2018-06-17
Griezmann fa un valzer con la Storia. La 10 di Messi è una camicia di forza
Le responsabilità esaltano il francese: segna il primo rigore concesso dal Var ai Mondiali e rifiuta i milioni del Barcellona: «Resto all'Atletico». Leo davanti a Maradona evapora: sbaglia il penalty e l'Islanda fa 1-1«Ciò che provi alla fine non conta, il coraggio sta in ciò che fai». Lo ripete Andre Agassi nelle conferenze milionarie che tiene in giro per il mondo, ingrassando come Elvis Presley a forza di tavolette di cioccolato fondente. E le prime battute del mondiale di pallone in Russia ce lo confermano, fra uomini adulti e uomini bambini, fra gente che segna il rigore e gente che lo sbaglia, fra chi guida il proprio destino e chi lo subisce. In un parallelo grafico, Antoine Griezmann e Leo Messi, in attesa di smentita al prossimo giro di giostra.La Francia gioca male e vince contro l'Australia perché il Petit diable (il piccolo diavolo) ha il coraggio di allungarsi il pallone, di stare in piedi in area, di aspettare il contatto della scarpa avversaria. E poi, con quell'aria strafottente da ussaro di Napoleone reclutato in Borgogna, un minuto dopo ha la testa fredda per colpire dal dischetto e siglare un gol alla fine decisivo. L'Argentina gioca egualmente male, ma pareggia contro i boscaioli d'Islanda dalle barbe rosse, perché il suo piccolo grande genio è travolto dalle responsabilità. Quando indossa la maglia della nazionale si comporta come se quella fosse una camicia di forza, annichilito dalle attese di un popolo dalla lacrima facile e con il dramma incorporato. Chi chiama i dieci pesos «dolar Messi» per lenire le sofferenze dell'economia, poi si aspetta che tu quel rigore contro il portiere islandese che gioca in Danimarca, lo segni facile mentre ti fai un selfie con Diego Maradona sugli spalti. Questione di cojones, direbbe Cristiano Ronaldo; presenza o assenza dei medesimi quando il mondo ti guarda.Nell'eterno reality show sul pianeta digitale il timido è sfavorito e chi non sta al gioco fa sempre la stessa parte: quella dello sconfitto. Devi saper gestire te stesso, dominare gli eventi, cogliere con istinto animale ogni occasione. Sei davanti all'algoritmo globale e a quello devi rispondere. Nella vita scandita dalla luce rossa della telecamera non puoi avere simpatiche debolezze da topolino di campagna, come non le ha avute Griezmann quando la casa di produzione Kosmos Studios gli ha chiesto di poter filmare i suoi presunti ultimi 15 giorni da calciatore dell'Atletico Madrid. La storia è illuminante. Il fenomenale attaccante dei Colchoneros ha avuto un'offerta sontuosa dal Barcellona: 100 milioni al club, 15 per cinque anni a lui e un contratto da firmare. Griezmann se lo rigira fra le mani, ama l'altra Madrid (quella alternativa e poco Real), ha imparato a stare all'opposizione e il fascino dell'apocalittico lo eccita. Ma la proposta è da signore del calcio, giocare con Leo Messi e Luis Suarez (quello vero, non il cugino visto con l'Uruguay) è il massimo. Così si trasforma in un Amleto 2.0 che qualcuno filma mentre mangia, mentre pensa, mentre dorme, mentre si lava i denti e intanto decide se partire o restare. Con il regista, il fonico, il truccatore seduti sul sedile posteriore della sua esistenza. La quintessenza del reality, della degenerazione infantile che non conosce il privato. E chi c'è dietro la Kosmos? Gerard Piqué, colonna del Barcellona, futuro compagno di squadra con una seconda vita da produttore. Il documentario ha un titolo, La décision, e un finale del tutto inedito. L'altroieri Griezmann nell'ultima puntata registrata prima che partisse per la Russia ha detto: «Resto». Niente upgrade in Catalogna, meglio continuare a partire da secondi, meglio stare fra gli Apache a combattere i cow boys reali di Florentino Perez. Può succedere, Gigi Riva non ha mai rimpianto d'essere rimasto a Cagliari. Il lato più divertente della faccenda è l'imbarazzo di Piqué, travolto dalle critiche e dai soliti sguaiati insulti social. Non per avere commesso il fallo sciocco su Cristiano Ronaldo nell'azione che avrebbe portato al terzo gol del Portogallo, ma per avere illuso i tifosi catalani, che erano certi del finale all'americana dell'affaire Griezmann, con i violini e il matrimonio a Barceloneta. «Mi ha sorpreso la reazione da parte del popolo del Barcellona che ha dubitato dell'impegno e dell'amore che provo per questo club», ha dovuto difendersi Piqué. «Questa è una delle mie società e l'idea di fare questo video è nata qualche mese fa, quando parlando con lui, mi ha detto che c'era la possibilità di trasferirsi a Barcellona. Gli ho spiegato che un documentario in cui si mostra come viene presa una decisione sarebbe stato un ottimo contenuto. Non ho dato nessun consiglio, non si tratta di mancare di rispetto a un club o all'altro. Fino all'ultimo non sapevo della sua decisione».Piqué ha dovuto giustificarsi con il popolo, con il club, con il presidente Josep Bartomeu. Tutto davanti alle telecamere del delirio multimediale planetario, in questo inquietante Var dell'esistenza. Mentre Griezmann, freddo come quando è sul dischetto spiega: «Ho deciso di restare perché l'Atletico è casa mia. I miei tifosi, la mia squadra, la mia casa». I soldi non sono tutto, il coraggio sta in ciò che fai. E camminare sull'altro marciapiede di Madrid (quello meno illuminato dal sole) per lui evidentemente ha più fascino. Dopo un rigore tirato in faccia al sistema, non può farti paura un semplice portiere.