2018-11-01
I comboniani moralizzano Salvini: non può dire «verme» a un assassino
Il ministro dell'Interno aveva usato quel termine verso i responsabili dello stupro e dell'omicidio di Desirée. I missionari sul loro mensile: «Linguaggio che indigna». Insorgono gli stessi lettori: «Quanta ipocrisia». Se fosse Carnevale penseremmo a uno scherzo, invece è Halloween, e infatti ci troviamo a commentare le parole, anzi i deliri, di fantasmi in carne e ossa. Parliamo dei comboniani, una congregazione religiosa che in teoria si dedica all'apostolato missionario in Africa, in pratica si dedica a fare politica in maniera spicciola e intellettualmente fraudolenta, utilizzando la religione per difendere i soliti noti e attaccare il governo. I soliti noti sono i reduci del comunismo, i centri sociali, i «compagni» dei comboniani, il cui volto più conosciuto (figuratevi gli altri) è quello di padre Alex Zanotelli, missionario sempre in prima linea quando si tratta di vaneggiare a favore di telecamera, amico fraterno del presidente della Camera Roberto Fico. Ieri i comboniani si sono superati: pur di attaccare il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, hanno preso le difese del branco di orchi che ha stuprato e ucciso Desirée Mariottini. Non riuscite a crederci? Invece è così: basta leggere il comunicato pubblicato sul sito del mensile Nigrizia: «Ministro Salvini, disinneschi la violenza verbale», si intitola la nota firmata «i missionari comboniani in Italia». Che prosegue: «La tragica fine della giovanissima Desirée Mariottini», scrivono i religiosi comboniani, «trovata morta il 19 ottobre in un casolare abbandonato nel quartiere di San Lorenzo a Roma, esige che venga fatta giustizia e che i colpevoli siano presto identificati e processati. Tuttavia riteniamo perverso ogni tentativo di strumentalizzazione della sua morte, in modo specifico per attaccare gli immigrati». Fin qui, nulla di strano: il solito vaneggiamento comboniano. Ma la nota prosegue: «Per questo motivo», si legge, «ci sentiamo indignati e sgomenti per il linguaggio usato dal ministro dell'Interno, Matteo Salvini, che con un tweet ha definito verme l'immigrato africano arrestato a Foggia il 26 ottobre scorso perché sospettato, con altri tre stranieri, di aver drogato, stuprato e ucciso la giovane Desirée Mariottini». Avete letto bene: i comboniani non sono indignati e sgomenti per quello che queste belve avrebbero fatto a Desirée, ma perché Matteo Salvini ha definito «verme» uno di loro. «Reputiamo», ribadiscono i comboniani, caso mai qualcuno non abbia ben capito il concetto, «l'epiteto “verme" offensivo e denigratorio nei confronti della persona arrestata sulla quale si vuole insinuare che abbia una responsabilità criminale prima ancora di essere processata». È offensivo, dare del verme al trentenne ghanese Yousif Salia, che aveva un permesso di soggiorno per motivi umanitari scaduto a gennaio 2014, arrestato con l'accusa di essere uno degli aguzzini di Desirée, e che per rendere onore alla sua specchiata moralità, quando è stato acciuffato dalle forze dell'ordine, era in possesso di 11 chili di marijuana, 200 grammi di hashish, 4 dosi di metadone e una pistola giocattolo. Sarebbe stato proprio Yousif, tra l'altro, il bravo e pio Yousif, a pronunciare la frase «meglio lei morta che noi in galera», rivolta verso chi avrebbe voluto dare una mano alla povera vittima di questo branco di bestie che i comboniani, affettuosamente, difendono da quel cattivone maleducato di Salvini. Ma i comboniani sono pieni di risorse (si può dire, risorse?) e quindi dal particolare risalgono all'universale: «Inoltre», aggiungono i religiosi, «non si può negare che l'associare la parola “verme" a immigrato comporta il pericolo reale di fare emergere sentimenti di odio razziale e istigare atti di violenza verso gli stranieri nel nostro paese, in modo particolare verso gli africani. Il brutale pestaggio a Brindisi, lo scorso 19 ottobre, di due immigrati africani per mano di due italiani», proseguono i comboniani, «è l'ennesimo episodio di una catena di atti di intolleranza e di violenza che sono andati moltiplicandosi negli ultimi tempi sull'onda di pronunciamenti xenofobi da parte di autorità civili ed esponenti della politica». Per i missionari, quindi, Salvini è pure il mandante morale di un pestaggio. «Condividiamo, pertanto», scrivono ancora i comboniani, «la preoccupazione di tanti fratelli e sorelle neri che nell'Italia di oggi si sentono più insicuri. In pubblico o per strada, temono che per il semplice fatto di avere la pelle scura possano diventare bersaglio di aggressioni razziste. Chiediamo, quindi, al ministro dell'Interno Matteo Salvini, di evitare nei suoi pronunciamenti parole che possano fomentare l'odio e la violenza razziale al fine di stemperare le tensioni sociali nel nostro Paese e non aggravare», concludono, «la già difficile relazione tra italiani e la comunità immigrata».Onore al merito: raramente abbiamo letto una tale accozzaglia di menzogne, strumentalizzazioni, capovolgimenti della realtà, vaneggiamenti e deliri. I missionari comboniani, con questo comunicato hanno superato ogni record di ipocrisia e cattiva coscienza. L'odio nei confronti di Salvini e del governo italiano trasuda da ogni riga di questa nota, che potremmo definire nauseante, tanto più che viene scritta e diffusa con il timbro di una congregazione religiosa. Tanta malafede ha scatenato, per fortuna, la rabbia degli stessi lettori di Nigrizia, che hanno risposto per le rime ai comboniani nei commenti in calce al comunicato. «È una grande ipocrisia», scrive ad esempio il signor Francesco, «ritenere i responsabili di un crimine orrendo come drogare, violentare e uccidere una ragazzina minorenne, al di là delle denominazioni tecniche del codice penale e dei tre gradi di giudizio». «Ma come li vorreste definire», chiede Cristina, «se non così? Fate finta di non capire che sono vermi non perché sono neri, ma per la violenza di gruppo seguita da morte su una ragazzina. Che misero tentativo di spostare il discorso, che immensa ipocrisia». Non mancano, ma non li riportiamo, coloriti insulti nei confronti dei comboniani, fulgidi esempi di tutto ciò che non dovrebbe mai fare, dire o pensare un religioso.