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2021-01-16
Gli italiani appesi alla lotteria dei colori. E tre Regioni si ritingono di rosso
Alla fine, la paventata marea arancione è arrivata. Dopo l'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, prima del dl sulle limitazioni agli spostamenti e sulla proroga al 30 aprile dello stato d'emergenza e poi del nuovo dpcm, il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato le ordinanze, che a partire da domani, cambiano di colore a più di metà del territorio nazionale.
Non ci sono grandi sorprese rispetto a quanto filtrato nei giorni scorsi in base all'irrigidimento dei parametri per la classificazione delle diverse aree di rischio, ma ciò non ha evitato comunque uno strascico polemico tra amministratori locali e governo centrale (in particolare il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ma soprattutto da parte di ristoratori e baristi). Partiamo dalle ordinanze di Speranza: dopo aver collocato la settimana scorsa in zona arancione Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Sicilia, il ministro ha decretato una ulteriore stretta per la Lombardia, che diventa rossa, alla quale si aggiungono la Sicilia (che pur avendo dati da arancione ha chiesto di essere messa in rosso) e la provincia autonoma di Bolzano. Sia la Lombardia che la Provincia autonoma si appellano ai giudici e presenteranno ricorso. Ma è decisamente l'arancione il colore dominante, scorrendo la nuova mappa delle restrizioni decretata dal ministero di Lungotevere: oltre alle citate regioni rosse, diventano o restano infatti arancioni 12 regioni: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria, Val D'Aosta e Veneto.
A rimanere gialle, e quindi nella fascia soggetta a meno restrizioni, saranno la Campania, la Sardegna, la Basilicata, la Toscana, la Provincia Autonoma di Trento e il Molise. A supporto di quella che si può definire certamente l'ennesima stretta, le considerazioni fatte dal presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, in occasione della consueta illustrazione settimanale del monitoraggio sull'andamento dell'epidemia. Pur affermando che, a suo avviso, le restrizioni del periodo festivo hanno consentito di rallentare l'aumento dei casi, Brusaferro ha parlato di un «aumento complessivo del rischio di un'epidemia non controllata» e quindi non gestibile a livello di ricoveri nei reparti ordinari e nelle terapie intensive. In quest'ottica, nel monitoraggio si legge che l'indice Rt è in aumento lento ma costante da cinque settimane ed è giunto a 1,09 come media nazionale.
Ma proprio sui dati e sui moduli matematici relativi alla trasmissione del contagio, si segnala l'iniziativa di un gruppo di accademici, raccolti sotto la sigla «Lettera 150», che ha inoltrato un'istanza di accesso agli atti degli indicatori Covid, che finora il governo non ha voluto rendere pubblici. «Questi indicatori», si legge nella nota diffusa da 250 studiosi, «sono quelli in base ai quali si decide di limitare numerose libertà costituzionali». A questo proposito, è il caso di ricordare il quadro delle misure e delle restrizioni contenute nelle ordinanze, nel Dl e nel Dpcm, che entreranno in vigore da oggi. Anzitutto, è confermato il coprifuoco dalle 22 alle 5 e non si potrà in nessun caso uscire dalla propria Regione di residenza (anche nelle zone gialle) salvo comprovati motivi di necessità. Sarà possibile, una sola volta al giorno, ricevere al massimo due persone non conviventi, che potranno portare con sé minori di 14 anni. Il divieto di raggiungere altre Regioni resterà in vigore fino al 15 febbraio, ma nelle zone gialle sarà possibile muoversi senza autocertificazione su tutto il territorio regionale, mentre nelle zone arancioni ci si potrà muovere liberamente solo all'interno del proprio Comune, con l'eccezione di chi abita in Comuni con meno di 5.000 abitanti. Questi ultimi potranno raggiungere, in un raggio di 30 km, altri piccoli Comuni ma non i capoluoghi. La seconde case si potranno raggiungere solo se collocate all'interno della propria Regione nelle zone gialle o nel proprio comune nelle zone arancioni. Palestre, piscine e impianti sciistici resteranno chiusi ovunque (questi ultimi per il momento fino al 15 febbraio), mentre nelle zone gialle resteranno regolarmente aperti i negozi. È sul fronte degli esercizi che è arrivata la novità più rilevante, con l'introduzione del divieto di asporto dopo le 18 per i bar che, assieme ai ristoranti, nelle zone gialle saranno aperti fino alle 18. A quel punto, però, i ristoranti potranno continuare a fare asporto e consegne e domicilio, mentre i bar dovranno, in sostanza, abbassare le serrande. I centri commerciali resteranno chiusi nei week-end ma l'altra novità è che i musei, nelle zone gialle, riapriranno nei giorni feriali, mentre restano chiusi cinema e teatri. Nelle zone arancioni, invece, bar e ristoranti non potranno aprire al pubblico ma potranno fare solo consegne e asporto. Come detto, però, i bar solo fino alle 18.
Tralasciando la fantomatica zona bianca, resta invece il caos sul fronte scuola: il dpcm parla di ritorno in presenza per le superiori fino al 75% degli studenti da lunedì, ma tra proteste, sentenze del Tar e norme confliggenti, le Regioni andranno in ordine sparso.
Fontana: «Questa è una punizione» Gori chiede di esentare Bergamo
«Una punizione». È così che il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, vede il ritorno in zona rossa a partire da domenica, contro il quale ha già annunciato ricorso (insieme alla provincia di Bolzano: la giunta altoatesina ha anzi deciso di non inasprire le limitazioni attualmente in vigore e di restare di fatto «gialli» nonostante il parere di Roma). Fontana ha dichiarato: «Ho appena parlato con il ministro Speranza, è una punizione che la Lombardia non si merita. Mi ha detto che farà fare ancora dei controlli. Ho fatto presente a Speranza che c'è qualcosa che non funziona nei conti, come vengono fatti e nella determinazione dei parametri». I calcoli del governo a Fontana non quadrano proprio: «Oggettivamente siamo in una fase in cui stiamo migliorando i numeri eppure c'è il rischio che si entri in zona rossa. I cittadini si sono comportati tutti molto bene e sinceramente la zona rossa è estremamente penalizzante», ha spiegato. Persino più duro è il commento dell'assessore regionale allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, che parla di una «decisione assurda da parte del governo che avrà conseguenze drammatiche per il sistema produttivo lombardo. Bene ha fatto il governatore Fontana a chiedere con fermezza al ministro Speranza di approfondire la questione con il Comitato tecnico scientifico. Oltre a rivedere la decisione, il governo dovrebbe utilizzare un semplice buonsenso e ristorare immediatamente tutte le attività economiche danneggiate. Questo astio nei confronti delle partite Iva deve finire», ha tuonato Guidesi. Alla decisione si è opposta anche Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, che in una nota ha dichiarato: «Il ritorno della Lombardia in zona rossa rappresenta una penalizzazione eccessiva per cittadini, famiglie e imprese, provati dalla lunghissima battaglia contro il Covid. Anche perché in larghissima parte i lombardi si sono scrupolosamente attenuti alle regole in questi mesi e hanno mostrato spirito solidale e tempra da combattenti: l'aggravamento della pandemia e delle restrizioni è un colpo al cuore che la Lombardia non si merita».
Chi ha pensato a un modo per svicolare dalle restrizioni regionali è però Giorgio Gori, il sindaco dem di Bergamo, la città che più fu provata nella prima ondata e che ora, forse anche in virtù del dramma vissuto ormai un anno fa, ha valori nettamente migliori del resto della Lombardia. Ecco perché Gori, insieme al presidente della provincia Gianfranco Gafforelli, ha scritto a Fontana per chiedere una deroga per il suo territorio, eventualità peraltro prevista dal Dpcm del 3 novembre. E già il territorio di Cremona starebbe valutando l'opzione di chiedere alla giunta Fontana una deroga analoga. A Gori, tuttavia, Fontana ha risposto così: «Se il sindaco Gori riesce a sollecitare un intervento ai suoi rappresentanti politici, gli unici a poter cambiare le regole e modificare il sistema, non sarà necessario disporre deroghe per Bergamo, in quanto tutta la Lombardia potrà essere, almeno, zona arancione».
Fontana spiega: «Comprendo bene le ragioni del sindaco Gori che, evidenziando come la provincia di Bergamo abbia 61 positivi al Covid ogni 100.000 abitanti, quindi al di sotto della media regionale, chiede una deroga alla zona rossa. Il problema è che tale parametro non è preso in considerazione dal ministero della Salute e dal Cts nazionale, ma solo l'Rt». Per Fontana, «se venisse utilizzato il tasso di incidenza dei positivi su 100.000 abitanti, infatti, oggi la Lombardia non finirebbe in zona rossa».
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In arrivo un cambio di status in quasi tutte le zone del Paese. Lettera di 250 accademici: «Rendete pubblici gli indicatori»Polemiche sulla «retrocessione» lombarda. Pure l'Alto Adige si ribella contro RomaLo speciale contiene due articoliAlla fine, la paventata marea arancione è arrivata. Dopo l'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, prima del dl sulle limitazioni agli spostamenti e sulla proroga al 30 aprile dello stato d'emergenza e poi del nuovo dpcm, il ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato le ordinanze, che a partire da domani, cambiano di colore a più di metà del territorio nazionale. Non ci sono grandi sorprese rispetto a quanto filtrato nei giorni scorsi in base all'irrigidimento dei parametri per la classificazione delle diverse aree di rischio, ma ciò non ha evitato comunque uno strascico polemico tra amministratori locali e governo centrale (in particolare il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, ma soprattutto da parte di ristoratori e baristi). Partiamo dalle ordinanze di Speranza: dopo aver collocato la settimana scorsa in zona arancione Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Sicilia, il ministro ha decretato una ulteriore stretta per la Lombardia, che diventa rossa, alla quale si aggiungono la Sicilia (che pur avendo dati da arancione ha chiesto di essere messa in rosso) e la provincia autonoma di Bolzano. Sia la Lombardia che la Provincia autonoma si appellano ai giudici e presenteranno ricorso. Ma è decisamente l'arancione il colore dominante, scorrendo la nuova mappa delle restrizioni decretata dal ministero di Lungotevere: oltre alle citate regioni rosse, diventano o restano infatti arancioni 12 regioni: Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria, Val D'Aosta e Veneto. A rimanere gialle, e quindi nella fascia soggetta a meno restrizioni, saranno la Campania, la Sardegna, la Basilicata, la Toscana, la Provincia Autonoma di Trento e il Molise. A supporto di quella che si può definire certamente l'ennesima stretta, le considerazioni fatte dal presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, in occasione della consueta illustrazione settimanale del monitoraggio sull'andamento dell'epidemia. Pur affermando che, a suo avviso, le restrizioni del periodo festivo hanno consentito di rallentare l'aumento dei casi, Brusaferro ha parlato di un «aumento complessivo del rischio di un'epidemia non controllata» e quindi non gestibile a livello di ricoveri nei reparti ordinari e nelle terapie intensive. In quest'ottica, nel monitoraggio si legge che l'indice Rt è in aumento lento ma costante da cinque settimane ed è giunto a 1,09 come media nazionale. Ma proprio sui dati e sui moduli matematici relativi alla trasmissione del contagio, si segnala l'iniziativa di un gruppo di accademici, raccolti sotto la sigla «Lettera 150», che ha inoltrato un'istanza di accesso agli atti degli indicatori Covid, che finora il governo non ha voluto rendere pubblici. «Questi indicatori», si legge nella nota diffusa da 250 studiosi, «sono quelli in base ai quali si decide di limitare numerose libertà costituzionali». A questo proposito, è il caso di ricordare il quadro delle misure e delle restrizioni contenute nelle ordinanze, nel Dl e nel Dpcm, che entreranno in vigore da oggi. Anzitutto, è confermato il coprifuoco dalle 22 alle 5 e non si potrà in nessun caso uscire dalla propria Regione di residenza (anche nelle zone gialle) salvo comprovati motivi di necessità. Sarà possibile, una sola volta al giorno, ricevere al massimo due persone non conviventi, che potranno portare con sé minori di 14 anni. Il divieto di raggiungere altre Regioni resterà in vigore fino al 15 febbraio, ma nelle zone gialle sarà possibile muoversi senza autocertificazione su tutto il territorio regionale, mentre nelle zone arancioni ci si potrà muovere liberamente solo all'interno del proprio Comune, con l'eccezione di chi abita in Comuni con meno di 5.000 abitanti. Questi ultimi potranno raggiungere, in un raggio di 30 km, altri piccoli Comuni ma non i capoluoghi. La seconde case si potranno raggiungere solo se collocate all'interno della propria Regione nelle zone gialle o nel proprio comune nelle zone arancioni. Palestre, piscine e impianti sciistici resteranno chiusi ovunque (questi ultimi per il momento fino al 15 febbraio), mentre nelle zone gialle resteranno regolarmente aperti i negozi. È sul fronte degli esercizi che è arrivata la novità più rilevante, con l'introduzione del divieto di asporto dopo le 18 per i bar che, assieme ai ristoranti, nelle zone gialle saranno aperti fino alle 18. A quel punto, però, i ristoranti potranno continuare a fare asporto e consegne e domicilio, mentre i bar dovranno, in sostanza, abbassare le serrande. I centri commerciali resteranno chiusi nei week-end ma l'altra novità è che i musei, nelle zone gialle, riapriranno nei giorni feriali, mentre restano chiusi cinema e teatri. Nelle zone arancioni, invece, bar e ristoranti non potranno aprire al pubblico ma potranno fare solo consegne e asporto. Come detto, però, i bar solo fino alle 18. Tralasciando la fantomatica zona bianca, resta invece il caos sul fronte scuola: il dpcm parla di ritorno in presenza per le superiori fino al 75% degli studenti da lunedì, ma tra proteste, sentenze del Tar e norme confliggenti, le Regioni andranno in ordine sparso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-italiani-appesi-alla-lotteria-dei-colori-e-tre-regioni-si-ritingono-di-rosso-2649954599.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="fontana-questa-e-una-punizione-gori-chiede-di-esentare-bergamo" data-post-id="2649954599" data-published-at="1610741649" data-use-pagination="False"> Fontana: «Questa è una punizione» Gori chiede di esentare Bergamo «Una punizione». È così che il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, vede il ritorno in zona rossa a partire da domenica, contro il quale ha già annunciato ricorso (insieme alla provincia di Bolzano: la giunta altoatesina ha anzi deciso di non inasprire le limitazioni attualmente in vigore e di restare di fatto «gialli» nonostante il parere di Roma). Fontana ha dichiarato: «Ho appena parlato con il ministro Speranza, è una punizione che la Lombardia non si merita. Mi ha detto che farà fare ancora dei controlli. Ho fatto presente a Speranza che c'è qualcosa che non funziona nei conti, come vengono fatti e nella determinazione dei parametri». I calcoli del governo a Fontana non quadrano proprio: «Oggettivamente siamo in una fase in cui stiamo migliorando i numeri eppure c'è il rischio che si entri in zona rossa. I cittadini si sono comportati tutti molto bene e sinceramente la zona rossa è estremamente penalizzante», ha spiegato. Persino più duro è il commento dell'assessore regionale allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, che parla di una «decisione assurda da parte del governo che avrà conseguenze drammatiche per il sistema produttivo lombardo. Bene ha fatto il governatore Fontana a chiedere con fermezza al ministro Speranza di approfondire la questione con il Comitato tecnico scientifico. Oltre a rivedere la decisione, il governo dovrebbe utilizzare un semplice buonsenso e ristorare immediatamente tutte le attività economiche danneggiate. Questo astio nei confronti delle partite Iva deve finire», ha tuonato Guidesi. Alla decisione si è opposta anche Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, che in una nota ha dichiarato: «Il ritorno della Lombardia in zona rossa rappresenta una penalizzazione eccessiva per cittadini, famiglie e imprese, provati dalla lunghissima battaglia contro il Covid. Anche perché in larghissima parte i lombardi si sono scrupolosamente attenuti alle regole in questi mesi e hanno mostrato spirito solidale e tempra da combattenti: l'aggravamento della pandemia e delle restrizioni è un colpo al cuore che la Lombardia non si merita». Chi ha pensato a un modo per svicolare dalle restrizioni regionali è però Giorgio Gori, il sindaco dem di Bergamo, la città che più fu provata nella prima ondata e che ora, forse anche in virtù del dramma vissuto ormai un anno fa, ha valori nettamente migliori del resto della Lombardia. Ecco perché Gori, insieme al presidente della provincia Gianfranco Gafforelli, ha scritto a Fontana per chiedere una deroga per il suo territorio, eventualità peraltro prevista dal Dpcm del 3 novembre. E già il territorio di Cremona starebbe valutando l'opzione di chiedere alla giunta Fontana una deroga analoga. A Gori, tuttavia, Fontana ha risposto così: «Se il sindaco Gori riesce a sollecitare un intervento ai suoi rappresentanti politici, gli unici a poter cambiare le regole e modificare il sistema, non sarà necessario disporre deroghe per Bergamo, in quanto tutta la Lombardia potrà essere, almeno, zona arancione». Fontana spiega: «Comprendo bene le ragioni del sindaco Gori che, evidenziando come la provincia di Bergamo abbia 61 positivi al Covid ogni 100.000 abitanti, quindi al di sotto della media regionale, chiede una deroga alla zona rossa. Il problema è che tale parametro non è preso in considerazione dal ministero della Salute e dal Cts nazionale, ma solo l'Rt». Per Fontana, «se venisse utilizzato il tasso di incidenza dei positivi su 100.000 abitanti, infatti, oggi la Lombardia non finirebbe in zona rossa».
Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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Francesco Borgonovo, Gianluca Zanella e Luigi Grimaldi fanno il punto sul caso Garlasco: tra nuove indagini, DNA, impronte e filoni paralleli, l’inchiesta si muove ormai su più livelli. Un’analisi rigorosa per capire a che punto siamo, cosa è cambiato davvero e quali nodi restano ancora da sciogliere.