2019-09-22
I Benetton d’Abruzzo che flirtano con la politica e fanno ottimi affari
La dinastia dei Toto controlla cinque società e gestisce la A24 e la A25. Hanno di recente risolto con il Mise un contenzioso per interventi di sicurezza mai svolti: approvati lavori da 3 miliardi, di cui 2 a carico dello Stato.Il quarantaduenne Alfonso Toto è uno dei quattro rampolli di una dinastia d'imprenditori abruzzesi in attività da decenni. Porta il nome di suo nonno, il primo ad ampliare la piccola società di costruzioni nata nel 1960, che lui fece entrare in rapporti con l'Anas. L'erede di questo patrimonio è Carlo Toto, oggi settantacinquenne. La sua holding controlla cinque società: Infra Engineering, Us Wind, Renexia, Toto Costruzioni generali e Strada dei parchi, il gestore delle autostrade abruzzesi A24 e A25. Ma Toto è stato anche un imprenditore dei cieli. Nel 1995 fondò Air One, la compagnia che contese ad Alitalia il monopolio delle tratte aeree nazionali. Nel 2007, proprio con Air One, Toto partecipò alla gara per la privatizzazione di Alitalia, che fallì per il ritiro di tutti i potenziali acquirenti. Air One fu poi venduta proprio ad Alitalia: 450 milioni più altri 600 milioni di debito. Toto figurava tra i «capitani coraggiosi», la cordata di imprenditori capeggiati da Roberto Colaninno che doveva salvare la compagnia di bandiera. La cordata fallì, ma le mire della famiglia su Alitalia non si sono mai esaurite: fino a pochi mesi fa, il Gruppo Toto era pronto a entrare nella nuova cordata e, per esibire le proprie credenziali, il 30 giugno scorso aveva fatto pubblicare una missiva sul Messaggero. Firmata dall'altro figlio di Carlo, Riccardo Toto e dall'amministratore delegato Lino Bergonzi, che nelle società dei Toto ricopre molteplici incarichi e ora è indagato nella vicenda dei finanziamenti alla Fondazione Open di Alberto Bianchi. Lo scopo della lettera era sfatare le «strane leggende» che circolavano sulla società. Ad esempio, sul fallimento della New Livingston, compagnia aerea gestita dal Gruppo Toto dal 2011 al 2014: «Quando fu chiusa la procedura di concordato», si leggeva nella missiva al quotidiano romano, «la società aveva un passivo di 34 milioni di euro e non le cifre infinitamente più alte riportate dai media». Un successo, in pratica.Anche stavolta, gli imprenditori abruzzesi non sono riusciti a mettere le mani sulla compagnia di bandiera, che potrebbe finire alla cordata composta dall'americana Delta, da Atlantia dei Benetton e del gruppo Fs, il cui maggiore azionista è il Tesoro. D'altro canto, con il ministero dei Trasporti, che fino all'insediamento del Conte bis era gestito dal grillino Danilo Toninelli, ci sono stati diversi screzi per la questione delle autostrade. L'ex ministro aveva lanciato l'allarme viadotti usurati e quindi vulnerabili dal punto di vista sismico, in un territorio, quello abruzzese, particolarmente soggetto a terremoti. Strada dei parchi, la controllata di Toto Holding, che nel 2011, acquistando la quota detenuta dai Benetton, è diventata l'unico gestore delle due arterie autostradali A24 e A25, ha sempre replicato che, in virtù del contratto di concessione stipulato con lo Stato, la società era tenuta ad accollarsi la manutenzione ordinaria, mentre allo Stato spettavano i lavori straordinari, tra cui rientrava l'adeguamento sismico.Il braccio di ferro ha coinvolto anche la questione pedaggi. Tra il 2009 e il 2017, le tariffe di A24 e A25 sono aumentate del 190%. I sindaci delle cittadine che insistono sul tracciato erano sul piede di guerra. A sbloccare la situazione è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato dello scorso luglio: Palazzo Spada ha disposto che il Mit aveva l'obbligo di approvare il piano economico e finanziario della società. A inizio agosto è arrivato l'accordo con il Mit: blocco dei pedaggi fino al 30 novembre 2019 e mega programma di lavori per la messa in sicurezza del tracciato autostradale. Tre miliardi di euro, di cui 2 a carico dello Stato. Toninelli «addomesticato».D'altro canto, la famiglia Toto ci ha sempre saputo fare con i politici. In tempi recenti, l'interlocutore privilegiato è stato Luciano D'Alfonso, ex governatore abruzzese del Pd, in quota renziana, eletto senatore alle ultime politiche, che definì Toto «uno di famiglia». Il patron Carlo e l'esponente dem furono coinvolti in vari procedimenti giudiziari. Uno, nel 2008, per presunti favori ricevuti da Toto in cambio di appalti e biglietti aerei gratis (gli imputati furono tutti assolti). Un altro, nel 2010, insieme ad altri imprenditori e funzionari Anas, per la mancata realizzazione della statale pescarese Mare Monti, all'epoca in cui D'Alfonso era presidente della provincia. Nell'ipotesi accusatoria, il politico sarebbe stato il referente di Toto per la realizzazione della strada, senza le dovute autorizzazioni, all'interno di una riserva naturale. Nel maggio 2018, però, è arrivata l'assoluzione.Non sono mancati legami anche con il centrodestra: uno dei nipoti di Carlo, Daniele Toto, fu eletto deputato nel 2008 con il Pdl. Poi passò a Futuro e libertà, poi nel Pli. Ma alle regionali 2019 ha sostenuto il candidato del centrosinistra, Giovanni Legnini. Daniele è stato anche editore: nel 2017 aveva lanciato il sito Impaginato. L'anno prima era entrato nel cda della Fondazione Einaudi (di cui non fa più parte). Nemmeno Alfonso Toto è estraneo ai giri della politica: è stato testimone di nozze dello sposo di Sara Marcozzi, candidata 5 stelle alle regionali abruzzesi, nonché acerrima nemica proprio di D'Alfonso (la coppia poi si è separata). Quello stesso D'Alfonso che, da parte sua, aveva avuto come testimone delle sue nozze il papà di Alfonso, Carlo Toto.L'ultima grana giudiziaria della famiglia ha riguardato proprio Alfonso, condannato a luglio a un anno per mancati versamenti dell'Iva con la sua Toto costruzioni generali spa. Già è partito il ricorso in Appello.