2019-01-30
I gestori delle pompe rilasciano il documento solo con un sovrapprezzo che può arrivare anche a 1,5 euro. Dubbi sulla legalità della pratica. Alla fine, come al solito, i costi vengono scaricati sugli automobilisti.Sì alla fattura elettronica solo se paghi un sovrapprezzo. È questa la politica adottata da alcuni benzinai per coprire i costi legati all'emissione della fattura digitale. Le contromisure che i benzinai stanno prendendo nei confronti dalla fattura elettronica stanno avendo ripercussioni sui consumatori finali e non tanto sul governo, dato che per ogni fattura elettronica richiesta viene attribuito un sovraprezzo di solito di 40 centesimi ma che in alcuni casi arriva a 1,5 euro. Salvatore Basile, coordinatore regionale Faib (Federazione autonoma benzinai Italia) Sicilia ha infatti dichiarato come il sovraprezzo «va a coprire i costi necessari che i benzinai hanno nell'emettere la fattura elettronica» e che a livello di sindacato stanno lavorando per «verificare la legittimità della sovrattassa». Si sta dunque cercando di capire se l'applicazione di un importo aggiuntivo alla richiesta di emissione di efattura potrà avere ripercussioni legali oppure no. «Non siamo contro la fattura elettronica», continua Basile, «ma i costi non devono ricadere sui benzinai». Se dunque il governo non dovesse venire incontro alle richieste della categoria «i costi andranno a pesare sul consumatore».La fattura elettronica va però a inserirsi nell'universo più complesso del credito di imposta concesso dalla precedente finanziaria. Era stato infatti dato un bonus pari al 50% delle commissioni addebitate dalle banche o dalle Poste agli esercenti di impianti di distribuzione di carburante. Il Mef guidato da Giovanni Tria ha però deciso di annacquare le concessioni mettendo dei paletti. Le associazioni di categoria Faib confesercenti, Fegica Cisl e Figsc/Anisa confcommercio in una nota congiunta hanno detto che si tratta «di una decisione del tutto ingiustificata ma anche gravissima perché pretende di cancellare arbitrariamente un atto politico pubblico frutto di un equilibrio motivato, attraverso espedienti tecnici unilaterali sotto forma di circolari ed emendamenti nascosti nel mucchio di quelli collegati alla conversione del decreto Semplificazioni». Proprio per questo le associazioni hanno proclamato 24 ore di sciopero il prossimo 6 febbraio, con l'indicazione che a partire dal primo dello stesso mese la fattura elettronica per i carburanti sarà emessa dai gestori solo in caso di pagamento con bonifico anticipato o assegno circolare. Un altro modo per forzare gli automobilisti a non richiederla, pena rimanere senza carburante.Si potrebbe pensare che il ripristino dello status quo sul credito d'imposta porterebbe i benzinai a smettere di applicare un sovraprezzo su ogni fattura elettronica. E invece no. Basile sottolinea infatti come anche il precedente provvedimento presentava delle criticità e che l'obiettivo principale del sindacato rimane quello di tutelare il margine che i benzinai ricavano sulla vendita del carburante. Insomma, la fattura elettronica, con o senza credito d'imposta, sembra non andar giù all'intera categoria dei benzinai e non solo. Ci sono infatti molti esercizi commerciali che in questo primo mese di applicazione hanno deciso di non emettere le fatture elettroniche e di rimandare tutto a metà febbraio grazie alla proroga «no sanzioni» concessa dal governo per i primi mesi. In questo caso è stata rilasciata la copia di cortesia, cartacea, che però non ha alcuna valenza fiscale. C'è però anche chi ha iniziato a esporre cartelli con scritto che può rilasciare fatture digitali solo a determinati orari e chi, come i benzinai, ha iniziato a chiedere somme di denaro su ogni fattura fatta. Infine c'è anche chi cercando di adeguarsi ha iniziato a chiedere ai propri clienti il codice univoco (codice identificativo composto da sette caratteri alfanumerici diverso per ogni partita Iva necessario per identificare il soggetto che riceve la efattura) che però risultava sconosciuto. E questo perché per conoscerlo bisogna richiedere l'accreditamento al servizio di interscambio dell'Agenzia delle entrate che poi attribuisce il numero richiesto. Se dunque non ci si era mossi per tempo, a gennaio 2019 non si poteva essere pronti a comunicare i propri dati. Ma se non si conosce il codice univoco, molto spesso, si sbaglia anche la Pec e dunque recapitare la fattura digitale risulta essere molto difficile.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






