2025-10-04
Hamas apre: «Pronti a discutere anche delle armi». Trump spinge per la pace
True
Per la prima volta dopo mesi di guerra, il movimento islamista mostra disponibilità al dialogo e accetta in linea di principio il piano statunitense. Israele valuta una tregua parziale ma lega ogni passo alla sicurezza e al controllo militare su Gaza.Per la prima volta dopo quasi un anno di guerra, dal cuore devastato della Striscia di Gaza arriva un segnale inatteso: Hamas apre alla possibilità di negoziare. Un annuncio che, se confermato e sostenuto da fatti concreti, potrebbe segnare l’inizio di una svolta nel conflitto più sanguinoso della regione negli ultimi decenni. A rompere il silenzio è Moussa Abu Marzouk, uno dei dirigenti storici del movimento islamista, che in un’intervista ad Al Jazeera ha parlato di disponibilità a discutere tutte le questioni, compreso il tema delle armi e del futuro politico del movimento. Parole calibrate, ma che rappresentano una rottura con mesi di rigidità assoluta. Abu Marzouk ha spiegato che Hamas ha esaminato la proposta di pace statunitense e ha interagito con grande positività con i suoi punti principali, pur precisando che l’attuazione pratica richiederà negoziati approfonditi con i mediatori. Ha poi definito teorica e non realistica la clausola che prevede la consegna di tutti gli ostaggi e delle salme entro settantadue ore, come richiesto dal piano presentato da Washington. Secondo quanto emerso, Hamas si dichiara disposta a liberare tutti gli ostaggi, vivi e deceduti, nell’ambito di uno scambio complessivo con i prigionieri palestinesi detenuti da Israele. Il movimento accetterebbe anche che la gestione civile di Gaza venga affidata a una struttura di tecnici e indipendenti, in coordinamento con l’Autorità Nazionale Palestinese e con una cornice di garanzia araba e islamica. Abu Marzouk ha inoltre sottolineato che il futuro del popolo palestinese è una questione nazionale che non può essere decisa da Hamas da sola, lasciando intendere l’apertura a un processo politico più ampio. Il Qatar ha accolto con favore questa posizione, definendola un passo positivo verso la fine della guerra e annunciando contatti con Egitto e Stati Uniti per consolidare la mediazione. Anche il Segretario generale delle Nazioni Unite si è detto soddisfatto della risposta di Hamas, invitando tutte le parti a cogliere l’occasione storica per fermare la guerra e avviare un percorso politico stabile. Dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump, promotore del piano di pace, ha definito la risposta di Hamas un segnale di disponibilità alla pace. «Sulla base della loro risposta credo che Hamas sia pronta a una pace duratura. Ora tocca a Israele fare la sua parte. I bombardamenti devono cessare immediatamente per permettere la liberazione degli ostaggi in sicurezza e in tempi rapidi», ha dichiarato. Il piano di Trump, descritto come un accordo globale per Gaza e per la pace in Medio Oriente, prevede una tregua immediata, uno scambio simultaneo di ostaggi e prigionieri, la creazione di un’amministrazione transitoria per la Striscia, la ricostruzione sotto supervisione internazionale e un ritiro graduale delle forze israeliane subordinato alla stabilizzazione della sicurezza. Il presidente americano ha fissato una scadenza precisa: entro domenica sera dovrà essere chiaro se le parti intendono procedere davvero verso la pace. Da Gerusalemme, Benjamin Netanyahu ha risposto con toni cauti ma non ostili. L’ufficio del primo ministro ha fatto sapere che Israele è pronto a dare il via alla prima fase del piano, concentrandosi sullo scambio degli ostaggi e sul coordinamento con i mediatori, ma senza impegnarsi per ora a un cessate il fuoco totale. Netanyahu ha ribadito che qualsiasi passo verso la tregua dovrà essere condizionato alla sicurezza di Israele e che la presenza militare a Gaza sarà ridotta solo in modo graduale e controllato. Secondo fonti israeliane, il governo avrebbe già ordinato ai vertici dell’esercito di ridurre l’intensità delle operazioni offensive nella città di Gaza, limitandosi a interventi difensivi in attesa degli sviluppi diplomatici. Nonostante il linguaggio disteso, gli ostacoli restano enormi. Hamas rifiuta la scadenza delle settantadue ore per lo scambio, Israele la considera imprescindibile. Il movimento islamista si dice disposto a discutere del proprio ruolo militare, ma non ha accettato la smilitarizzazione totale. Trump chiede la sospensione immediata dei bombardamenti, Netanyahu preferisce parlare di una riduzione controllata delle operazioni. Sul piano diplomatico l’apertura di Hamas ha riattivato i canali della mediazione e rilanciato l’interesse di diverse capitali, da Doha al Cairo fino a Bruxelles e Parigi, ma la fiducia reciproca resta minima. Israele e Hamas non credono ancora alle promesse dell’altro e il successo del processo dipenderà da meccanismi di verifica e da una presenza internazionale credibile capace di garantire il rispetto degli impegni. Nel frattempo, la situazione sul terreno resta drammatica: i raid e i bombardamenti proseguono in diversi settori della Striscia, migliaia di civili cercano rifugio negli ospedali e nelle scuole dellUNnrwa, spesso già sovraffollate e prive di elettricità. Domenica sera scadrà l’ultimatum fissato da Trump e il mondo saprà se l’apertura di Hamas sarà il primo passo verso una tregua reale o soltanto un nuovo capitolo di promesse mancate. «Abbiamo una possibilità storica di fermare la guerra e avviare una nuova era di stabilità in Medio Oriente», ha detto il presidente americano, definendo le prossime ore decisive. Se le parole si tradurranno in fatti, Gaza potrebbe intravedere una via d’uscita dal suo incubo. Se invece tutto si fermerà alla diplomazia dei comunicati, la guerra tornerà a inghiottire ciò che resta di una terra già distrutta.
Saverio Tommasi con la Global Sumud Flotilla
Un militare israeliano a bordo di una delle imbarcazioni della Flotilla (Ansa)
Maurizio Landini a Roma durante lo sciopero del 3 ottobre (Ansa)
Genova, blocco dei varchi portuali durante lo sciopero del 3 ottobre (Ansa)