
L'eurodeputato Antonio Maria Rinaldi: «Inaccettabili gli ultimatum di una Commissione ormai in scadenza. Nomine? Puntiamo a scegliere il successore di Moscovici».Eurodeputato Rinaldi, innanzitutto come sta?«Stanco morto».Come mai?«Campagna elettorale massacrante. Pensavo di aver finito il 24 maggio sera e invece poi mi sono dovuto dedicare ai 15 giorni di ballottaggio».I risultati però sono arrivati.«Sì. È stata una bella soddisfazione».Antonio Maria Rinaldi è stato appena eletto parlamentare europeo della Lega. Romano, già professore universitario a Pescara, è stato allievo di Paolo Savona. Pochi mesi fa ha pubblicato il suo ultimo libro, La sovranità appartiene al popolo o allo spread?. Grazie ai talk show, il pubblico ha ormai memorizzato il suo volto. Come va a finire la questione procedura d'infrazione?«Innanzitutto va precisato che tutto è partito da una letterina che ci chiedeva di fornire chiarimenti sull'andamento del deficit in 48 ore».Un ultimatum.«Appunto. Una cosa che ricorda le colonie: “Se entro 48 ore non rispondete, vi mandiamo le corazzate e i fucilieri"».La sento contrariato.«C'è un problema di opportunità. Il 31 ottobre scade la Commissione. Come in molte istituzioni italiane esiste il cosiddetto semestre bianco, sarebbe opportuno che anche in Europa si rispettasse questo elementare principio».Propone un semestre bianco nelle istituzioni europee?«Insomma, questi stanno con gli scatoloni in mano e discutono di avviare una procedura d'infrazione. Peraltro, Pierre Moscovici è stato invitato a un evento della campagna elettorale del Pd. Questo fa capire molto bene che Moscovici non è un commissario super partes, ma di fatto è un personaggio con una chiara affiliazione politica».Anche l'Eurogruppo però ha confermato la linea della Commissione. I vostri alleati sovranisti dell'Est che fine hanno fatto?«L'Eurogruppo è ancora espressione della vecchia governance. Perciò sia l'Eurogruppo sia la Commissione dovrebbero astenersi dall'avviare procedure mentre sono in rinnovo».Che intenzioni avete? Andrete allo scontro frontale con i commissari?«No no. Noi siamo per la massima collaborazione possibile. Ma questo presuppone una reciprocità. Invece mi sembra che ci sia un pregiudizio molto forte nei confronti dell'Italia».Per lei, dunque, sono i commissari a non voler dialogare?«Molto probabilmente sì. Ma mi auguro che prevalga il buon senso». Bisogna temere il muro contro muro?«Se noi non veniamo ascoltati, se veniamo marginalizzati, naturalmente ci regoleremo di conseguenza. Sa, molto probabilmente certe cose avvengono perché negli anni passati l'Italia è stata fin troppo morbida».Siamo stati troppo accondiscendenti?«Sì. E per coprire i problemi interni all'Unione europea, evidentemente questi signori pensano ancora di poter utilizzare l'Italia come pungiball. Solo che la musica è cambiata, dovranno trovarsi qualcun altro».Sergio Cottarelli, alla Verità, ha detto che se con Francia e Germania l'Ue non è stata così severa, è perché Parigi e Berlino hanno fatto sempre finta di accogliere i richiami, di voler rientrare nei parametri Ue, anche se poi hanno continuato a fare i loro comodi. Dovremmo metterci pure noi a fare la commedia?«Non sono favorevole alla commedia delle parti. Altrimenti prendiamo un attore e lo mandiamo al posto nostro».Come la pensa lei?«Io penso che se la Francia è stata per 9 anni in procedura d'infrazione senza che nessuno fiatasse è perché ha avuto una classe politica capace di farsi rispettare in Europa. Esattamente il contrario della nostra».Ma un'Italia ai ferri corti con l'Ue non rischia di ritrovarsi debole e isolata?«Senta, le posso dire una cosa?».Dica.«I veri europeisti siamo noi».Voi sovranisti?«Esatto. Noi non combattiamo l'Europa, ma l'Unione europea figlia di trattati e regole completamente sbagliati. Chi desidera salvare veramente il concetto di Europa è chi vuole impedire a quest'Ue di disgregarla».Quindi non teme l'isolamento dell'Italia?«L'Italia è sempre la seconda manifattura d'Europa. Credo sia interesse di tutti che l'Italia torni a essere forte, perché un'Italia forte significa un'Europa forte - non a caso dico Europa e non Unione europea».Negoziando con l'Ue, dunque, dobbiamo fare leva su questo: siamo troppo grandi per fallire.«Esatto. Ma credo che nell'Ue lo sappiano già. Lo sanno tutti, tranne che noi italiani».Abbiamo un complesso d'inferiorità?«Malriposto. Dobbiamo far valere i nostri diritti, andare a testa alta e non con il cappello in mano. Ce lo possiamo permettere».Avete da poco varato il gruppo sovranista Identità e democrazia, che oltre alla Lega include Rassemblement national, destra austriaca e i tedeschi di Afd.«Sì. E il gruppo ha espresso all'unanimità, per acclamazione, Marco Zanni presidente. Ne sono particolarmente fiero e orgoglioso, perché Marco è un amico ed è una persona estremamente preparata».Il supergruppo sovranista - per intenderci, quello con Nigel Farage e i conservatori di Ecr - però ormai è un miraggio.«Mai dire mai. Da qui alla prima plenaria del 2 di luglio a Strasburgo, con l'investitura ufficiale del nuovo Parlamento, potrebbero cambiare molte cose».Ad esempio?«So che ci sono ancora delle trattative e sono fiducioso che il gruppo che abbiamo costruito, dai 73 eurodeputati attuali, possa lievitare».Le trattative sono con Farage?«Diciamo che con Farage le porte non sono ancora definitivamente chiuse. Anche perché lui non riesce a fare il gruppo, che in base ai regolamenti deve avere elementi da almeno sette nazioni. Noi ne abbiamo nove».Capitolo nomine. La linea dei giornaloni è: l'Italia sostenga Manfred Weber come presidente della Commissione europea per evitare il falco Jens Weidamnn alla Bce. Condivide?«Il gioco delle poltrone è molto più complesso di così».Ce lo spiega?«Non si può semplicemente parlare di una poltrona in relazione a un'altra. Da decidere ci sono anche il presidente e i 12 vicepresidenti del Parlamento Ue, il capo del Consiglio europeo e i 28 commissari, uno per Stato membro».A noi cosa tocca?«Sicuramente né il presidente del Parlamento europeo, visto che abbiamo avuto finora Antonio Tajani, né il capo della Bce. Con un'ulteriore beffa».Cioè?«Non è neppure detto che saremo rappresentati nel board della Bce». E perché?«Visto che, per avere la presidenza della Bce, a suo tempo avevamo dovuto rinunciare all'italiano nel board, Lorenzo Bini Smaghi, se ora venisse eletto presidente un attuale membro del board, si libererebbe un posto e l'Italia potrebbe occuparlo. Se però venisse eletto un esterno, rimarremmo senza rappresentanza».Lei teme l'arrivo di Weidmann come capo della Bce?«Mah. Io credo che sarà eletta una terza figura, di un Paese magari non in prima fila. Conviene anche ai tedeschi».In che senso?«Gliela faccio semplice: i tedeschi preferiscono un Paese terzo disponibile a fare il tedesco più del tedesco…».Su chi sta puntando l'Italia come commissario?«Prima di fare un nome, bisogna capire di quale Commissione si parla».E quale vogliamo noi?«Visto che perderemo necessariamente posizioni di prestigio al Parlamento e alla Bce, dovremo puntare a una commissione pesante, economica».E a quel punto ragionereste sulla persona?«Eh sì, perché un conto è se ci affidano una cosa tipo gli Affari esteri, com'è avvenuto con Federica Mogherini, un conto è se aspiriamo agli Affari monetari…».Aspiriamo agli Affari monetari? E con che figura?«Una figura anche non politica, che però abbia la professionalità giusta per gestire al meglio una poltrona da commissario così importante».Capitolo minibot. Sono il vostro piano per uscire dall'euro?«Assolutamente no. Chi lo sostiene, non ha capito il meccanismo dei minibot».E qual è il meccanismo?«I minibot sono semplicemente uno strumento a favore delle imprese che aspettano da anni di essere pagate».Però è passata la vulgata per cui sarebbero la premessa all'uscita dall'euro. Introdurli non scatenerebbe il panico sui mercati?«Perché? Sono un credito fiscale». Serviranno a pagare multe, tasse… Giusto?«Esatto. Ora, il debito della Pa è di circa 53 miliardi di euro. Se ne venissero liberati all'incirca 25, come potrebbe ciò creare tanti problemi? Peraltro, l'accettazione dei minibot sarebbe volontaria».Ecco. Cosa vi fa pensare che gli imprenditori li preferiranno alla moneta sonante e che poi i privati se li scambino tra di loro?«Facciamo un esempio pratico. Sono un falegname che vanta un credito di 5.000 euro con la Pa e da tre anni non vengo pagato. Nel frattempo, però, pago le tasse».Bene. Quindi?«La Pa mi dice: “Vuoi che saldiamo subito il nostro debito in minibot, che tu potrai utilizzare per pagare le imposte?". Io li prendo. Poi vado in pizzeria e chiedo al proprietario: “Li prendi i minibot?". Se lui li accetta perché vuole pagarci le tasse, bene. Se lui non li prende, vado da un'altra pizzeria che li accetta…».Lei dice: alla fine si crea un meccanismo per cui i privati sono incentivati ad accettare i minibot.«D'altronde, le tasse le dobbiamo pagare tutti».Quando la fate la flat tax per le famiglie?«Io mi auguro presto. Se poi si dovrà fare con due aliquote anziché una e a partire dai redditi più bassi, non ha importanza. L'importante è liberare risorse per rilanciare i consumi interni. Non si può vivere di solo export, perché quando arriva una crisi internazionale, il castello crolla».Valeva la pena per la Lega contribuire al salvataggio di Radio radicale?«Attenzione: i 3 milioni stanziati servono solo a digitalizzare e archiviare il lavoro di 40 anni svolto da Radio radicale. Altrimenti sarebbe andato perso. Per il resto, se Radio radicale vorrà continuare a fare questo lavoro, dovrà partecipare a una gara pubblica».Quindi la gara la farete?«Certo».Quando?«Ah, io non faccio parte del governo. Non lo chieda a me…».
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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2025-09-15
Pichetto Fratin: «Auto elettriche, l’Ue sbaglia. Così scarica i costi sugli europei»
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Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il ministro dell’Ambiente attacca Bruxelles: «Il vincolo del 2035 è una scelta ideologica, non scientifica». Sul tema bollette, precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti».
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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