2022-02-16
Giovani stroncati dalle miocarditi. Ma a noi dicono che sono «benigne»
Pubblicati negli Usa gli esiti delle autopsie su due adolescenti, spirati nel sonno dopo il vaccino: «Lesioni cardiache anomale». Allarmi pure dal Giappone. In Italia, invece, si minimizza: «Il Covid è più pericoloso».La miocardite post vaccino nei giovani? «Lieve e autolimitante», pontificava, la scorsa settimana, Furio Colivicchi, presidente dell’Associazione medici cardiologi ospedalieri. «Quasi sempre benigna, si controlla da sola», spiegava un mese fa, a Repubblica, l’immunologo Guido Silvestri. «Si risolve in poche settimane», metteva le mani avanti, già lo scorso giugno, Gianni Rezza. A fare sponda al capo della Prevenzione al ministero della Salute, allora, c’era Alfredo Marchese, della fondazione Gise (Società italiana di cardiologia interventistica). Il quale, dal canto suo, garantiva: «Prognosi benigna rispetto alle reazioni indotte dall’infezione virale vera e propria». Su questo, tutti i cervelloni, a cominciare da Franco Locatelli del Cts, paiono concordi: la miocardite è più probabile beccarsela a causa del Covid. Quando si tratta di quantificare quel «più probabile», al solito, parte la lotteria: Matteo Bassetti parla di «rischio di miocardite o di pericardite 30 volte superiore se ci si infetta con Sars-Cov-2»; Massimo Ciccozzi si ferma a quattro volte. Il messaggio, comunque, è chiaro: vaccinare, vaccinare, vaccinare. Ragazzi, bambini e infanti. Chi lo racconta ai genitori dei due adolescenti americani, morti nel sonno proprio di miocardite, pochi giorni dopo le iniezioni? Un’équipe di patologi ha eseguito un approfondito esame autoptico sui loro cadaveri. I risultati dell’indagine sono stati appena pubblicati sull’ultimo volume degli Archives of pathology and laboratory medicine. Due ragazzi sani, stroncati improvvisamente da un’infiammazione cardiaca, senza che ne avessero manifestato i classici sintomi: febbre, dolore al petto, palpitazioni, dispnea. Li hanno ritrovati senza vita nella loro stanza, al mattino, uno tre e l’altro quattro giorni dopo che avevano ricevuto la seconda dose di vaccino a mRna. Gli esiti dell’autopsia sono stati sorprendenti: gli specialisti non si sono trovati davanti le tracce di una «tipica patologia miocarditica», bensì un quadro somigliante a una «lesione indotta da catecolamine». Fuori dagli iper tecnicismi: lo scenario clinico era simile a quello delle cardiomiopatie «da stress», provocate da forti alterazioni fisiche, chimiche o emotive. Concludono i medici: «Questa reazione post vaccino potrebbe rappresentare una risposta immunitaria troppo intensa e la lesione miocarditica è mediata da meccanismi immunitari simili a quelli descritti nelle tempeste citochiniche da Sars-Cov-2 e Mis-c». Perché il rilievo dovrebbe farci drizzare le antenne? Perché, appunto, lo «shot» del farmaco antivirus sembra aver mimato esattamente alcune delle conseguenze più temute del Covid - ovvero, della patologia da cui, in teoria, protegge. Inclusa la sindrome infiammatoria multisistemica, ossia, lo spauracchio che i pediatri agitano per convincere i genitori a far inoculare i loro figli: una patologia potenzialmente letale, cui i più giovani sono esposti in caso d’infezione da coronavirus. Le miocarditi e le pericarditi da vaccino sono rare? Ci mancherebbe: dovremmo festeggiare? Evviva, nessuna strage di giovani con i medicinali a mRna! I due adolescenti statunitensi sono stati particolarmente sventurati? Di sicuro. Se la sarebbero passata male lo stesso, se si fossero contagiati? Può darsi. Con buona pace di Bassetti & c., invero, ha poco senso paragonare la malattia al vaccino che da essa ci dovrebbe difendere: il Covid bisogna prenderlo, mentre il farmaco lo si assume (più o meno) volontariamente. Sono ordini di grandezza statistici diversi. Nel mondo ideale degli esperti, in cui il 100% della popolazione si vaccina e rivaccina, l’effetto collaterale, da colpo di sfortuna, si trasforma in regolarità matematica. Alla faccia delle miocarditi lievi, autolimitanti, curabili in pochi giorni: da Oltreoceano arrivano storie terribili. Casi sporadici - vivaddio! - ma parliamo pur sempre di adolescenti in salute, morti nel sonno come se avessero avuto 90 anni. E anche in Giappone segnalano problemi: l’11 febbraio, sul Journal of cardiology cases, è uscito uno studio sulla miocardite acuta che ha colpito un ventenne sanissimo, due giorni dopo la seconda dose di vaccino Moderna. Il ragazzo, fortunatamente, è sopravvissuto. Lo vadano a convincere che il suo malanno è «benigno», ora che presenta i segni di una «fibrosi irreversibile». La muscolatura cardiaca si è indurita e ciò può compromettere la funzionalità del cuore. Rischi e benefici delle inoculazioni andrebbero soppesati con attenzione, specie nelle fasi discendenti della curva epidemiologica, in presenza di una variante meno aggressiva e, soprattutto, per le fasce d’età che sono già di per sé poco vulnerabili al Covid. Da noi, al contrario, i meccanismi ricattatori si moltiplicano e si sovrappongono: il ventenne senza super green pass non può avere una vita sociale; lo scolaro, persino se vaccinato con due dosi da oltre quattro mesi, ma non sottoposto al richiamo, in caso di focolaio in classe, viene condannato altresì alla didattica a distanza. Eppure, proprio ieri, l’Associazione ospedali pediatrici italiani ha annunciato un calo del 18% dei ricoveri di bambini nel giro di un mese: adesso sono assistiti 172 pazienti, di cui 8 in terapia intensiva. È ragionevole, quindi, spingere con tale ossessività sulle «baby» iniezioni? Mettersi ad annunciare l’imminente sblocco delle punture per i neonati, considerato che Pfizer e Fda hanno preso altro tempo per esaminare meglio i dati? Tra l’altro, i numeri sono curiosi: degli ospedalizzati tra i 5 e i 18 anni, il 28,8% è vaccinato. In quel segmento di popolazione, a spanne, dovrebbe aver ricevuto almeno una dose circa il 60% dei «candidati». In termini di protezione dal ricovero, insomma, le iniezioni non sembrano aver dato la miglior prova di sé. Quando urge giustificare la prevalenza di vaccinati nei reparti, s’invocano le bizzarrie della statistica. Il paradosso di Simpson funziona a senso unico?
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