
Il maxi investimento italo-tedesco per un parco eolico in Calabria frenato da sentenze contraddittorie e cortocircuiti burocratici. Un pronunciamento della Cassazione del 2023 sembra porre fine allo stillicidio legale, dando ragione alla società. Ma non è così.C’è bonaccia sul parco eolico più grande d’Italia, realizzato in Calabria in adesione alla politica delle energie alternative, che rischia di fallire per un corto circuito burocratico da 240 milioni di euro.È la super cifra bloccata-congelata-confiscata alla società «Vent1» dodici anni fa e mai restituita nonostante una sentenza della Cassazione non solo favorevole ma, addirittura, penalizzante nei confronti dei protagonisti del pasticcio giuridico-istituzionale. La vicenda è un esempio paradossale, un caso di scuola per confermare la difficoltà e la legittima diffidenza degli investitori stranieri nel nostro Paese.A Isola Capo Rizzuto (Crotone) c’è tanto vento: per questo, ci sono 48 aerogeneratori capaci di produrre 96 megawatt di energia pulita, c’è una società a partecipazione tedesca (70%) e italiana (30%) che li gestisce essendone proprietaria grazie a un investimento di 240 milioni finanziato quasi 20 anni fa da una banca pubblica tedesca, la Hsh Nordbank, oggi Hamburg commercial bank. Ma c’è anche un pentito che parla di ‘ndrangheta e nel 2012 la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro mette sotto sequestro pale, vento, quote societarie e soldi perché deriverebbero e sarebbero nella disponibilità della cosca calabrese della famiglia Arena, clan mafioso locale.Parte una rogatoria internazionale per risalire ai finanziamenti, le Procure tedesche certificano che sono leciti ma nel 2013 l’allora prefetto di Crotone, sulla scorta del procedimento penale in corso, emette una «interdittiva antimafia». Si tratta di una misura che, in caso di sospetto di infiltrazioni della criminalità organizzata, impedisce i rapporti dell’impresa con la pubblica amministrazione.La conseguenza immediata è che il Gse (Gestore servizi energetici spa, società controllata del ministero dell’Economia, che gestisce gli incentivi collegati alle fonti di energia rinnovabili) sospende l’erogazione dei Certificati verdi e degli incentivi per 200 milioni che la legge prevede a favore degli impianti produttori di energia proveniente da fonti rinnovabili. Una botta da ko alla base dello stallo attuale, anche se quell’interdettiva di undici anni fa è superata da processi e sentenze che decretano il dissequestro dell’impianto. Un decennio di battaglie legali determinate anche da un successivo capitolo della telenovela.Nel 2017 la Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, usa contro il parco eolico un’altra leva giudiziaria: il procedimento di prevenzione antimafia. Si tratta di una procedura italiana che consente il sequestro di beni «sospettati» di illecita provenienza. Il parco eolico entra di nuovo in una valle di lacrime e viene confiscato. Motivo, ancora una volta, il sospetto che Pasquale Arena, incensurato, dipendente della pubblica amministrazione di Crotone e parente della famiglia malavitosa, fosse il reale dominus del mega-impianto. La conferma arriva da una sentenza del tribunale di Catanzaro, con un curioso destino: un anno dopo, due dei tre membri della Corte d’appello vengono indagati e uno di essi arrestato e condannato per corruzione in atti giudiziari, su questioni che esulano dal parco eolico.Tutto ciò viene smontato da un altro processo con 22 imputati a Catanzaro (primo grado e appello) che, nel 2022, assolve tutti dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa, abuso d’ufficio e falso. Il parco torna ai legittimi proprietari ma di soldi neppure l’ombra: il Gse si aggrappa a quell’iniziale interdittiva capestro. Afferma Raffaele Bergaglio, legale della «Vent1 Capo Rizzuto»: «Si tratta di un gioco allo scaricabarile che potrebbe avere conseguenze devastanti, poiché ci si attacca a un pretesto illegittimo per non erogare una somma di cui l’impresa ha pieno diritto. La magistratura ha fatto luce su tutto, scagionando totalmente gli imprenditori. Senza l’ingente somma dovuta, un’impresa sana e ingiustamente accusata rischia di fallire».Nel 2023 arriva anche la sentenza di Cassazione, che mette fine (ma solo in teoria) al tormentone. La Suprema corte annulla le decisioni precedenti con una sentenza di rara durezza non solo nei contenuti, ma anche nei toni. I giudici di legittimità fanno riferimento alla «radicale assenza, nel provvedimento impugnato, di una motivazione che appaia minimamente basata su argomentazioni pertinenti ed esaustive». E rilevano che «il provvedimento impugnato ha sostanzialmente eluso ogni valutazione di attualità della pericolosità sociale, fornendo un’indicazione scoordinata e difficilmente leggibile basata su elementi che appaiono inidonei a ricostruire, con una valutazione di attualità, i cardini sui quali si basa la pericolosità sociale dell’Arena».Sulla confisca in particolare, la Cassazione si esprime così: «Va ricordato come la provvista utilizzata per il finanziamento del parco eolico abbia indiscussa provenienza lecita, derivando interamente da un mutuo accordato da un istituto di credito tedesco. Di ciò non sembra dubitare neanche il tribunale di Crotone che nel 2017 aveva rilevato come non vi fossero elementi per ritenere illecito il finanziamento del parco eolico. È, inoltre, emerso come il parco gestisca un ritorno economico sufficiente a far fronte al pagamento del mutuo. Ne discende che, sotto detto specifico aspetto, non vi è alcun fondamento che possa giustificare la misura di prevenzione patrimoniale». Ne discende, ma i 240 milioni non si sbloccano. Così a Isola di Capo Rizzuto soffia il vento e girano le pale. A tutti i livelli.
Matteo Ricci (Ansa)
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