
La presa di posizione anti Meloni spacciata per un modo di proteggere i Pride. Cui ora aderisce persino l’Ordine dei medici.Che cosa c’entra il decreto Sicurezza del governo con una sfilata a sostegno delle persone Lgbtqia+ organizzata da Arcigay? Assolutamente niente. Eppure, ieri ci sono state manifestazioni ad Alessandria, Caserta, Enna, Padova e Savona per protestare fieramente contro le derive oppressive di Giorgia Meloni. Tanto che il segretario generale di Arcigay, Gabriele Piazzoni, ha affermato: «Oggi, mentre in cinque città italiane scendiamo in piazza con orgoglio e determinazione, il nostro sostegno va anche alla mobilitazione nazionale contro il vergognoso decreto Sicurezza del governo Meloni». Già, perché in contemporanea, a Roma si teneva l’ennesimo corteo di «forze sociali e politiche, movimenti, associazioni e sindacati per dire no alla svolta autoritaria e per costruire un orizzonte di libertà». Ed ecco che così tutto torna: progressisti da una parte e circolo dell’orgoglio omosessuale dall’altra, a contestare il pericolo del ritorno di un fascismo inesistente, con Arcigay che rincara la dose: «La mano che brandisce il manganello contro chi protesta in piazza è la stessa che ha scritto questo decreto liberticida, la stessa che, dai palazzi del potere, sta costruendo giorno dopo giorno uno Stato autoritario che reprime il dissenso, le diversità e le libertà». Un copione già letto, già visto e già sentito: «Il decreto Sicurezza rappresenta il primo passo per vietare tutto ciò che viene considerato una minaccia da chi vuole governare attraverso la paura e il pregiudizio, calpestando sistematicamente i diritti sociali e civili». E poi l’immancabile evocazione del tiranno d’Europa, Viktor Orbán, il cattivone che a Budapest ha bandito il gay pride. L’intervento di Piazzoni potrebbe anche risuonare come un monito: «Prima si criminalizza il dissenso, poi si eliminano i diritti. La comunità Lgbtqia+ conosce bene il volto della repressione e della discriminazione. Per questo non possiamo restare in silenzio di fronte a un governo che vuole trasformare l’Italia in un Paese dove i diritti vengono revocati, le proteste criminalizzate e le diversità messe a tacere». Ma non si capisce perché lui e la comunità Lgbt debbano sentirsi chiamati in causa dal decreto, dal momento che, come dicevamo, non esiste un denominatore comune. Le manifestazioni, tanto care a dem, sindacati e persone queer, non binarie, gay, bisessuali, transessuali, demisessuali, pansessuali, intersessuali, non sessuali eccetera eccetera non saranno mai vietate. I reati previsti dal nuovo decreto legge rientrano nell’ambito della violenza e del danneggiamento di beni pubblici e privati durante eventi in luoghi aperti al pubblico. Non esiste un solo comma all’interno del testo in cui si faccia anche solo remota menzione all’eventualità di eliminare i diritti Lgbt. Le nuove norme inserite nella legge non sono misure anti Gandhi.Intanto, per non farci mancare niente, gli ordini di medici, psicologi e infermieri di Torino hanno fatto sapere che aderiranno al Pride del 7 giugno, per sottolineare «l’impegno nella lotta alla discriminazione e per creare un ambiente professionale e sociale equo e inclusivo e rispettoso delle differenze individuali».
Lirio Abbata (Ansa)
La Cassazione smentisce i rapporti Cav-Mafia? «Repubblica»: «La sentenza non c’è».
(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
L'articolo contiene un video e una gallery fotografica.
Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
Continua a leggereRiduci