2022-07-07
Giuseppi abbassa il ciuffo e con la «discontinuità» invoca anche la mancetta
Il capo del M5s non rompe col premier, ma gli allunga solo l’elenco delle richieste. Alessandro Di Battista spara a zero: «Una vergogna». Torna il sereno anche in casa leghista.«Veniamo noi con questa mia a dirvi»: la citazione della celeberrima lettera di Totò e Peppino si adatta alla perfezione all’ennesima sceneggiata a cinque stelle. L’incontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, che si è svolto ieri a mezzogiorno, si è concluso con l’ennesima ritirata del leader del M5s che o non sa che fare (e sarebbe grave) o vorrebbe uscire dal governo ma non ne ha la forza (e sarebbe peggio). La sostanza, o meglio la fuffa di giornata, è rappresentata da una fluviale lettera partorita dal consiglio nazionale grillino, ovvero elaborata da Conte e Casalino in versione Totò e Peppino, e consegnata a Draghi, nella quale si elencano i nove punti che ciò che resta del M5s considera irrinunciabili per la permanenza nel governo, si chiede «discontinuità» nell’azione dell’esecutivo e si manifesta il «profondo disagio politico» che attanaglia i grillini. Più che una posizione politica, quindi, un colloquio di natura spirituale, un’oretta di meditazione guidata per la rigenerazione interiore di Giuseppi. I nove punti che il M5s considera fondamentali per la permanenza al governo sono l’intoccabilità del reddito di cittadinanza; l’introduzione del salario minimo; il contrasto al precariato; più aiuti a famiglie e imprese con scostamento di bilancio e taglio del cuneo fiscale; il proseguimento sul percorso della transizione ecologica; lo sblocco delle cessioni di crediti per il superbonus; l’applicazione del cashback fiscale; un intervento di agevolazione per chi è in debito con il fisco e l’introduzione di una clausola sulle leggi delega. Intanto, manco a dirlo, il sostegno a Draghi non è in discussione: «Ho rappresentato a Draghi», spiega Giuseppi dopo il colloquio a Palazzo Chigi, «in modo schietto e diretto le ragioni del disagio politico che il M5s ha accumulato per il metodo e il merito dell’operato di questo governo. Occorre ci siano risposte precise e risolutive che possano costituire valide motivazioni per convincerci a proseguire nel sostegno. Non ce le aspettiamo domani mattina», precisa Conte, «si tratta di giorni, sicuramente entro luglio, poi si dovrà lavorare alle soluzioni. Nessuna cambiale in bianco, la comunità a gran voce mi chiede di portare il M5s fuori. Il futuro della nostra collaborazione è nelle risposte che avremo». C’è da restare sconcertati: Conte si prende un altro mese intero di tempo e rinvia ancora una volta il fantomatico momento della verità, tra l’altro dando una scadenza, fine luglio, politicamente lunare. Quanto accadrà è ampiamente prevedibile: alla fine del mese Draghi farà giusto un paio di concessioni al M5s, su argomenti che non mettono in difficoltà gli altri partiti di maggioranza. Che farà Giuseppi? Aprirà una crisi di governo balneare? Figuriamoci: dirà che alla fine il governo ha dovuto cedere, aumentando ancora di più l’insofferenza dei pochi elettori rimasti, ma facendo felici i suoi ministri e sottosegretari, che di lasciare poltrone e auto blu non ne vogliono sapere. Tra l’altro, anche sull’invio alle armi in Ucraina Conte ha abbassato il ciuffo: nella lettera c’è un generico riferimento alle «nostre convinzioni contro la guerra, per la pace e il disarmo espresse, da ultimo, con infinito coraggio e troppa solitudine da Papa Francesco». Dei proclami sulla necessità di coinvolgere il parlamento su nuovi eventuali invii di armi non c’è traccia: anche in questo caso, dalla politica si passa alla spiritualità. Draghi, da parte sua, si sarà fatto una bella risata, e non a caso fonti di Palazzo Chigi definiscono alla Verità l’incontro come «buono, in un clima collaborativo». Tra l’altro, le stesse fonti sottolineano come «molti dei temi sollevati si identificano in una linea di continuità con l’azione governativa», rispedendo elegantemente al mittente la richiesta di «discontinuità» di Conte. La polemica propagandistica scatenata dal M5s sul Dl Aiuti rientra immediatamente: il governo metterà la fiducia e il M5s oggi la voterà, astenendosi invece sul voto sul provvedimento, in programma probabilmente lunedì. Va su tutte le furie Alessandro Di Battista: «E anche oggi», scrive il Dibba su Facebook, «il M5s esce dal governo domani. Chissà, magari il Movimento uscirà dal governo dopo l’estate, quando i parlamentari avranno maturato la pensione. O forse non uscirà mai. Intanto anche i più irriducibili sostenitori del Movimento», aggiunge Di Battista, «gli ultimi giapponesi direi, si domandano come sia stato possibile ridurre la più grande forza politica del Paese nella succursale della pavidità e dell’autolesionismo». Si affievolisce la tensione anche nella Lega: ieri mattina il segretario Matteo Salvini e il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, a quanto afferma una nota dell’ufficio stampa di quest’ultimo, «hanno parlato a lungo. I due hanno rinnovato e confermato, in questa delicata fase politica, che la Lega è compatta e prosegue nella linea decisa nel corso della riunione di lunedì scorso nell’esclusivo interesse degli italiani e coerentemente con le battaglie del partito». Quindi, nessuna ipotesi di uscita dal governo.
Chuck Schumer (Getty Images)