2024-12-01
Giorgio Battisti: «Putin vuole tutto il Donbass prima dell’arrivo di Trump»
Il generale: «Così Mosca dirà di aver compiuto la sua missione. Dopo l’ok di Usa e inglesi ai missili a lungo raggio, la Russia ha intensificato gli attacchi alle infrastrutture di Kiev».Giorgio Battisti è un generale dell’Esercito, ex comandante del Corpo d’Armata italiano di reazione rapida della Nato e attualmente presidente del dipartimento militare del Comitato atlantico italiano.Generale, qual è la situazione sul campo di battaglia ucraino?«Si assiste a una continua offensiva russa, iniziata sostanzialmente l’anno scorso, ottobre, su oltre i mille chilometri di fronte, che abbracciano i quattro oblast di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhya. L’esercito russo continua anche la sua controffensiva nel saliente di Kursk, occupato con quella rapida manovra ucraina a sorpresa lo scorso agosto. Gli ucraini hanno grosse difficoltà a contenere questi attacchi. Qualche analista teme che prima o poi il fronte possa cedere, nel senso che ci sia un’apertura del fronte che permetta ai russi, soprattutto nella zona di Kharkiv e quindi nell’oblast di Lugansk, di penetrare in profondità nel territorio ucraino a sud di Kharkiv e prendere alle spalle lo schieramento ucraino che sta nell’oblast di Donetsk».Un azzardo da parte dei russi o una strategia plausibile militarmente?«Ritengo che Vladimir Putin miri a riprendere tutto il territorio nel saliente di Kursk che è ancora in mano agli ucraini, tant’è vero che l’offensiva in quel saliente porta comunque a dei risultati positivi per le forze russe che hanno quasi dimezzato il territorio che è stato occupato dagli ucraini ad agosto, ma soprattutto che tenda a occupare il territorio rimanente del confine geografico degli oblast di Lugansk e del Donetsk per fare in modo che a gennaio, quando si insedierà il presidente Donald Trump, il Donbass sia completamente sotto il controllo russo e Putin possa dichiarare di avere assolto la missione che si proponeva all’inizio».Nel frattempo l’amministrazione Biden sta dando gli ultimi colpi di coda. Oltre a chiedere altri 24 miliardi al Congresso per Kiev, i democratici spingono perché l’Ucraina abbassi l’età di leva dai 25 ai 18 anni. «Sì, Biden dopo la sconfitta ha dato un’accelerata al rifornimento di armi, equipaggiamenti e munizioni agli ucraini, autorizzando anche l’utilizzo dei missili a media gittata Atacms per colpire in profondità il territorio russo a 300 km dalla linea di contatto. Idem la Gran Bretagna, che ha autorizzato il lancio dei suoi missili, anche questi con gettata di oltre 300 km, gli Storm Shadow. Per quanto riguarda l’età della leva, ritengo che Zelensky tema un’ulteriore fuga di giovani dall’Ucraina. Adesso da stime, io direi certe, in questi circa quasi tre anni di guerra, quindi oltre mille giorni, sono scappati circa 500.000 giovani ucraini per non andare a combattere al fronte. 500.000 sono tantissimi, di cui si stima che circa 300.000 siano sul territorio polacco».Persiste più che mai la carenza di manpower.«Sì, e non solo numerica ma anche qualitativa, perché gli addestramenti che conducono sia la Nato sia l’Unione europea in Polonia e in altri Stati europei sono molto accelerati. Si insegna il minimo indispensabile».E da parte russa? «Oltre all’arrivo di un contingente di truppe nordcoreane, tra i 10.000 e i 12.000 uomini, si parla adesso di quest’ultimo arruolamento, con l’inganno, di cittadini yemeniti che sarebbero stati convinti a recarsi in Russia per lavori civili, poi di fatto sono stati arruolati, vestiti e mandati a combattere al fronte. Potete immaginare questi yemeniti, che non hanno mai fatto il servizio militare, che provengono da una regione calda, sbattuti dopo un rapido addestramento sommario, in prima linea durante l’inverno russo, che rendimento possono avere. Diventano carne da cannone, servono soprattutto per aprire la strada alle unità russe. Putin ha fatto ricorso anche ai carcerati, che se combattono, e sopravvivono, poi ottengono l’amnistia. Un espediente quest’ultimo adottato anche dall’Ucraina».Malgrado l’altissimo livello della tecnologia bellica, c’è ancora quindi bisogno di migliaia di soldati da mandare in trincea.«Sì, un paradosso. Siamo nel XXI secolo, con l’Intelligenza artificiale, con le armi tecnologicamente sempre più avanzate, droni, missili di varia tipologia, con il sistema satellitare che permette di controllare il campo di battaglia, trasparente anche di notte, si è ritornati sul campo e sul terreno a modalità di lotta della Prima e della Seconda guerra mondiale, con queste grandi linee fortificate, combattimenti per conquistare trincee, avanzate di pochi chilometri giornalmente, e si lotta, e qua subentrano anche i civili, per difendere o per conquistare i centri abitati, e questo porta quantomeno a una grande massa di civili che devono scappare».La Russia era già stata data per sconfitta dal principio. Ipotesi smentita dalla realtà.«Putin è riuscito, a differenza della controparte occidentale, a dare un’impronta alla propria industria bellica, che lavora 24 ore al giorno per la produzione di armi, di armamenti e di equipaggiamenti. In Occidente non si riescono a produrre tutte quelle munizioni che noi, anche come Unione europea, abbiamo promesso all’Ucraina. Inoltre, l’autorizzazione di Usa e Uk a colpire in profondità il territorio russo, ha fatto sì che Mosca abbia risposto con una forte reazione. Nel caso specifico, con l’uso del missile balistico ipersonico a medio raggio Oreshnik. Tale mossa è un segnale per dimostrare che la Russia ha preso in considerazione di agire in modo pesante perché i suoi depositi, le sue infrastrutture critiche, vengono colpite in profondità. D’altra parte, in questi ultimi giorni il territorio di Kiev è stato colpito da 100 missili di varia natura e da oltre 400 droni, soprattutto per colpire infrastrutture critiche dell’Ucraina». Ritiene verosimile l’invio di truppe francesi e britanniche in Ucraina, come ripetuto da Emmanuel Macron? «Macron aveva ventilato già a marzo scorso la necessità di mandare truppe europee sul campo di battaglia. Per ammissione di fonti ufficiali britanniche, militari inglesi che assistevano le truppe ucraine nella pianificazione dell’operazione, non in prima linea, erano già state inviati. Anche per Macron le truppe francesi avrebbero dovuto assistere le forze ucraine, perché questo afflusso di equipaggiamenti sempre più sofisticati da parte occidentale, i sistemi contraerei, i sistemi di comando e controllo, tutta la catena logistica per assistere i mezzi, tipo i carri armati o altri equipaggiamenti, richiedono del personale altamente specializzato».L’Eliseo però ha ribadito la necessità di inviare uomini anche la scorsa settimana.«È facile che l’abbia fatto forse in modo provocatorio, però non è detto che non ci siano già, è chiaro che non c’è nessuna dimostrazione, non c’è nessun prigioniero fatto dai russi o nessun militare francese che abbia perso la vita. Ma bisogna tener conto che Macron, che prima del conflitto era stato un paio di volte da Putin per cercare di convincerlo a non invadere l’Ucraina, adesso è diventato uno dei più accaniti capi di Stato contro Mosca. Quindi è possibile che mandi truppe, ma difficilmente in prima linea. Indubbiamente se avvenisse questo sarebbe un grosso salto di qualità del conflitto perché vedrebbe direttamente coinvolto un Paese della Nato. Tuttavia, per ora, a quanto risulta ufficialmente, non ci sono soldati francesi sul territorio ucraino».L’offensiva ucraina nel Kursk è stato un harakiri per Kiev? «Diciamo che hanno fatto una valutazione che poi non ha trovato realtà sul terreno. C’è chi dice che abbiano condotto questa operazione, spettacolare dal punto di vista militare, come merce di scambio in caso di un cessato il fuoco e di un avvio di contatti diplomatici per cercare di risolvere il conflitto. Questa è la mia valutazione, che abbiano fatto questa puntata offensiva nel Kursk per fare in modo che la Russia spostasse truppe da quei mille chilometri di fronte nel saliente di Kursk in modo da allentare e rallentare quell’offensiva che è iniziata nell’ottobre dell’anno scorso. Cosa che non è avvenuta perché da un punto di vista militare lungimirante, Mosca ha preferito cedere il terreno in modo tale che arrivassero truppe da altri territori della Russia. Fonti riportano che siano stati richiamati soldati russi che erano impegnati in Africa per poterli schierare sul fronte di Kursk, ma non hanno spostato se non pochissime unità dai settori di Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhya. Ora gli ucraini continuano a perdere chilometri, anche se pochi, ogni giorno, con il rischio di essere chiusi in una sacca».L’allargamento della guerra nel cuore dell’Europa sembra fantascienza, eppure la Germania sta mappando i propri bunker…«Sì, le autorità tedesche, politiche e militari, hanno approntato un documento, si parla di mille pagine, di pianificazione che prevederebbe un conflitto sul fronte orientale con la Russia entro cinque anni, quindi hanno già pianificato le modalità di condotta di questa operazione di afflusso dei rifornimenti anche da parte di altri Paesi occidentali. Ciò è significativo, perché significa che si stanno preparando a un possibile conflitto con la Russia. È chiaro che il compito di un apparato militare è quello di pianificare tutte le possibili soluzioni future. In più, Berlino ha avviato il censimento di tutti i bunker disponibili in Germania, sia della Seconda guerra mondiale che della Guerra fredda, da usare in caso di conflitto con Mosca. E questo è molto più grave. Se la Germania, che tra i Paesi Nato è quella con un maggiore spirito pacifista, fa questi studi e questi progetti, significa che probabilmente considera fattibile un diretto coinvolgimento con la Russia. Ma del resto, qualche mese fa, il capo di Stato maggiore della difesa inglese aveva affermato che entro due anni sarebbero entrati in guerra con la Russia. Lui parlava per la Gran Bretagna, però è chiaro che quasi di conseguenza, rischierebbe anche di essere coinvolta l’Alleanza Atlantica. Questo dovrebbe farci un attimo riflettere».
Susanna Tamaro (Getty Images)
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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