
La nostra compagnia chiude un accordo con Bp e la Noc, l'azienda petrolifera di Tripoli: sinergie per riportare la produzione ai tempi pre Mohammar Gheddafi. Dietro c'è il beneplacito di Donald Trump, che vuole fare il padre nobile e stoppare gli interessi di Emmanuel Macron.L'ultimo semestre è stato dedicato all'Egitto, ora si ricomincia con la Libia. La notizia vede come soggetto l'Eni, il nostro colosso petrolifero, che grazie ai buoni rapporti tra il governo gialloblù e il generale Abdal Al Fattah Al Sisi (rapporti che ha contribuito fattivamente a stringere) è prima riuscito a portare a termine due colpi da maestro nell'area compresa tra Egitto, Cipro ed Israele; consolidando la presenza di riferimento nel Mediterraneo orientale. A questo punto l'obiettivo è recuperare il terreno perduto tra Tripoli e Bengasi a partire dalla guerra voluta da francesi e obamiani nel 2011. L'accordo siglato tra Eni, Bp e la compagnia libica Noc, firmato a Londra lunedì sera avvia il processo di assegnazione al gruppo italiano di una quota del 42,5% nelle aree contrattuali attualmente operate dal gruppo britannico in Libia. In base a quel che viene riferito dalla nota, attualmente Bp ha una quota dell'85% in ogni blocco, mentre la Libyan investment authority detiene il restante 15%: l'intento delle parti è di finalizzare ed eseguire tutti gli accordi necessari entro la fine dell'anno per avviare le attività di esplorazione nel 2019. la strategia«Questo di oggi è un importante traguardo che darà la possibilità di liberare il potenziale esplorativo della Libia riavviando le operazioni di esplorazione e produzione sospese dal 2014», ha dichiarato l'amministratore delegato del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi. «Inoltre, contribuisce a creare un contesto attrattivo per gli investimenti, volto a ripristinare i livelli di produzione e le riserve di idrocarburi del Paese attraverso le infrastrutture già esistenti in Libia». La mossa non può essere decorrelata al recente incontro del premier Giuseppe Conte con Donald Trump presso la sede dell'Onu. La strategia della Casa Bianca finalmente sembra lasciare definitivamente alle spalle le mosse di Barack Obama che hanno portato alla destabilizzazione della Libia e allo stimolo alle cosiddette primavera arabe. Una disfatta su tutti i fronti. Trump non vuole però esporsi direttamente, ma preferisce fare in modo che nessun Paese europeo domini in Libia. Una sorta di osservatore esterno pronto a intervenire militarmente solo in caso estremo. In ogni caso, la preferenza ricade sugli egiziani che nell'area della Cirenaica continuano a mantenere gli stivali sul terreno. Un segnale dell'interessamento sta nel fatto che gli Usa hanno da poco rinnovato il passaporto a Khalifa Haftar, il generale che mantiene il controllo di Bengasi e Tobruk. Il secondo segnale si percepisce dla fatto che gli americani abbiano lasciato cadere in sede Onu la richiesta del governo di Tripoli di sanzionare 48 imprenditori del comparto petroliferi riconducibili al governo della Cirenaica. Sarebbero accusati da Fayez Al Serraj di trafficare greggio irregolarmente. Non solo, la Casa Bianca è ben consapevole che l'accordo tra Eni, Bp e Noc mette nell'angolo Total. Inoltre, secondo quanto risulta alla Verità, Marathon Oil, la corporation americana che dal 2009 detiene il 16% della concessione di Waha, nella zona di Sirte, è più attiva che mai in Bengasi e non è da escludere che su alcuni progetti possa divenire partner della stessa Eni. Solo isolando Total l'Italia può sperare di non essere espulsa dalla repubblica che fu di Mohammar Gheddafi. Riportare la produzione di greggio ai livelli pre guerra potrebbe garantire un flusso costante di liquidità utile ai chi regna in Libia per bloccare il flusso di immigrati clandestini e portare parte delle milizie su un altro tipo di lavoro: il controllo delle pipeline e della sicurezza di stoccaggio.le milizie È una partita complessa con numerosi possibili eventi esogeni, tanto più da valutare sul lungo termine. Resterà infine da comprendere quali siano le prossime mosse militari della Casa Bianca. Trump sembra disposto ad aiutarci a fermare l'avanzata francese nel Maghreb. Il perché è molto semplice. Indebolire Parigi in Africa, significa renderla più debole in Europa e spezzare ancor più l'asse franco tedesco che continua a muoversi in maniera parallela sui temi della Difesa comune e pure dei dazi, alias industria automobilistica. Ai primi di settembre, il Pentagono ha annunciato di voler riorganizzare tutte le forze speciali presenti in Magreb e dislocare in Niger un migliaio di uomini per gestire una base di droni in via di costruzione. Gli Usa voglio militarizzare l'area, vedremo se Donald Trump porterà i militari anche in Libia. Per il momento si limita ai droni (alcuni partono da Sigonella, altri da Gibuti) e intervengono quando le forze di Haftar si trovano in difficoltà. Oppure fanno puntate ad hoc per eliminare dall'alto affiliati ad Al Qaeda.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.