2024-06-27
Giorgia fa valere la forza dei numeri. «No a logiche di caminetto nella Ue»
Il premier in Aula prima del Consiglio europeo sulle nomine: «Il voto ha bocciato le forze al potere in Francia, Germania e Spagna. La vecchia maggioranza è fragile, all’Europarlamento potrebbe andare in difficoltà».È una Giorgia Meloni che si scaglia contro l’«oligarchia» europea, quella che ieri ha preso la parola in entrambi i rami del Parlamento, per riferire sui contenuti del vertice Ue previsto per questo fine settimana. Un appuntamento importantissimo, poiché dovrà ratificare le nomine per le figure apicali dell’Unione, decise dai negoziatori scelti dai partiti della maggioranza uscente. Come è noto, dalla riunione di martedì è emerso un accordo per il bis di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, per la nomina dell’ex premier estone Kaja Kallas ad Alto Rappresentante per la politica estera e dell’ex premier portoghese Antonio Costa a presidente del Consiglio Ue. Il fatto, però, è che si tratta di un accordo di potere impostato sugli equilibri vigenti nella legislatura scorsa, i cui indirizzi politici sono stati sostanzialmente bocciati dall’esito delle ultime elezioni europee e, cosa ancor più rilevante, obbediente al desiderio del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron di tagliare fuori l’Italia dai negoziati. Per questo, buona parte dell’intervento del nostro premier è stata riservata al metodo usato da Ppe, Pse e Liberali, una logica da «caminetto» che non vuole tenere conto del fatto che il loro consenso complessivo si è assottigliato e la maggioranza per rieleggere Ursula è quantomai «ballerina». «Se c’è un dato indiscutibile che arriva dalle urne», ha affermato il presidente del Consiglio, «è la bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze al governo in molte delle grandi nazioni europee, che sono anche in molti casi le forze che hanno impresso le politiche europee degli ultimi anni. I partiti al governo hanno ottenuto il 16% in Francia, il 32% in Germania, il 34% in Spagna». «Solo in Italia», ha aggiunto, «il 53% degli eletti è espressione delle forze di governo». «Nessun autentico democratico che creda nella sovranità popolare», ha incalzato Meloni, «può in cuor suo ritenere accettabile che in Europa si tentasse di trattare sugli incarichi di vertice ancora prima che si andasse alle urne. E poi ci si stupisce dell’astensionismo». Ecco perché, per il presidente del Consiglio, «l’errore che si sta per compiere con l’imposizione di questa logica dei caminetti, con una maggioranza tra l’altro fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura, è un errore importante non per la sottoscritta oppure per il centrodestra, neanche solo per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte o che la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose». Un’Europa, insomma, che vuole «nascondere la polvere sotto il tappeto, troppo uguale a sé stessa e autoreferenziale, come se nulla fosse accaduto, che non ha adeguato la propria strategia nonostante lo scenario mondiale attorno fosse mutato». Un’Europa che decide «cosa mangiare, quale automobile utilizzare e come ristrutturare la casa», che si è trasformato in un «gigante burocratico incline a scelte ideologiche che hanno allontanato cittadini e istituzioni comunitarie». Il premier, entrando maggiormente nel merito della questione del sostegno parlamentare alle nuove nomine, ha ricordato che l’Ecr è divenuto il terzo gruppo a Strasburgo e «i top jobs sono stati normalmente affidati tenendo in considerazione i gruppi con la dimensione maggiore e, quindi, tenendo in considerazione il responso elettorale, indipendentemente da possibili logiche di maggioranza o opposizione». «Una sorta di “conventio ad excludendum”», ha concluso, «in salsa europea che, a nome del governo italiano, ho apertamente contestato e che non intendo condividere».Al di fuori dei temi contingenti, importante il richiamo del premier alla fedeltà all'alleanza atlantica e alla collocazione filo occidentale dell'Italia: «Dobbiamo ricordarci», ha detto, «che libertà e sicurezza hanno un costo e che dobbiamo essere capaci di esercitare la deterrenza costruendo un solido pilastro europeo della Nato accanto a quello statunitense. L’Italia si farà interprete di questa visione». Nel corso del dibattito che ha seguito l’intervento del premier, sia alla Camera che al Senato, hanno preso la parola i leader dell’opposizione, a partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein: «Mi aspetto che nella discussione di domani (oggi, ndr)», ha detto la leader dem, «porti le priorità del Paese e non della sua famiglia politica, perché spesso le due cose non coincidono». «Non si lamenti», ha aggiunto, «se nel Parlamento europeo dove la democrazia conta e i socialisti hanno più deputati di voi ci opponiamo a qualsiasi alleanza con voi e con i vostri alleati che non credono nell’Ue». Giuseppe Conte ha invece insistito sul commissario di peso che dovrà ottenere l’Italia: «L’abbiamo vista cambiare idea un po’ su tutto», ha detto, «nessuno si stupirebbe di una nuova clamorosa incoerenza, e allora conviene andare in Europa con forza e determinazione, vada a prendersi un posto di prestigio che spetta di diritto all’Italia, Paese fondatore. E magari questa volta», ha concluso, «non affidiamolo a un parente o a un sodale di partito ma a una persona competente, applichi il principio di meritocrazia». Al Senato, è stata la volta di Matteo Renzi: «Non mi faccia difendere la sinistra», ha detto rivolgendosi ai banchi del governo, «ma se vuole sapere chi non l’ha chiamata ai caminetti, si giri piano piano verso destra e guardi il ministro Tajani, è Tusk che ha detto “non voglio parlare con Meloni”, ed è iscritto al Ppe». In sede di replica, Meloni ha voluto rispondere a Schlein: «Sono fiera», ha detto, «che sia finita la stagione dell’Italia che viene schierata dalla parte dove interessa Pd. La schiero anche con l’Europa, perché penso che fare valutazioni e proposte sia l’atteggiamento che debbano tenere coloro che vogliono migliorare il processo di integrazione europea».