2021-08-07
Il pass apre la caccia al capro espiatorio
Il certificato, privo di qualsiasi garanzia di efficacia, ci divide in «sani» e «malati», pericolosi e immuni. Il risultato è il conflitto permanente, anche di classe. Chi può pagarsi spesso i tamponi o viaggiare coi propri mezzi, infatti, sfugge alle restrizioni.Creano la guerra di tutti contro tutti e la chiamano pace o sicurezza. Impongono restrizioni, ma lo fanno in nome della libertà. Ce la mettono tutta, insomma, per ricadere nel più grottesco e trito stereotipo orwelliano. Nelle parole del ministro della Salute, Roberto Speranza, la sovversione della realtà è esplicita: «Il green pass», dice, «serve per evitare chiusure e tutelare la libertà». Già, peccato che ci siano maggiori limitazioni oggi - con oltre la metà della popolazione italiana vaccinata e con una situazione non critica del sistema sanitario - rispetto a quando il vaccino nemmeno era disponibile e i decessi erano più elevati. Al di là delle evidenti contraddizioni della norma che lo istituisce, però, l'aspetto più problematico del lasciapassare riguarda le conseguenze che provoca a livello sociale. Cioè, in estrema sintesi, il conflitto permanente.D'un colpo, l'esecutivo ci ha riportati agli albori del sistema liberale, precisamente attorno al 1651, l'anno in cui lo scrittore politico inglese Thomas Hobbes pubblicò il suo Leviathan. Il filosofo britannico sosteneva che, per uscire dallo stato di paura in cui ogni uomo è «lupo all'altro uomo», sarebbe stato necessario affidarsi a un «dio mortale», il biblico Leviatano. Il quale avrebbe garantito la pace e la sicurezza tanto agognate dai popoli europei che portavano ancora sui vestiti il sangue sparso nelle guerre di religione. Come sia andata a finire lo ha mostrato, di recente, il pensatore francese Jean-Claude Michéa: il «contratto» con il Leviatano ha sostituito il legame comunitario, gli uomini sono stati proiettati nella dimensione antagonistica del mercato e la «guerra di tutti contro tutti» si è fatta meno evidente ma più brutale.Il liberalismo, dopo tutto, ha prodotto quella che oggi si chiama «politica delle identità». Sgretolando l'unità nazionale al fine di creare un mondo piatto e sconfinato, ha spinto gli individui a rifugiarsi nelle loro identità piccine: tu sei nero, quello è gay, quell'altro è musulmano… Queste identità competono fra loro sul mercato pretendendo riconoscimento sociale, diritti e persino benefici economici.Ebbene, la carta verde trasferisce la politica delle identità nella dimensione sanitaria. Non è, come sostiene scioccamente qualcuno, una sorta di patente (se non altro perché una patente garantisce al cittadino una possibilità in più - l'utilizzo dell'auto - e non un diritto in meno). È , a tutti gli effetti, un passaporto, cioè un dispositivo di riconoscimento identitario che divide la popolazione in due parti: i «contagiosi» e i «non contagiosi». Quindi, nei fatti, i «pericolosi» e i «non pericolosi».Già tale distinzione, come dimostrano i dati, è del tutto arbitraria: non siamo in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che chi possiede il green pass sia meno pericoloso per la comunità di chi non lo possiede. Ma ancora non basta, perché le ultime decisioni del governo creano ulteriori divisioni pure all'interno della classe dei presunti «immuni».Qualche esempio. Dice Speranza parlando del green pass per treni, navi e aerei: «Vogliamo rendere più sicuri i mezzi a lunga percorrenza». Per accedere ai trasporti locali, invece, il lasciapassare non verrà richiesto. Ora, se fosse vero che chi ha la carta verde è più protetto, si tratterebbe - nei fatti - di una messa all'asta dello spazio vitale. Il povero pendolare che viaggia sul regionale viene abbandonato nella calca virulenta, mentre chi viaggia con un'auto a noleggio con conducente può starsene tranquillo e isolato. Paradossalmente, chi ha denaro a sufficienza può persino comprarsi l'esenzione dal passaporto sanitario: gli basterà spendere alcune centinaia di euro la settimana per pagare tamponi rapidi per sé e per i congiunti. Cosa che, di sicuro non è consentita alle famiglie che incassano poche migliaia di euro al mese. Benvenuti nella lotta di classe epidemiologica.Poi c'è il tema della scuola. Se in una classe tutti sono vaccinati, per dire, sarà consentito levarsi la mascherina. Tuttavia un solo studente non vaccinato (magari solo perché in attesa del suo turno) costringerà gli altri a tenere la protezione. Già che ci siamo, potremmo direttamente fornire ai ragazzini pietre e bastoni con cui infierire sull'untore, o corde con cui legarlo fuori dalla porta per poi godersi la meritata libertà di respiro. In questo caso, da 1984 passiamo rapidamente al Signore delle mosche. E vedremo poi quanto impiegheranno i genitori a stigmatizzare i presunti «no vax» o a scatenare rabbiose discussioni nelle chat scolastiche.Da una parte, dunque, abbiamo una riproposizione del conflitto fra classi: chi può spendere di più può comprarsi «spazi sicuri» e immunizzati o, volendo, può sfuggire con più facilità alle restrizioni. Dall'altra parte, invece, troviamo il conflitto diciamo identitario fra «sano» e «malato», fra «contagioso» e «non contagioso». Il tutto senza alcuna garanzia che il lasciapassare verde funzioni, cioè contribuisca a ridurre i contagi e gli eventuali ricoveri.Avremmo potuto evitare la guerra permanente? Certo che sì. Ovviamente gli spazi pubblici - i posti su bus e treni e nelle classi - avrebbero dovuto essere notevolmente implementati fin da subito, con un robusto investimento. Ma anche in assenza di ciò, l'utilizzo di strumenti come i tamponi salivari (a prezzi calmierati per tutti) avrebbe senz'altro prodotto maggiore sicurezza e minori divisioni.Tali soluzioni, tuttavia, avrebbero reso inutile il lasciapassare verde. E sembra che il punto sia proprio quello: il passaporto sanitario s'aveva da fare, a ogni costo. Perché, alla fine dei conti, lo scopo del green pass è uno solo: il green pass medesimo.
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