, così non può andare aventi e perciò i porti vengono chiusi. Lei comprende queste posizioni?». La risposta della capitana, indagato in Italia per vari reati connessi al decreto Sicurezza, è diretta e semplice. «In parte», spiega, «questa posizione viene anche utilizzata per motivi politici nei singoli Paesi; tutti sanno che l'accordo di Dublino 3 è da rivedere. Ciò che è interessante è che un giorno dopo il salvataggio, la città di Rottenburg si è offerta di accogliere i migranti, di inviare un autobus finanziato dal fondo solidale Seebrücke. Per l'operazione», conclude, «mancava solamente il permesso. A quel punto il ministro dell'Interno tedesco ha richiesto che i migranti venissero registrati in Italia. Ecco, ci sarebbe stata una soluzione a partire dal primo giorno». Nessuno potrebbe sostenere che questa non sia una notizia bomba. Una rivelazione in grado di mettere in imbarazzo l'intero governo tedesco. Eppure l'intervistatrice procede come se nulla fosse. Probabilmente perché non si aspettava tale sincerità. D'altronde, visti i numerosi attacchi scagliati contro il nostro Paese e le politiche leghiste dei porti chiusi, non sorprende che si voglia passare oltre e chiedere dei massimi sistemi. Infatti, le domande successive si rivolgono all'Africa e alle nostre colpe ancestrali di colonizzatori e uomini bianchi. Fa un certo effetto, invece, che ci siano italiani o giornalisti stranieri ospiti dell'Italia disposti a negare questa evidenza. Ieri pomeriggio i social si sono scagliati contro l'articolo della Verità e contro quelli di altri due quotidiani che riprendevano la notizia. Quando poi a rilanciarla è stata la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, apriti cielo. Il primo a menare le danze è stato Udo Gümpel, corrispondente a Roma per la televisione Ntv e celebre non per gli scoop ma per le smorfie europeiste in tv, che ha subito twittato: «Vergogna, falso. L'unica parte dell'intervista in cui la Rackete parla del governo tedesco è quella in cui spiega che il ministero dell'Interno e degli Esteri hanno contattato l'Ong ma senza alcuna indicazione precisa». Qui sta la malafede e la manipolazione. Perché è vero che questa frase è stata pronunciata dopo che l'intervistatrice ha chiesto quale sia stato il supporto del governo tedesco. Poi però l'intervista è andata avanti e la Rackete ha buttato la bomba che La Verità si è limitata a riportare sabato scorso. Un piccolo sforzo che molti altri evidentemente non hanno voluto intraprendere. Il tweet di Gümpel viene bevuto come oro colato e gli vanno dietro i soliti supponenti sostenitori della tesi che l'unica soluzione ai problemi dell'esistenza e dell'Italia sia «più Europa». Vanno dietro a Gümpel giornalisti e pure giornali. La Repubblica nella sua edizione online ieri titolava: «Carola bersaglio dei social dopo la bufala degli ordini presi dalla Germania» e spiega nel catenaccio: «Per i quotidiani sovranisti furono le autorità tedesche a dirle di sbarcare a Lampedusa, ma traducono in maniera falsa le sue dichiarazioni alla stampa tedesca. E sul Web si scatenano gli odiatori». Come se ad armare i critici o gli odiatori - come li definiscono - fossimo noi e non la realtà dei fatti. D'altronde, essere più realisti del re porta a tali deformazioni mentali. Porta a negare i fatti e pure le parole dei protagonisti, pur di portare avanti una teoria che mira al mantenimento dello status quo e dell'attuale potere basato sugli accordi di un'Europa a matrice socialdemocratica. La stessa Europa ha spinto la sinistra a barattare flessibilità per i conti della manovra in cambio dei porti aperti e della sottomissione politica alle scelte altrui. A questa greppia europeista hanno appoggiato la faccia in tanti e continuano a farlo. Piacciono i contratti e pure le consulenze che il sistema erogava e continua a erogare. Se il sistema cade, però, addio ai giri di potere. E così, come sempre succede, le terze file, quelle che meno contano e che aspirano alle briciole, sono anche le più incattivite e le più aggressive. Insultano, offendono e urlano agli altri «odiatori» e «falsificatori». Ma è solo frustrazione. Se qualcuno avesse poi ancora dubbi sulla traduzione vada sul canale Youtube di Zdf. I commenti in lingua tedesca sono quasi tutti contro Rackete.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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