2020-03-12
Gori invitava a fare festa, ora fa il terrorista
Il sindaco di Bergamo organizzava pranzi al cinese contro il razzismo e, una settimana fa, spingeva i suoi cittadini a uscire di casa. Adesso spara su Twitter: «Chi non può essere trattato viene lasciato morire». Oltre a spargere panico, svilisce il lavoro dei medici.Giovedì 5 marzo, esattamente una settimana fa, sull'Eco di Bergamo, Giorgio Gori pronunciò queste parole: «Vero, le persone anziane devono essere prudenti e limitare spostamenti e relazioni, e lo ripeterò ancora. Ma per tutte le altre non c'è motivo per non uscire, andare al ristorante con la moglie o farsi una passeggiata in centro». Poi aggiunse: «Guai a fermarsi. Questo weekend media e grande distribuzione sono chiuse? Andiamo nei negozi di vicinato che lavoreranno di più. Giusto comportarsi per ridurre il contagio, ma dobbiamo anche infondere quella condizione di fiducia per vivere la città. La vita va avanti, non siamo in guerra». Il sindaco di Bergamo in quota Pd, proprio come il suo omologo milanese Beppe Sala, sprizzava ottimismo da tutti i pori. «Adesso si riparte», asseriva, rilanciando l'hashtag #bergamononsiferma. Il Distretto urbano del commercio di Bergamo - spalleggiato dal primo cittadino - il 28 febbraio aveva addirittura prodotto un video con la colonna sonora dei Pinguini tattici nucleari (band rivelazione di Sanremo che viene proprio della provincia bergamasca e che Gori ha molto pubblicizzato). Nel filmato si vedevamo immagini delle strade gremite, in sovrimpressione scorrevano scritte come «continuerò a bere il caffè al bar, andare fuori a cena, camminare per le vie e le strade e fare acquisti nei negozi sotto casa». Una campagna in grande stile, insomma. Oggi, sette giorni dopo i fiammanti inviti di Gori a vivere la vita, il sistema sanitario di Bergamo è al collasso. Centinaia di contagiati, ospedali sottoposti a una pressione inaudita. E il sindaco che dice? Beh, è diventato d'un colpo un artificiere che appronta bombe mediatiche. Ieri, forse dimentico di avere la responsabilità di una città intera, ha pubblicato un tweet allucinante. Lo ha buttato lì come niente fosse, in risposta al commento del ricercatore Matteo Villa che forniva alcuni numeri sui ricoveri dei contagiati. «Anche il dato dei pazienti in terapia intensiva può trarre in inganno», ha scritto Gori. «Sembra che la crescita stia rallentando, invece è solo perché non ci sono più posti di terapia intensiva (se ne aggiungono pochi con grande fatica). I pazienti che non possono essere trattati sono lasciati morire». Ha sganciato l'ordigno con leggerezza, quasi stesse commentando gli avvenimenti di un paese lontano. «Chi non può essere trattato viene lasciato morire», dice il sindaco di una delle principali città del Nord Italia. Come prevedibile, qualcuno gli ha subito fatto notare l'enormità di ciò che aveva proferito, ma l'affascinante Giorgio non si è scomposto: «È purtroppo ciò che sta accadendo, come emerge dalle testimonianze dei medici impegnati in prima linea negli ospedali. Ma ha ragione, avrei dovuto dirlo in modo più delicato. Di questo mi sono scusato». Il governatore lombardo, Attilio Fontana, è stato linciato a mezzo stampa e sul Web per giorni, dopo che si era maldestramente infilato la mascherina in un (oggettivamente brutto) video. Gori invece se la cava così, e c'è pure chi lo difende. In realtà, i medici e gli infermieri non «lasciano morire» proprio nessuno. Gori ha citato maldestramente e in maniera terroristica le affermazioni di Christian Salaroli, anestesista rianimatore bergamasco che nei giorni scorsi ha parlato con il Corriere della Sera, ribadendo ciò che già era circolato sui giornali: «Se una persona tra gli 80 e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha una insufficienza multiorganica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del 100 per cento. Ormai è andato». Non significa che i medici «lasciano morire» le persone. Lo ha ribadito ieri pure Roberto Fumagalli, responsabile delle rianimazioni del Niguarda di Milano. «Non è vero che lasciamo morire i pazienti», ha detto, «non è vero che non intubiamo i pazienti anziani, non è vero che scegliamo chi curare in base all'età». Negli ospedali lombardi c'è una situazione oggettivamente drammatica? Certo che sì. Ma un sindaco deve comunicarla in modo diverso, senza sparare razzi su Twitter. L'altra possibilità è che il sindaco se ne stia zitto, specie se, fino a sette giorni prima, ha irresponsabilmente invitato i cittadini a uscire e festeggiare e, ancora prima, si è preoccupato di invitare la sua giunta a pranzo al cinese per «combattere i pregiudizi». Tanto più che per quegli inviti dannosi, Gori non si è scusato. Ieri, parlando al Corriere della Sera, al massimo è riuscito ad ammettere che «se le misure attuali fossero state prese due settimane fa avremmo risparmiato molti morti e gli ospedali sarebbero stati in grado di gestire meglio l'epidemia». Poi, dopo essersi malamente giustificato, ha tagliato corto: «La polemica però la faremo dopo. Ci interessa davvero, ora? A me no». Beh, forse a lui non interessa, ma magari ai suoi cittadini e agli altri lombardi sì. Anche perché se il sindaco, una settimana fa, avesse ascoltato di più gli esperti e meno i suoi colleghi di partito, oggi forse gli ospedali della sua città non sarebbero nei guai fino al collo. Non vogliamo fare polemiche inutili in un momento difficile, e ci auguriamo che a Bergamo la situazione migliori prima di subito. Ci permettiamo soltanto di segnalare al sindaco un episodio su cui potrebbe tornargli utile ragionare la prossima volta che vorrà scrivere commenti su Twitter. A fine febbraio, quando Attilio Fontana pubblicò il famigerato video della mascherina, un politico si precipitò a bacchettarlo: «Mi si permetta di dire che sobrietà e misura sono quantomai necessarie, soprattutto in questi momenti», disse quel politico. Sapete chi era? Giorgio Gori.