2022-07-01
I 5 stelle non salvano il soldato Arcuri. E in Invitalia è l’ora del Mattarella bis
Domenico Arcuri (Imagoeconomica)
Dietro le tensioni Conte-Draghi le mosse per l’eredità a Ernesto Somma. Arriva il nipote del presidente. L’uscente deve chiarire sul Covid.Domenico Arcuri ha iniziato la sua carriera in Iri. Era la fine degli anni Ottanta. Negli anni Novanta scala Pars, joint venture tra Arthur Andersen e Gec, fino a diventarne amministratore delegato. Nel 2007 diventa il capo di Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo del Paese. Attraversa i governi Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte uno e Conte bis, che gli regala il grande salto di categoria facendolo militare nella lega dei commissari. Per la precisione Giuseppe Conte gli affida la gestione della più grande catastrofe sanitaria dai tempi della febbre spagnola del 1918. Come è andata lo ha raccontato La Verità numerose volte. Dallo scoppio della pandemia lo Stato ha stanziato e in parte speso circa 25 miliardi di euro. La metà di questa cifra è stata destinata all’acquisto di mascherine e dispositivi di protezione. Analoga percentuale vale per gli ordinativi che sono passati direttamente dalla struttura commissariale. Lì, a comandare, dal 16 marzo 2020 fino al primo marzo del 2021, è stato appunto Arcuri. Se si pensa che il valore delle commesse portate a casa dal team di Benotti si aggira sul miliardo e 200 milioni di euro, si comprende che questa assegnazione, su cui ancora indaga la Procura di Roma, vale il 10% della spesa per le mascherine e il 5% di tutto quanto lo Stato ha messo a bilancio per far fronte alla pandemia. Tutto ciò nelle mani di una sola struttura che rispondeva ad Arcuri e sulla quale la politica non ha voluto fare fino a oggi chiarezza. Così come dovrebbe farla sui banchi a rotelle e soprattutto sulla vicenda del vaccino Reithera. Un altro degli insuccessi di Arcuri che ci è costato qualche dozzina di milioni ma - fatto ancor più grave - la perdita della possibilità di avere un vaccino nazionale. Nulla di che stupirsi. D’altronde il curriculum prometteva bene. La crisi di Termini Imerese e soprattutto la bonifica dell’area di Bagnoli, per la quale Invitalia fu advisor del ministero dello Sviluppo economico, sono due delle migliori tacche sul calcio del fucile del manager preferito da Massimo D’Alema. Almeno fino a ieri. Giorno in cui il consiglio dei ministri ha deciso di non confermarlo al vertice di Invitalia e di sostituirlo con Bernardo Mattarella (nipote del presidente della Repubblica). Il parto della decisione è stato assai lungo. Da sei mesi il governo traccheggiava e Arcuri ha tentato fino all’ultimo di approcciare Francesco Giavazzi per suggerire una sorta di continuità. L’idea era quella di passare il testimone a Ernesto Somma, suo braccio destro nella struttura commissariale e poi nell’ex Ilva. Non è un caso che Conte abbia alzato i toni contro Mario Draghi nelle ultime ore. Minacciando improbabili cambi di maggioranza o rischi di caduta di governo, l’ex premier giallorosso non ha fatto altro che premere sotto il tavolo del cdm nella speranza di salvare in qualche modo la carriera di Arcuri. Invece la scelta per il futuro di Invitalia è ricaduta per il ruolo secondario di presidente su Rocco Sabelli, sessantasettenne navigato quanto basta, e per quello primario di ad appunto sull’attuale capo di Mediocredito centrale. Al nipote di Mattarella adesso toccherà rimboccarsi le maniche e tirare fuori Invitalia dal freezer in cui l’aveva infilata Arcuri nel tentativo di mimetizzarsi rispetto all’evoluzione politica. Ci sarà da spolverare il piano nazionale dell’acciaio non solo a Taranto ma anche a Piombino. Invitalia fino a ora non ha preso alcuna posizione rispetto all’azionista Arcerlor Mittal e non ha dimostrato alcuna intenzione di imporsi e sfruttare il particolare momento geopolitico (la principale acciaieria d’Europa a Mariupol è ferma) per tornare a produrre di più. Non ci sono più scuse ambientali. Almeno i 6 milioni di tonnellate sono raggiungibili, eppure si prende sempre tempo. Ad Arcelor Mittal non dispiace, tanto ha numerose altre fabbriche dove fare margini. Fa invece male al socio pubblico, che siamo noi. Vedremo come si muoverà Mattarella. Il quale a quanto risulta terrà per un breve periodo l’interim sul Mediocredito centrale. L’istituto è al centro della partita bancaria del Sud. Dovrà mettere assieme la Pop Bari già inglobata con i circa 150 sportelli di Mps tutti dislocati in Meridione. Ne dovrà nascere la Banca del Mezzogiorno di tremontiana memoria con l’obiettivo - si spera - di finanziarizzare un po’ le regioni del Sud. Obiettivo difficile, ancor più difficile se la sinistra e soprattutto gli eredi dei Ds continueranno a interessarsi del tema. Per questo la sfida di Bernardo Mattarella su questo tavolo è decisamente bollente. Sicuramente di più dell’altra gatta da pelare che va sotto il nome di Infratel, il progetto per colmare il divario digitale del Paese. Così mentre Mattarella prenderà le consegne dal suo ex capo (Medio credito centrale è controllata da Invitalia), milioni di italiani attendono che qualcuno faccia i conti politici con l’ex commissario, con le mega partite di mascherine e soprattutto con chi al tempo ha deciso di cucirgli addosso un bello scudo protettivo.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
Ecco #DimmiLaVerità del 17 settembre 2025. Il nostro Giorgio Gandola commenta le trattative nel centrodestra per la candidatura a presidente in Veneto, Campania e Puglia.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)