2025-08-04
Gli influencer della fede
Laici e sacerdoti con centinaia di migliaia di seguaci si affacciano sempre di più sui social. Con buoni risultati, ma anche qualche rischio: come quello di adattare i contenuti alle esigenze degli sponsor.La missionaria digitale Sara Alessandrini: «Tutto parte da un blog dove raccontavo i miei pellegrinaggi. Molti mi chiedono indirizzi e informazioni».Lo speciale contiene due articoli.Erano in 1.100 e provenienti da 146 Paesi diversi, nei giorni scorsi a Roma, ad ascoltare le parole di papa Leone XIV, che li ha esortati ad essere il più possibile «agenti di comunione capaci di rompere le logiche della divisione e della polarizzazione; dell’individualismo e dell’egocentrismo». Stiamo parlando degli influencer cattolici, ritrovarsi appunto in Vaticano per il Giubileo dedicato ai missionari digitali, che era convocato per il 28 e 29 luglio. D’accordo, ma chi sono questi influencer, e in che cosa si distinguono davvero dal resto della categoria?Iniziamo col dire che i missionari digitali sono sia laici sia religiosi, anche se indubbiamente - per ovvie ragioni - ad attirare maggiormente attenzione e seguito sono dei sacerdoti. Si stima che, solo in Italia, siano oggi oltre 500 i preti italiani con una presenza significativa online, con picchi di visibilità nei periodi liturgici più sentiti quali l’Avvento e la Quaresima. Tra i sacerdoti più seguiti, troviamo: don Cosimo Schena - solo su Instagram seguito da quasi 460.000 persone -, don Alberto Ravagnani - 250.000 follower -, don Roberto Fiscer - 246.000 follower -, padre Jefferson Merighetti - seguito da 119.000 -, don Ambrogio Mazzai - da 105.000 -, don Giuseppe Fusari - da 63.000. A seguire, ci sono decine di altri preti molto popolari e presenti anche su Facebook e TikTok. Ciascuno di questi sacerdoti ha un proprio stile comunicativo: c’è chi realizza contenuti più giocosi e allegri, chi punta di più sul dialogo e sull’interazione con i seguaci, chi pratica il ciclismo e chi invece la palestra, insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Tuttavia, tra i preti influencer ricorrono anche delle somiglianze: per esempio, molti di essi sono anche autori di libri. Alcuni hanno scritto anche più di un libro, in realtà. Il che, se da un lato non rappresenta una novità (nella storia della Chiesa numerosi santi – fortunatamente, viene da aggiungere – ci hanno lasciato opere), dall’altro, dato che non tutti i sacerdoti sono scrittori effettivamente dotatissimi, alimenta il sospetto che dietro tanta produzione vi sia l’iniziativa di casi editrici astutissime quando si tratta di calcare autori emergenti o possibili tali.Ma torniamo ai missionari digitali, alcuni dei quali effettivamente riescono nella loro opera di evangelizzazione con risultati concreti. «Mi ha scritto un ragazzo dicendo che, anche grazie ai miei video, ha trovato il coraggio di seguire la sua vocazione», ha per esempio dichiarato in una recente intervista il già citato don Mazzai, aggiungendo: «Questi risultati lasciano il segno più di cento like». Come il prete veronese, altri hanno ottenuto un seguito non solo virtuale ma anche nella fede. Tuttavia, va detto che sull’efficacia su vasta scala dei missionari digitali il dibattito è aperto. Lo scorso anno è per esempio stato pubblicato un libro - significativamente intitolato Influenciadores Digitais Católicos -, esito d’uno studio di un team di cinque ricercatori messo assieme da monsignor Joaquim Giovanni Mol Guimarães, vescovo ausiliare di Belo Horizonte, in Brasile, e già fa rettore della Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais.Ebbene, analizzando sacerdoti brasiliani non con migliaia bensì con svariati milioni di follower, tale gruppo di studio ha realizzato un’analisi molto severa. Che, anzitutto, chiede di distinguere tra i veri «evangelizzatori digitali» e gli influencer. Questi ultimi, infatti, secondo l’indagine promossa da monsignor Mol, benché si professino cattolici di fatto «cercano di adattare il messaggio religioso agli interessi economici, attraverso la monetizzazione e gli sponsor che finiscono per interferire nei contenuti pubblicati». C’è poi il problema degli effettivi contenuti: quanti sedicenti missionari digitali promuovono davvero il Vangelo? Analizzando due preti molti seguiti e conosciuti - i reverendi Patrick Fernandes e Fábio de Melo -, lo studio voluto da Mol ha visto come «nel 90% dei post questi due sacerdoti si presentano come individui, non come parte di un’istituzione o di un’idea». In effetti, anche guardando il panorama italiano la sensazione è che - per un don Mazzai che ha ottenuto, grazie anche alla Provvidenza s’intende, la vocazione di un suo follower - la sensazione, dicevamo, è che nei tanti post di sacerdoti (alludiamo a quelli che ne esaltano i pettorali da palestrati, i bicipiti, i tatuaggi, la pettinatura impeccabile e via esibendo) la vanità abbia la meglio sull’evangelizzazione. Non pare a tale proposito un caso che papa Prevost, al Giubileo dei missionari digitali dei giorni scorsi, abbia rivolto un appello molto esplicito affinché costoro siano «centrati su Cristo», rompendo le logiche «dell’individualismo e dell’egocentrismo». Così come aveva fatto, viene da commentare, un santo ed evangelizzatore vero: il beato Carlo Acutis, stroncato dalla leucemia nel 2006 a 15 anni e che sarà canonizzato il prossimo 7 settembre, il quale aveva deciso di orientare il suo lavoro sul web interamente alla divulgazione dei miracoli eucaristici. Certo, purtroppo Acutis è morto prima dell’era social, anche se da quanto si sa di lui è dura, ecco, immaginarselo in pose ammiccanti…Si sbaglierebbe, però, ad essere troppo critici verso i missionari digitali, che non vanno considerati necessariamente come figure aliene o lontane. Illuminante, al riguardo, uno studio polacco uscito nel 2022 sul Journal for the Study of Religions and Ideologies - a cura di Michal Wyrostkiewicz, Joanna Sosnowska e Aneta Wójciszyn-Wasil dell’Università cattolica Giovanni Paolo II di Lublino - ha riscontrato come, per alcuni cattolici influencer (da 100.000 a 1 milione di follower), vi siano diversi micro-influencer (da 1.000 a 100.000 seguaci) e, soprattutto, tantissimi micro-influencer (da 1.000 a 10.000 seguaci). Significa che in fondo ogni cattolico, anche poco conosciuto, sui social può fare la propria parte. Basta il coraggio di professarsi tali e, anziché aspirare ad essere testimonial, provare ad essere testimoni credibili. Che è poi la cosa più importante.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gli-influencer-della-fede-2673856365.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cosi-faccio-scoprire-chiese-e-luoghi-sacri-pure-ai-non-credenti" data-post-id="2673856365" data-published-at="1754304090" data-use-pagination="False"> «Così faccio scoprire chiese e luoghi sacri pure ai non credenti» Tra i missionari digitali presenti al Giubileo della categoria, la settimana scorsa in Vaticano, c’era anche Sara Alessandrini. Classe 1984, romana con oltre 63.000 follower su Instagram, autrice del libro Un’altra strada (2022), firma del mensile Il Timone e reduce da collaborazioni sia con l’Opera romana pellegrinaggi sia con il Dicastero dell’evangelizzazione, inviata della trasmissione Di Buon Mattino - in onda tutte le mattine su Tv2000 -, rappresenta un vero esempio di influencer cattolica che è riuscita a fare del suo impegno sui social una professione.Alessandrini, partiamo dal principio: qual è la sua storia di fede?«Io vengo da una famiglia molto credente, ma ho avuto il mio momento di distacco e di ribellione in cui mi sono comunque allontanata, però poi ho vissuto una esperienza un po’ complicata».Quale?«A 20 anni sei superficiale e non ti fai molte domande e probabilmente Dio è l’ultimo tuo pensiero. Ecco, io a quell’età ho vissuto un evento che mi ha messo davanti la realtà della vita e della sofferenza: un ragazzo che frequentavo ha avuto un incidente in moto ed è morto. Questa cosa ha investito tutta la mia vita e tutto il mio pensiero. E lì ho toccato il fondo e non trovavo risposte in quello che facevo. Poi sentii delle catechesi di un frate francescano, avvertendo in qualche modo un richiamo, una consolazione che non trovavo da nessun’altra parte. Così è iniziato il mio cammino di conversione, con i miei primi pellegrinaggi. Non è stata una fase semplice, ma da lì mi è venuta un’idea, perché mi dissi: “Quanti altri giovani come me ci sono che sperimentano questo vuoto e che non hanno risposte alle loro domande?”. Così ho iniziato a raccontare i luoghi e le chiese che visitavo, perché ho scoperto che entrare all’interno delle chiese mi faceva sentire bene».Quand’è invece iniziata la sua avventura di missionaria digitale?«Sei anni fa».Com’è successo?«In realtà, tutto è partito dal mio blog sugli Itinerari religiosi e, quando poi è scoppiata la fama di Instagram, ho aperto una pagina anche lì, che mi ha consentito di raggiungere un numero molto più ampio di persone, interessate a contenuti di carattere religioso: sia credenti sia non credenti».Qual è stata la prima chiesa che ha presentato ai suoi follower?«Uno dei miei primi contenuti, ricordo, fu sui quattro santuari della Valle Santa reatina di San Francesco, a me molto cari. Siccome sono molto legata ai francescani, andavo spesso lì a visitare questi luoghi e tra l’altro fu proprio contattata da un frate che aveva visto il mio blog e che mi disse: “Perché non vieni qui a raccontare della Valle Santa?”».Quando ha capito che questa sua passione stava, di fatto, diventando anche un lavoro?«Quando le persone hanno iniziato a commentare i miei post chiedendomi informazioni sui luoghi che visitavo, chiedendomi l’indirizzo e come fare loro stessi ad andarci, sui tragitti e sui pernottamenti. Lì ho capito che si stava creando una community interessata a quello che facevo».La soddisfazione più bella? «Quando qualcuno mi scrive che è andato a vedere una chiesa di cui avevo parlato».Quale contributo sente di dare, in questo modo, all’evangelizzazione?«In modo molto semplice, io penso di portare una testimonianza. Non penso che quello che dico possa aggiungere o togliere. Però penso che posso raccontare la mia storia e dare una testimonianza di quello che vedo e magari la gente in qualche modo si identifica con i posti e con quello che io faccio».Per esempio?«Uno dei miei reel che ha avuto più successo è stato quello su Napoli dove, nella chiesa di San Gregorio Armeno, c’è il corpo di Santa Patrizia, pregata per cercare marito. Ora, siccome come noto viviamo in un’epoca nella quale c’è una certa difficoltà a trovare una persona con cui costruire una famiglia, il reel ha avuto un grande successo e tante hanno iniziato a scrivermi che devono andarci, scherzando sul fatto che ci devono andare con un pullman di amiche o che effettivamente ci sono andate. Anche io ho portato una mia amica ed abbiamo dormito proprio dalle suore di Santa Patrizia».E?«E la mia amica, che cercava marito, a settembre di sposa».Qual è la cosa più importante per un influencer cattolico?«La cosa fondamentale è essere e restare autentici, nel senso che dai social si vede quello che sei, perché ci metti la faccia. Dietro a tutti i contenuti che tu fai ci devono essere la fede e la preghiera, insomma un cammino. Altrimenti rimane una cosa “acchiappa like”, ma non arrivi al cuore delle persone».
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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