2021-01-21
Governo rachitico, però il Colle si scorda dei paletti
Giuseppe Conte martedì sera in Senato ha portato a casa la battaglia contro Matteo Renzi, ma la guerra per salvarsi la poltrona non l'ha ancora vinta. È vero, il suo governo ha ottenuto la fiducia, ma si è trattato di una fiducia sul filo del rasoio, con soli 156 voti, quando per avere una maggioranza che gli consenta di navigare a Palazzo Madama ne sono necessari almeno 161.Dove troverà dunque il presidente del Consiglio i numeri che gli mancano? Qualcuno potrebbe pensare che se gli è riuscita l'operazione di trasformare in responsabili le senatrici Polverini e Rossi, strappando la prima alle adunate littorie e la seconda alle cene eleganti, nelle prossime settimane sarà piuttosto facile reperire altri volenterosi pronti a soccorrerlo in cambio di uno strapuntino, o anche solo della promessa di essere ricandidati. Del resto, basterebbero cinque voltagabbana per raggiungere l'agognata soglia di salvaguardia.In realtà i numeri che mancano a Giuseppe Conte per poter rimanere incollato alla sedia di premier sono molti di più, perché fra i 156 voti strappati l'altra sera ci sono anche quelli dei senatori a vita, i quali non sono sempre presenti in Aula, sia per via dell'età che per gli impegni. Dunque, che cosa accadrà quando Mario Monti se ne starà in Bocconi e la senatrice Segre o il professor Rubbia saranno impegnati altrove? Che accadrà al primo raffreddore o alla prima missione di qualche componente della maggioranza? Il governo di Romano Prodi nel 2006 prese il largo con una maggioranza di soli 165 senatori, ma i cinque voti in più conquistati rispetto all'opposizione non gli consentirono di andare molto lontano. Infatti, di lì a poco cadde, per 156 voti contro 161. Che l'esecutivo di Mortadella fosse gracile lo si era capito subito, perché lo scarto tra maggioranza e minoranza era molto risicato e tutti convenivano che alla prima curva il carrozzone dell'Ulivo sarebbe potuto uscire di strada, cosa che puntualmente avvenne. I numeri del BisConte dopo l'uscita di Renzi e di Italia viva sono però ancora più fragili di quelli di Prodi, perché sottraendo i senatori a vita si arriva solo a 153, cioè otto in meno di quelli che servirebbero. Dunque, Conte per salvarsi deve trovare almeno altri otto voltagabbana? No, molti di più in quanto da chi l'altra sera gli ha votato la fiducia vanno tolti i ministri e i sottosegretari, i quali essendo impegnati nelle attività di governo si presentano a Palazzo Madama solo quando sarà veramente importante e cioè quando si dovrà votare la fiducia. E siccome tra i ministri ci sono due senatori e tra i sottosegretari se ne contano nove, il numero degli onorevoli che al Senato fanno parte della maggioranza scende a 142. È pur vero che all'opposizione non sempre tutti sono presenti, ma anche un bambino capirebbe che con questi numeri l'esecutivo di Giuseppe Conte non ha alcuna possibilità di andare lontano. Altro che grandi sfide e grandi riforme. Basta parlare di miliardi e investimenti, perché il primo numero con cui Giuseppi dovrà fare i conti nelle prossime settimane non è quello del Recovery plan e neppure quello del Mes, ma il numerino magico che dirà se la maggioranza esiste oppure no. Certo, Conte nella pesca dei voltagabbana ha un alleato potentissimo, che non sono Renzi e l'avversione che gran parte del Parlamento ha per il fondatore di Italia viva. No, il più fedele sostenitore del presidente del Consiglio è lo spavento di una fine anticipata della legislatura. Sì, più che le promesse, a fungere da collante dei giallorossi è la paura di andare a casa, la stessa che li accomuna a Conte, il quale se perdesse la poltrona di Palazzo Chigi sarebbe costretto a prendere la via dell'università. Tuttavia, sebbene siano uniti dal timore di tornare al lavoro precedente o, peggio, di doversene cercare uno, gli uomini che compongono l'attuale maggioranza sono divisi su tutto. Tra grillini e piddini non c'è un'idea che li accomuni, prova ne sia che dal giorno in cui l'esecutivo è nato si sono divisi su tutto, a cominciare dal Mes per finire ad Autostrade, senza mai giungere a una conclusione. Sulla giustizia la pensano in maniera diversa, su Alitalia pure, per non parlare poi di infrastrutture. Perciò, ammesso e non concesso che Conte riesca a trovare i numeri per rimanere in sella, quello che si prospetta non è solo un governo rachitico, che a malapena sta in piedi, ma pure un esecutivo paralizzato dai veti e dalla paura dei partiti che ne fanno parte di perdere il poco consenso rimasto. Naturalmente noi non ci meravigliamo che Conte e compagni facciano di tutto per salvarsi: conoscendo di che pasta sono fatti semmai ci saremmo stupiti del contrario e cioè che mollassero il colpo con dignità. No, non siamo sorpresi dall'accanimento terapeutico con cui Giuseppi tiene in vita l'esecutivo. Siamo esterrefatti che il capo dello Stato consenta uno spettacolo del genere. Sergio Mattarella non era quello dei paletti, ovvero colui che recapitava veline ai giornali per far intendere che non voleva soluzioni pasticciate, voltagabbana e giravolte varie? Bene. Dov'è ora il presidente della Repubblica? Dov'è l'arbitro che deve fischiare il rigore e, soprattutto, il finale di partita? D'accordo che a volte i 90 minuti si concludono con i supplementari, ma qui si è superato in abbondanza il tempo a disposizione, senza contare i falli.
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