È l’attività scultorea di Henri Matisse il fulcro della mostra ospitata, sino al 12 novembre 2023, nelle sale del MAN di Nuoro. Esposte una trentina di sculture - oltre a una raccolta di disegni, incisioni, foto d’epoca e pellicole originali - che rivelano un aspetto poco conosciuto di uno degli artisti più significativi del Novecento, noto al grande pubblico soprattutto per la sua pittura rivoluzionaria, alba dell’avanguardia espressionista e cubista.
È l’attività scultorea di Henri Matisse il fulcro della mostra ospitata, sino al 12 novembre 2023, nelle sale del MAN di Nuoro. Esposte una trentina di sculture - oltre a una raccolta di disegni, incisioni, foto d’epoca e pellicole originali - che rivelano un aspetto poco conosciuto di uno degli artisti più significativi del Novecento, noto al grande pubblico soprattutto per la sua pittura rivoluzionaria, alba dell’avanguardia espressionista e cubista.Sicuramente fra gli artisti più geniali del XX secolo, di Henri Matisse (1869-194), tutti - più o meno - ne conosciamo le opere. Per lo meno quelle più iconiche: La stanza rossa (1908) per esempio, oppure La danza (1909) e La musica (1910) o ancora Nudo blu (1907) o Nudo Blu II (1952). Tele in cui a dominare è il colore. Il rosso e il blu soprattutto. Ma anche il verde. A volte il nero. Un colore saturo e assoluto, che riempie la tela e che fa sparire i contorni: il disegno, che pure esiste, esiste in quanto «confine fra due colori». Matisse abbagliato dalle tinte calde del Mediterraneo e del Magreb (nonostante fosse nato a Cateau-Cambrésis, nel Nord della Francia). Matisse pittore della luce, quella stessa luce che cerca di catturare e di riflettere anche nelle sue sculture, in quei busti e in quei grandi nudi a bassorilievo a cui lavora (soprattutto negli anni ’20) parallelamente alla pittura, rimasta- sempre e comunque - la sua modalità espressiva principale. Ed è all’attività scultorea di Henri Matisse che il Man di Nuoro, per la prima volta in Italia, dedica una mostra (curata da Chiara Gatti) importante e unica, che rilegge e adatta agli spazi del museo sardo il concept inedito e complesso della mostra Matisse Métamorphoses, organizzata nel 2019 dalla Kunsthaus di Zurigo e dal Museo Matisse di Nizza.La Mostra «Ciò che mi interessa di più non è né la natura morta né il paesaggio, è la figura», scriveva Matisse nelle sue Notes d'un peintre (1908) : è da questa affermazione, da un' analisi del metodo di creazione dell'artista e dal suo lavoro di trasformazione della e sulla figura - di Metamorfosi, appunto, come recita il titolo della mostra - che prende avvio l’esposizione al MAN, un percorso espositivo che accosta sequenze di bronzi (datate dai primi anni Dieci agli anni Trenta) alle loro fonti di ispirazione, tra cui spiccano fotografie di nudi e modelle in posa, oltre a un piccolo ed essenziale corpus di dipinti, i cui soggetti svelano la doppia anima della ricerca artistica - pittorica e scultorea - di Matisse, in particolare nell'affrontare i temi ricorrenti, quasi ossessivi, del nudo, della danza e delle odalische. Tra le opere in mostra, bellissimo il celebre ciclo bronzeo di Jeannette (I-V), Tete d’ enfant , Le tiaré e Tete de fillette. Ma al di la della bellezza e del significato di ogni singolo lavoro esposto, l’importanza di questa mostra sta, soprattutto, nel fare luce su uno degli aspetti meno noti dell’attività di Matisse, figura poliedrica e versatile, la cui opera scultorea rivela una vita parallela rispetto a quella del pittore, un’anima votata alla materia, al volume, allo spazio, che merita di essere posta in relazione con quella di altri grandi scultori del XX secolo, eredi della lezione di Auguste Rodin e divenuti geni dell'avanguardia. Da Constantin Brancusi a Alberto Giacometti, da Umberto Boccioni a Fritz Wotruba.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.







