2024-05-16
I giudici non credono (di nuovo) al manager Eni che accusa Descalzi
Claudio Descalzi e Vincenzo Armanna (Ansa)
Archiviata una querela di Vincenzo Armanna. Contestava pressioni per non farlo testimoniare.Vincenzo Armanna non dice la verità. Si potrebbe tranquillamente definire un falsario e un mentitore seriale, perché oltre a raccontare vicende del tutto «inverosimili» talvolta riesce persino a sostenere teorie che aveva già contraddetto in passato. È in fin dei conti questo il contenuto del dispositivo con cui il giudice Luigi Iannelli di Milano ha accolto la richiesta di archiviazione e chiuso una querela che era stata depositata dallo stesso Armanna a Torvaianica nel 2020. In sostanza, l’ex manager Eni (teste chiave secondo il pm Fabio De Pasquale nel processo Eni-Nigeria finito al terzo grado di giudizio con l’assoluzione di tutti gli imputati) voleva che la procura indagasse sul suo licenziamento da Eni e allo stesso tempo sulle presunte pressioni che l’ad Claudio Descalzi avrebbe fatto su alcuni manager nigeriani perché convincessero Armanna a non testimoniare. Oltre a questo teorema del tutto falso, con accuse che variavano dall’associazione a delinquere fino all’estorsione, la procura avrebbe dovuto persino indagare sul licenziamento di Armanna da Eni per provvedimenti disciplinari (aveva sottratto soldi all’azienda per spese folli) e a questo si sarebbero aggiunte anche le promesse del capo del personale Claudio Granata di riassumerlo a San Donato. Erano tutte falsità, tanto che «l’indagine non ha restituito alcun riscontro di sorta». Non a caso tutto l’impianto di dichiarazioni di Armanna è completamente improbabile, a detta del giudice. Anzi, è proprio il racconto accusatorio che poggia su premesse fattuali (l’accordo con Granata per un licenziamento «simulato» e cedevole) non solo inverosimili, ma anche «intrinsecamente contraddette dalle stesse precedenti dichiarazioni del querelante». «L’aleatorietà» della denuncia di Armanna sarebbe stata sostenuta anche da alcune chat che il manager siciliano aveva consegnato a un giornalista del Fatto Quotidiano, poi rivelatesi fasulle. Del resto, come aveva evidenziato la perizia dell’ingegnere Maurizio Bedarida, le fotocopie delle chat che Armanna aveva allegato alla denuncia si erano dimostrate false dopo l’analisi dei cellulari. Sia perché in alcuni casi era stato usato photoshop, sia perché Armanna aveva allegato alla denuncia-querela due dichiarazioni dattiloscritte create ad arte proprio da lui. In teoria, avrebbero dovuto essere dei manager nigeriani ma il procuratore, dopo l’esito dell’analisi del contenuto del cellulare di Armanna aveva rilevato la presenza di alcune chat WhatsApp dove si capiva con chiarezza che le dichiarazioni in questione «erano state predisposte dallo stesso Armanna e inviate agli apparenti firmatari soltanto in un secondo momento, per la sottoscrizione». Per di più, come già più volte appurato, le utenze contattate da Armanna non appartenevano né a Granata né a Descalzi. Alcune chat, come detto, solo cartacee, avevano persino i segni delle modifiche di Photoshop. Il giudice Iannelli si sofferma anche sulla consulenza tecnica del dottor Massimo Graziani, inviata dall’avvocato di Armanna (Massimiliano Fioravanti) il 22 aprile scorso e preannunciata dallo stesso De Pasquale al processo di Brescia, dove il pm è accusato di rifiuto di atti di ufficio per non aver depositato atti a favore delle difese. Ebbene, come La Verità ha più volte ribadito, la consulenza non ha alcuna validità perché effettuata su un pc fornito da Armanna stesso e non al contrario sulle copie forensi dei cellulari che gli erano stati riconsegnati. È «del tutto evidente la scarsa valenza probante dell’accertamento, che come tale non può in alcun modo intaccare gli esiti della consulenza depositata dall’ingegner Bedarida», scrive il giudice. Con buona pace di Armanna e dell’avvocato Fioravanti.
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