I costi troppo alti mettono a rischio la coltivazione di pomodori e fragole
Se andrà avanti così servirà un’unità di crisi come quella per le catastrofi centrata sull’agroalimentare. La difficoltà delle campagne si allungherà almeno per tutto il prossimo anno e la prospettiva è di una carestia. Ci mancheranno - oltre alla farina, al mais, all’olio di girasole, allo zucchero - anche i legumi, buona parte delle orticole e la salsa di pomodoro. Sempre che la crisi delle stalle non diventi irreversibile, altrimenti anche il latte e i formaggi saranno merce rara come già il pesce, mentre per carne e salumi sono alle viste rincari tra il 20 e il 30%.
L’ultimo allarme viene dai campi di fragole: si rischia di non trovarle. Anche per la panna che di solito le accompagna sono dolori. Gli allevamenti stanno razionando i mangimi, alimentano le vacche - destinate al macello entro un mese se non arriva il mais bloccato in Ucraina e Ungheria - solo con fieno secco e la produzione di latte è in caduta libera. Si stima che siano 43.000 le stalle in procinto di chiudere.
La penuria agricola è però a lento rilascio e le conseguenze si trascineranno per diversi raccolti. Le aziende aderenti a Fruitimprese avvertono: «Le imprese stanno subendo un aumento incontrollato dei costi di produzione per i concimi, i fertilizzanti, gli imballaggi, l’energia, i trasporti e chiedono una corretta redistribuzione dei costi. A queste difficoltà si sommano le incertezze sulla possibilità di garantire un servizio continuativo ai clienti a causa del fermo dei trasporti e dell’inerzia delle istituzioni davanti alle richieste, in gran parte condivisibili, delle aziende della logistica». Significa che troveremo poche e carissime fragole. Già oggi siamo oltre i 6 euro al chilo. Tutto il comparto dell’ortofrutta è in sofferenza: tra i produttori di quarta gamma (le insalate in busta) si stimano cali produttivi che vanno oltre il 20% con costi cresciuti della stessa quota. La mancanza di frumento, di olio di girasole e di mais sta inducendo i coltivatori a orientarsi su questi prodotti - a discapito del grano duro che serve per la pasta - ma in questo momento non si trovano i semi. I campi a frumento sono aumentati di 30.000 ettari, quelli a orzo sono cresciuti di 21.600 ettari, quelli a duro hanno perso 17.200 ettari. La carenza della farina, dell’olio di girasole e dei mangimi si allungherà ai prossimi raccolti - mais e girasole da seme non si trovano e non si possono piantare ora che è il periodo giusto, i grani sono già a dimora da ottobre - e si aggiungerà anche quella della pasta. In questo momento in cui si dovrebbero seminare mancano piselli, lenticchie, fagioli e ceci. Importiamo circa l’80% del nostro fabbisogno da India e Africa, ma la Cina ha fatto scorte oltre la media e c’è penuria di prodotto.
Un comparto che va verso l’azzeramento quest’anno è quello del pomodoro da industria. Per due motivi. Gli agricoltori si stanno orientando su colture che si ritine siano diventate più redditizie a causa il blocco delle importazioni da Ucraina e Russia, ma i vivaisti, quelli che allevano le piantine che vengono poi trapiantate (l’operazione si fa in questi giorni), non riescono a stare dentro i costi e non possono onorare i contratti ai prezzi che erano stati concordati lo scorso autunno. Ciò che vale per il pomodoro da industria vale per tutte le piante che si allevano in semenzaio - dal sedano alle melanzane, dalle carote al melone per citarne alcune - prima del trapianto a pieno campo. I costi sono esplosi. Il gasolio agricolo per le serre è passato da 0,80 a 1,50 euro al litro, una seminiera di polistirolo da 0,60 euro a 1,15 euro, i fertilizzanti da 35 a 90 euro al quintale.
Oltre ai costi ora c’è anche la irreperibilità. Assoplant avverte: «Intere filiere sono a rischio, è molto difficile iniziare la nuova stagione con una dinamica dei costi così volatile». Il risultato è che forse non avremo né gli spaghetti né il pomodoro per condirli.





