
Il Gestore assegna senza gara il cambio del sistema gestionale, spendendo 17 milioni.A un anno dalla nomina, durante il governo Draghi, l’amministratore unico del Gse (Gestore servizi energetici), Andrea Ripa di Meana, ha deciso di riorganizzare la società del Mef che promuove lo sviluppo dell’efficienza energetica nel nostro Paese. Con un fatturato di 15 miliardi di euro nel 2021, tra le aziende statali più ricche in Italia, Gse è stata da sempre un feudo del centrosinistra. Così come le partecipate Gme (Gestore dei mercati energetici) e Acquirente unico, tuttora espressione degli ultimi governi Conte e Draghi, ma con all’interno i lasciti di quelli di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Va ricordato che Gse vive grazie ai soldi dei cittadini, dal momento che viene pagato tramite le bollette. Per questo, servirebbe una certa cautela da parte di chi l’amministra, su come vengono impiegate le risorse. Ora, secondo i sempre attenti addetti ai lavori, i cambiamenti che Ripa di Meana starebbe apportando all’interno della società servirebbero per fare bella figura con il nuovo esecutivo del premier Giorgia Meloni. Ma sono interventi necessari? Gse è stato colpito da diversi attacchi hacker alla fine di questa estate. Gli hacker russi del gruppo Blackcat hanno rubato un’enorme quantità di dati e minacciato di pubblicarli. Il sito è rimasto in down per ore e solo dopo qualche giorno la situazione è tornata alla normalità. In teoria, quindi, sarebbe servito un rafforzamento della parte relativa alla cybersicurezza. Ma così non è stato deciso. Capita invece che nelle ultime settimane sia stato lanciato un bando «senza previo avviso di indizione di gara» da 16,6 milioni di euro, una cifra molto alta per il settore, per cambiare il sistema gestionale dell’azienda. Una parte sarà assegnata per affidamento diretto. Anche per questo è stata fatta segnalazione a Anac e Agid, che non hanno ancora dato risposta: nel caso in cui ci dovesse essere un parere negativo dovrà essere indetta una gara europea. L’obiettivo è passare da Oracle a Sap, un sistema gestionale, quest’ultimo, stringente e bloccato, che necessita di una formazione del personale dell’azienda. Alla fine dello scorso anno era stata avviata una consultazione per l’acquisizione della piattaforma di gestione incentivazione e biometano dove Sap era già stata consultata. E adesso la stessa Sap ha avuto accesso a tutta la parte finance, in un potenziale conflitto di interessi, perché dopo essere stata consultata poi si è vista assegnare l’appalto. La scelta sarebbe stata presa per migliorare le prestazioni aziendali, anche se non ci sono pareri tali da giustificare una gara su questo settore, figuriamoci un affidamento diretto. Per di più esistono convenzioni con Consip per la fornitura di servizi di implementazione Erp in cloud. Perché andare in affidamento diretto? Non esiste poi l’esclusiva tecnologica del prodotto Sap perché la parte finance è comune a molti altri fornitori, a partire dall’attuale Oracle, fino al più piccolo produttore come Zucchetti. Va poi sottolineato che il cambiamento non serve di fondo a nessun progetto attuale, né al Pnnr né all’energy release. L’urgenza era semmai la cybersicurezza. Oppure sarebbe stato opportuno investire soldi per l’attività core del Gse, supportare il Paese nella transizione energetica magari creando sportelli per le piccole medie imprese, aumentando i portali di sensibilizzazione digitale. I costi di questo affidamento diretto sono solo un punto di partenza e non di arrivo. Si viene infatti a creare un vincolo economico con Sap. La formazione necessaria all’utilizzo dei tanti dipendenti di un nuovo gestionale dov’è rappresentata e chi la sostiene? Perché non si è fatto ricorso a una società di consulenza terza che garantisse questa scelta? Ma soprattutto i cittadini che beneficio ne avranno? Perché alla fine sono sempre gli italiani a pagare.
I governi ricordino che il benessere è collegato all’aumento dell’energia utilizzata.
Quattro dritte ai politici per una sana politica energetica.
1 Più energia usiamo, maggiore è il nostro benessere.
Questo è cruciale comprenderlo. Qualunque cosa noi facciamo, senza eccezioni, usiamo energia. Coltivare vegetali, allevare animali, trasportare, conservare e preparare il cibo, curare la nostra salute, costruire le dimore dove abitiamo, riscaldarle d’inverno e rinfrescarle d’estate, spostarci da un posto all’altro, studiare fisica o violino, tutto richiede l’uso di energia. Se il nostro benessere consiste nella disponibilità di nutrirci, stare in salute, vivere in ambienti climatizzati, poterci spostare, realizzare le nostre inclinazioni, allora il nostro benessere dipende dalla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato.
Stéphane Séjourné (Getty)
La Commissione vuole vincolare i fondi di Pechino all’uso di fornitori e lavoratori europei: «È la stessa agenda di Donald Trump». Obiettivo: evitare che il Dragone investa nascondendo il suo know how, come accade in Spagna.
Mai più un caso Saragozza. Sembra che quanto successo nella città spagnola, capoluogo dell’Aragona, rappresenti una sorta di spartiacque nella strategia masochistica europea verso la Cina. Il suicidio chiamato Green deal che sta sottomettendo Bruxelles a Pechino sia nella filiera di prodotto sia nella catena delle conoscenze tecnologiche si è concretizzato a pieno con il progetto per la realizzazione della nuova fabbrica di batterie per auto elettriche, che Stellantis in collaborazione con la cinese Catl costruirà in Spagna.
La Cop30 di Belém, Brasile (Ansa)
Il vertice ospitato da Luiz Inácio Lula da Silva nel caldo soffocante di Belém si chiude con impegni generici. Respinti i tentativi del commissario Wopke Hoekstra di forzare la mano per imporre più vincoli.
Dopo due settimane di acquazzoni, impianti di aria condizionata assenti e infuocati dibattiti sull’uso della cravatta, ha chiuso i battenti sabato scorso il caravanserraglio della Cop30. Il presidente del Brasile Luiz Inácio da Silva detto Lula ha voluto che l’adunata di 50.000 convenuti si tenesse nella poco ridente località di Belém, alle porte della foresta amazzonica, a un passo dall’Equatore. Si tratta di una città con 18.000 posti letto alberghieri mal contati, dove le piogge torrenziali sono la norma e dove il caldo umido è soffocante. Doveva essere un messaggio ai delegati: il mondo si scalda, provate l’esperienza. Insomma, le premesse non erano buone. E infatti la montagnola ha partorito uno squittìo, più che un topolino.





