2019-12-14
«Gli inglesi ci hanno ripensato»: le profezie a perdere
Da Federico Fubini a Piero Fassino, gli «esperti» di casa nostra avevano tutti predetto la rivincita del «remain». Sbagliando ancora una volta.Ora dovrebbero solo sperare nel ballottaggio, i fini analisti politici italiani e internazionali che fino a poche ore dalla chiusura dei seggi erano certi della rimonta di Jeremy Corbyn su Boris Johnson. Ballottaggio che, però, non ci sarà: la legge elettorale britannica non lo prevede, e quindi ai soloni della sinistra, politica e giornalistica, non resta che accucciarsi e leccarsi le ferite. Gli inglesi, stramaledetti loro, hanno infatti contraddetto tutti i pronostici degli irriducibili europeisti, riformisti, progressisti, comunisti e post comunisti. Qualche esempio? Partiamo dall'avvocato delle scommesse perse, Piero Fassino. Il deputato del Pd, lo scorso 9 luglio, twittò lapidario: «Corbyn propone un nuovo referendum e indicherà di votare perché Uk rimanga nell'Ue. Scelta saggia per evitare una separazione che danneggerebbe tutti: Uk isolata e Ue più debole. Scelta corrispondente ai sentimenti di tanti inglesi e auspicata dalla maggioranza degli europei». Purtroppo, il tweet di Fassino è sfuggito ai più, altrimenti migliaia di italiani si sarebbero arricchiti scommettendo sulla vittoria di Johnson. Dai tempi del famoso «Beppe Grillo fondi un partito e vediamo quanti voti prende» (2009) Fassino è infatti considerato un veggente al contrario: quello che prevede, puntualmente non si verifica.Non male, in quanto a profondità di previsione politica, il Corriere della Sera. Appena 48 ore fa, l'ottimo corrispondente da Londra del Corrierone, Luigi Ippolito, vaticinava: «È una battaglia che si combatte all'ultimo voto. La distanza che separa i conservatori dai laburisti si è man mano assottigliata: le ultime rilevazioni danno i primi al 42 per cento e i secondi al 33. È un distacco di nove punti che ha portato i sondaggisti a tagliare le previsioni di una maggioranza assoluta per i conservatori: da 68 seggi si è passati a 28. Ma è un vantaggio che potrebbe svanire del tutto in queste ultime ore». Come è finita, lo sappiamo tutti, ma Ippolito probabilmente si è lasciato influenzare dal suo vicedirettore, Federico Fubini, altro profeta: «Stasera», twittava Fubini, lo scorso 3 settembre, a ridosso dell'inizio dell'avventura giallorossa, «Matteo Salvini si può consolare vedendo la fine che sta facendo Boris Johnson e Boris Johnson si può consolare con la fine che ha fatto Matteo Salvini. Abbaiare nella lingua del populismo nazionalista è facile. Mordere un po' meno». Si starà mordendo le mani, Fubini? Non si sa. Quello che si sa è che il Corriere è in ottima compagnia. Il Manifesto, per esempio, lo scorso 6 novembre titolava tutto contento: «Al via la campagna elettorale. Johnson parte male». «Corbyn è invece partito alla grande», spiegava ai suoi lettori Leonardo Clausi. Pensate se fosse partito male, Corbyn! Un'altra testata giornalistica che ha sbagliato tutte le previsioni è l'Huffington post: «Nel quartier generale dei tory sono tornati gli incubi», scriveva lo scorso 2 dicembre Gregorio Sorgi, che aggiungeva: «Il timore è che una rimonta di Jeremy Corbyn nell'ultima settimana della campagna elettorale possa produrre lo stesso esito dell'ultimo voto: un Parlamento senza maggioranza». Sempre sull'Huffpost, appena lunedì scorso, Guido Petrangeli si lanciava in una previsione clamorosa: «In quelle che vengono definite come le elezioni più volatili che il Regno Unito abbia mai avuto», argomentava Petrangeli, «un ruolo fondamentale lo stanno giocando gli elettori sulla rete. Un campo dove i laburisti di Corbyn stanno avanzando in maniera netta. Nelle ultime settimane il fronte europeista e laburista si è compattato sulla rete. Il risultato di questa campagna contro il primo ministro inglese è stato quello di accrescere notevolmente il consenso online di Corbyn». Consenso che on line era e on line è rimasto, perché nelle urne non se ne è avuta traccia. «Oggi i britannici voterebbero contro l'uscita dall'Unione», titolava Repubblica.it lo scorso 9 ottobre. L'errore più clamoroso che può commettere un giornalista? Confondere la realtà con i propri desideri.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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