2020-09-15
«Giocare coi virus è inutile. Anzi, pericoloso»
Lo scienziato americano Richard H. Ebright, da vent'anni denuncia le insidie delle ricerche ad alto rischio: «Molti virologi ricevono miliardi per studi privi di utilità. La scienza è avida e opportunista. Gli Usa condividono le responsabilità di un eventuale incidente nello Hubei».Possiamo considerare i coronavirus e gli altri virus delle cosiddette malattie infettive emergenti, almeno potenzialmente, come armi biologiche? La risposta è un secco: «Yes, sì». Richard H. Ebright, 61 anni, è un noto scienziato americano - biologo molecolare, direttore di laboratorio del Waksman Institute alla Rutgers University - fuori dal coro. Da vent'anni denuncia il pericolo delle ricerche ad alto rischio e «del tutto inutili». In queste dieci risposte chiama in causa la Cina ma anche gli Stati Uniti. E, rompendo l'omertà, punta il dito contro «l'avidità e l'opportunismo» di troppi colleghi. Lei ha lanciato l'allarme fin dal 2001-2002 dicendo che la proliferazione di istituzioni e persone che hanno accesso agli agenti patogeni da considerare armi biologiche avrebbe potuto portare al disastro. Perché, e perché non è stato ascoltato? «Persone che hanno ricevuto centinaia di milioni di dollari negli Stati Uniti per sostenere ricerche, ad alto rischio e senza risultati utili, per la sorveglianza dei virus, e che oggi chiedono in aggiunta altri miliardi di dollari per ricerche sulla sorveglianza dei virus ad alto rischio e senza benefici, omettendo la conclusione che queste ricerche non producono nessuna informazione utile per prevenire le pandemie, sono una motivazione forte.Il sottobosco di virologi che svolgono ricerche cosiddette “gain-of-function" (ricerche dirette ad aumentare la trasmissibilità, la letalità o l'abilità di potenziali agenti patogeni a superare la risposta immunitaria), evitando restrizioni dei finanziamenti, evitando il rafforzamento di adeguati standard di biosicurezza ed evitando di adottare appropriati sistemi di supervisione delle ricerche, sono motivazioni forti».(Fa una pausa, prima di rispondere all'ultima parte della domanda). «L'avidità e l'opportunismo sono forti motivazioni nella scienza, così come in altri settori». Quale è il rischio più grosso di queste ricerche e di laboratori come quello di Wuhan e di molti altri sparsi per il mondo? «L'accidentale o deliberato rilascio di un agente pandemico, innescando una pandemia globale». Lei ha detto che nel laboratorio di Wuhan gli esperimenti con i coronavirus erano condotti al livello di sicurezza P2 e non ai livelli P3 e P4. Corretto? «Prima dell'epidemia, tutti i coronavirus eccetto quelli della Sars e della Mers erano trattati a livello di biosicurezza P2 (BSL-2).Come risultato, i coronavirus dei pipistrelli al Centro di controllo e prevenzione e all'Istituto di virologia di Wuhan usualmente erano raccolti e studiati al livello BSL-2 che prevede solo minime protezioni contro le infezioni per il personale di laboratorio, invece dei più alti livelli di biosicurezza richiesti per un lavoro sicuro nella raccolta, nella coltura e nell'isolare i virus e nell'infettare cavie animali con un agente che abbia le caratteristiche di trasmissione di quello dell'epidemia. Questo costituisce un alto rischio di infezione accidentale di un addetto al laboratorio e, dall'addetto di laboratorio, del pubblico. A luglio Shi Zeng-li, la scienziata cinese ormai nota come «Batwoman», a Science ha risposto che per certo il Sars-CoV2 non è fuggito dal suo laboratorio di Wuhan. E ha ricordato il famoso studio pubblicato a marzo su Nature Medicine che ha confermato, senza dubbio, che il virus ha origini naturali. Cosa ne pensa?«A proposito di Shi: rifiutare un assunto non significa confutarlo. Quanto all'editoriale di Nature Medicine, è solo un'opinione. (Non è uno studio scientifico, e non presenta nessun dato scientifico nuovo). Un'opinione anche non è una confutazione». Shi Zeng-li ha anche affermato a Science che «a oggi nessuno degli abitanti» vicini alle cave piene di pipistrelli «è stato infettato da coronavirus». Come ha documentato La Verità invece in una analisi sierologica del 2018 Shi Zeng-li parlava di sei contadini residenti vicino alle miniere abbandonate positivi ai coronavirus… «La dichiarazione di Shi è falsa. Quanto afferma è contraddetto dai suo lavori pubblicati. Nello studio scientifico del 2018, Shi riferisce che il 2,7% degli abitanti dei villaggi che vivono a contatto con le colonie di pipistrelli vicino alla contea di Moijang, nella striscia sud-occidentale del distretto di Jinning, mostra una sieropositività ai “SARSlike coronavirus" (coronavirus simili a quello della Sars, ndr), il che indica una passata infezione con questi virus».Il governo francese fin dal 2003 ha strettamente collaborato con il laboratorio di virologia di Wuhan, così come l'Animal Health Laboratory australiano. Alcuni dei principali collaboratori di «Batwoman» sono stati addestrati al centro di ricerche Csiro in Australia… «Il problema è mondiale. Le strutture del laboratorio al Wuhan Institute of virology sono state costruite dal punto di vista architettonico, ingegneristico e finanziario con l'aiuto della Francia, il personale del Wiv è stato addestrato da Francia e Stati Uniti, e le ricerche, ad alto rischio e con scarsi benefici, per la sorveglianza dei coronavirus nonché le ricerche «gain-of-function» sempre al Wiv sono state in larga parte finanziate dagli Stati Uniti». Nel 2017 i servizi segreti francesi misero in guardia che la corsa a questi esperimenti e l'aumento del numero di persone con accesso a virus letali aumentavano i rischi di bioterrorismo e di guerra batteriologica. «Sfortunatamente, le preoccupazioni non sono state largamente condivise e non hanno impedito l'apertura della struttura a Wuhan». Secondo il sito Propublica nei laboratori americani «negli ultimi anni si sono verificati numerosi incidenti sfiorati, con coronavirus modificati geneticamente» con almeno quattro addetti infettati. «Gli incidenti di laboratorio con potenziali agenti pandemici sono comuni. In tutto il mondo». Con quale credibilità gli Stati Uniti possono chiedere alla Cina di dire la verità? «Gli Stati Uniti hanno co-finanziato le ricerche e hanno co-addestrato il personale di laboratorio. Così, condividono la responsabilità di un possibile incidente. Gli Stati Uniti hanno bisogno di riconoscere - non di negare - le proprie responsabilità e poi hanno bisogno di lavorare con - non contro - la Cina per condurre un'aperta, trasparente e complessiva indagine forense sulle origini della pandemia».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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