2022-05-15
Gli Usa aprono a una pace da opportunisti
Joe Biden (Imagoeconomica)
Se Washington avvia i primi negoziati non è per evitare altre sofferenze agli ucraini, ma perché ha raggiunto i suoi scopi: indebolire Mosca, addomesticare Berlino, saggiare la fedeltà dei leader Ue, destabilizzare il continente e sfidare indirettamente i rivali cinesi.Finalmente le prime telefonate, i primi - timidissimi - tentativi di tracciare una via di uscita diplomatica. I contatti fra Washington e Mosca hanno suscitato un comprensibile e condivisibile entusiasmo: dopo un’ottantina di giorni di guerra in Ucraina, sta avvenendo ciò che sarebbe dovuto avvenire tre mesi fa. Di tutto questo non possiamo che gioire, ma dobbiamo anche chiederci: perché soltanto ora? Dal fronte atlantista arriva una risposta: «Se si può parlare è grazie alla resistenza ucraina, e al timore suscitato nei russi da una possibile offensiva su più ampia scala sostenuta da Usa e Europa». Può darsi, come no.C’è, tuttavia, una serie di fatti che conviene esaminare onde costruire uno scenario appena più realistico, e comprendere più in profondità le ragioni e i retroscena dello scontro in atto. Per prima cosa, oggi abbiamo la conferma che quella a cui stiamo assistendo è una guerra per procura, e niente altro. Se da queste parti si coltiva un minimo di ottimismo è perché a confrontarsi sono stati i due veri protagonisti degli eventi: la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall’altra. Non Mosca e Kiev, bensì Mosca e Washington. È con gli americani che Vladimir Putin deve parlare, perché i suoi avversari sono loro (e viceversa).E qui arriviamo diritti al nodo centrale della faccenda. Questi tre mesi circa sono passati invano per molti, ma non per Mosca, e ancora meno per Washington. Come ha ben spiegato Fabio Mini, l’operazione russa non era affatto improvvisata, né prevedeva chissà quale intervento lampo. L’ipotesi di un conflitto di lungo periodo era presa in considerazione. I russi hanno guadagnato terreno (come ha riconosciuto pure il New York Times in prima pagina un paio di giorni fa) nelle zone per loro più interessanti. La loro economia non è collassata, non sono stati abbandonati da tutti i loro alleati (anzi ne hanno trovati di nuovi) né si sono tramutati in paria, almeno in una prospettiva globale. Certo, non hanno esattamente vita facile, e bisognerà capire per quanto tempo potranno reggere il peso di una impresa tanto impegnativa.Se Mosca ha dovuto impiegare uomini e mezzi sul campo e deve fronteggiare ulteriori sanzioni, per Washington il discorso è totalmente diverso. L’amministrazione Biden per lunghe settimane non ha dichiarato i propri obiettivi, forse anche perché stava aspettando di vedere come si sarebbe evoluta la situazione. Poi, a un certo punto, è iniziata una fase nuova: gli Usa hanno esplicitato di essere determinati a mettere in ginocchio la Russia. Significa che la guerra si concluderà quando Putin verrà detronizzato? Non è affatto detto. Di sicuro significa che gli Stati Uniti sono pronti a tirarla in lungo.Il fatto che adesso mandino qualche tenue segnale di distensione dimostra però che qualche risultato interessante lo hanno già ottenuto, e forse possono dirsi moderatamente soddisfatti. Hanno indebolito notevolmente l’Europa, e in primis l’entità che più temevano dalle nostre parti, cioè la Germania. È vero che la risposta del Vecchio continente non è stata esattamente unanime, ma il conflitto ha fatto emergere con più chiarezza lo stato dell’arte: le ambizioni di Emmanuel Macron, la debolezza di Olaf Scholz, la disponibilità di Mario Draghi, la sostanziale opposizione di Viktor Orbán. In qualche maniera, le forze in campo si sono polarizzate. Sul piano energetico sono giunte Oltreoceano altre buone notizie: la via per lo sganciamento dell’Ue dalla Russia è stata disegnata, e nel giro di qualche anno potrebbe completarsi.Quanto al resto del globo, l’America ha sparso un po’ di caos, cosa che - nella sua prospettiva - non guasta mai. La Cina di sicuro non gode quando si combatte. E non sono mancate le occasioni per ulteriori provocazioni su temi scottanti quali il posizionamento militare cinese nelle Salomone e l’intricata vicenda taiwanese (che in realtà con l’Ucraina non ha nulla in comune). La Russia ha dovuto diminuire almeno un poco la concentrazione su altri fronti, quello mediorientale in particolare. Alleati storici come i sauditi e nemici antichi come gli iraniani si trovano in una fase di disorientamento.Insomma, la guerra ha portato bene a Joe Biden sotto vari punti di vista. Ma come sempre - ovvio - esiste il lato in ombra. Il guadagno immediato per Washington potrebbe tramutarsi in un disastro sul lungo periodo. Un fronte ostile con più poli si sta compattando, molti europei iniziano a rendersi conto che l’abbraccio dello Zio Sam non è sempre benevolo. Soprattutto, il caos può essere foriero di opportunità, ma pure di distruzione.Poi, certo, in Ucraina continuano a morire persone e i contraccolpi economici porteranno povertà e sofferenza in tutta Europa. Ma abbiamo capito che, di questi dettagli, agli Usa non importa molto.
Nel riquadro il professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana (iStock)
Il 10 ottobre Palermo celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale con eventi artistici, scientifici e culturali per denunciare abbandono e stigma e promuovere inclusione e cura, su iniziativa della Fondazione Tommaso Dragotto.
Il 10 ottobre, Palermo non sfila: agisce. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, la città lancerà per il secondo anno consecutivo un messaggio inequivocabile: basta con l’abbandono, basta con i tagli, basta con lo stigma. Agire, tutti insieme, con la forza dei fatti e non l’ipocrisia delle parole. Sul palco dell’evento – reale e simbolico – si alterneranno concerti di musica classica, teatro militante, spettacoli di attori provenienti dal mondo della salute mentale, insieme con tavoli scientifici di livello internazionale e momenti di riflessione pubblica.
Di nuovo «capitale della salute mentale» in un Paese che troppo spesso lascia soli i più fragili, a Palermo si costruirà un racconto, fatto di inclusione reale, solidarietà vera, e cultura della comunità come cura. Organizzato dalla Fondazione Tommaso Dragotto e realizzato da Big Mama Production, non sarà solo un evento, ma una denuncia trasformata in proposta concreta. E forse, anche una lezione per tutta l’Italia che alla voce sceglie il silenzio, tra parole come quelle del professor Andrea Fiorillo, presidente dell’Ente Europeo di Psichiatria e testimonial scientifico della giornata palermitana che ha detto: «I trattamenti farmacologici e psicoterapici che abbiamo oggi a disposizione sono tra i più efficaci tra quelli disponibili in tutta la medicina. È vero che in molti casi si parla di trattamenti sintomatici e non curativi, ma molto spesso l’eliminazione del sintomo è di per sé stesso curativo. È bene - continua Fiorillo - diffondere il messaggio che oggi si può guarire dai disturbi mentali, anche dai più gravi, ma solo con un approccio globale che miri alla persona e non alla malattia».
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