2019-05-26
I compagni ti insultano anche se gli fai un piacere
L'Unità, quotidiano fondato da Antonio Gramsci e per anni organo del Pci, manca dalle edicole dalla metà del 2017. La caduta del Muro di Berlino, ma soprattutto dell'utopia marxista, aveva già ridotto al minimo i lettori. Al resto ci ha pensato Matteo Renzi, imponendo come direttore l'ex presidente dell'acquedotto di Firenze. Risultato, dopo un breve periodo con Sergio Staino alla guida del giornale, L'Unità ha cessato (...)(...) le pubblicazioni. Da allora i redattori sono in cassa integrazione e una volta l'anno, per evitare la decadenza della testata, viene stampato un numero che è distribuito nelle edicole di Milano e Roma. La legge infatti impone che ogni 12 mesi almeno una copia del giornale venga tirata e distribuita e oltre a ciò richiede che ci sia un direttore responsabile, ossia un giornalista iscritto all'Ordine, il quale, in caso di querele risponda sia penalmente che civilmente. Nonostante, come detto, ormai da due anni il quotidiano comunista non vada in edicola, la famiglia Pessina, che ne è proprietaria, non ha rinunciato all'idea di riportarcelo, prova ne sia che più di un anno fa, avendo visto il successo della Verità, mi chiese consiglio su come fare. Siccome penso che la libertà di stampa sia un bene prezioso e guardo con favore alla nascita, o alla rinascita, di qualsiasi testata, anche di quelle che non mi piacciono, ovviamente ho regalato volentieri qualche suggerimento. So, che nel frattempo l'editore ha cercato di ingaggiare direttori di prestigio e di sinistra allo scopo di rimettere in piedi il quotidiano. L'altra sera però, in coincidenza con la stampa del numero necessario a evitare la decadenza della testata, l'amministratore delegato dell'Unità mi ha chiesto se fossi disposto a mettere la firma come direttore responsabile. Gli articoli dell'Unità sono scritti da giornalisti dell'Unità e come potete immaginare non condivido una virgola di quel che viene messo in pagina. Tuttavia ho pensato che fosse giusto rispondere di sì. Così è uscito un numero dell'Unità con uno scritto di Antonio Gramsci, varie accuse alla Lega sull'immigrazione, interviste a Nicola Zingaretti, a Nicola Fratoianni della Sinistra, a Benedetto Della Vedova di +Europa e a Luigi Di Maio.Consentendo all'edizione del quotidiano del fu Partito comunista di andare in edicola, ovviamente non ho guadagnato un euro. In compenso però ho dovuto incassare una serie di polemiche e di attacchi. Il primo è venuto dai colleghi dell'Unità, i quali hanno parlato di insulto alla tradizione politica del loro giornale e alla sinistra italiana. In un comunicato il Comitato di redazione ha definito il fatto che io abbia consentito al giornale di tornare in edicola «un gesto gravissimo», decidendo di ritirare le firme, come se avessero schifo di vederle sulle stesse pagine accanto alla mia. Luigi Zanda, tesoriere del Pd (quello che vorrebbe ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti e magari pure aumentare lo stipendio agli onorevoli), ha rilasciato una dichiarazione in cui parla «di profanazione della storia gloriosa di un giornale libero», mentre Stefano Fassina, altro pezzo da novanta della sinistra, ha definito la presenza del mio nome in un angolo in basso a pagina 7 «un affronto alla storia». Tralascio le reazioni del portavoce del partito e di tanti altri compagni che hanno voluto dire la loro e soprattutto scendere in campo in difesa dell'Unità. Ma se davvero avevano così a cuore il destino e la storia di un giornale libero, perché l'hanno fatto fallire? Se L'Unità rappresenta la tradizione politica della sinistra italiana, come ha scritto il comitato di redazione, il Pd e la sinistra italiana perché ne hanno decretato la morte? La testata fondata da Gramsci è stata lasciata affogare tra i debiti, nonostante le centinaia di milioni che i contribuenti italiani hanno versato nelle casse della casa editrice controllata dal Pci. C'è chi si è costruito carriere politiche sulle spalle dell'Unità, ma quando è stato il momento di mettere mano al portafogli, quelle stesse mani se le è lavate. Perciò, vorrei capire: se io presto il mio nome, la mia firma, insulto L'Unità e la sua storia? E chi invece l'ha affossata che cosa ha fatto? Chi ha contribuito giorno dopo giorno ad allontanare i lettori solo per soddisfare il proprio ego non ha insultato la tradizione politica del giornale? Io credo di sì. Anzi, l'ha uccisa.Sono felice e per nulla pentito, nonostante le polemiche, di aver consentito all'Unità di tornare anche se per un solo giorno in edicola e mi auguro che la mia firma contribuisca a smuovere gli animi per farla risorgere. Ciò detto, la reazione del Cdr e di alcuni compagni è la dimostrazione che l'intolleranza e il fascismo sono di sinistra. Mi limito a riportare il commento di uno dei pochi parlamentari del Pd di cui sono amico. Dopo le polemiche di cui sono stato oggetto, mi ha scritto: «Meritiamo l'estinzione».
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