2024-01-22
Esce Rombo di tuono ma il sostituto non c’è
Gigi Riva. Leggiuno (Varese), 7 novembre 1944 - Cagliari, 22 gennaio 2024 (Ansa)
Il trascinatore dello storico scudetto del Cagliari e dell’Europeo 1968 con la maglia azzurra se n’è andato ieri a 79 anni. Ci lascia tanti gol, poche parole e il coraggio di non tirare mai indietro la gamba. Tre volte capocannoniere in Serie A, sfiorò il Pallone d’oro. «La notizia del grave incidente occorso a Gigi Riva mi è discesa nell’anima a tradimento, come un’amara colata di assenzio. Istintivamente ho riudito i lamenti di Garcia Lorca per il suo amico Ignacio riverso nell’arena», scriveva nel 1976 la penna immaginifica di Gianni Brera, commentando il ritiro dal calcio giocato di Rombo di tuono. Trentadue anni soltanto, un addio dopo l’ennesimo infortunio e dopo 247 gol su 441 partite disputate in carriera. Così il più noto giornalista sportivo italiano, gran lombardo proprio come Luigi Riva detto Gigi da Leggiuno, provincia di Varese, aveva soprannominato il formidabile mancino che trascinò il Cagliari alla conquista dell’unico scudetto della sua bacheca, e la nazionale italiana al titolo di campione d’Europa nel 1968, mancando i Mondiali di un soffio, nel 1970, quando gli azzurri di Ferruccio Valcareggi le buscarono in finale dal Brasile di Pelè. Rombo di tuono domenica sera si è sentito male in famiglia, i parenti hanno chiamato i soccorsi e poi la volata in ambulanza: infarto. Ma lo storico centravanti ha tenuto botta. Ricoverato all’ospedale Brotzu di Cagliari, fuori una città col fiato sospeso, sembrava essere riuscito ancora a liberarsi della marcatura: «Il paziente è sereno e le sue condizioni generali sono stabili. Attualmente è sotto sorveglianza del personale sanitario», recitava un bollettino medico che lasciava intendere la necessità di un’operazione. Ma non c’è stato tempo: in serata è arrivata la notizia del decesso improvviso, a 79 anni. Riva si è congedato dopo decenni di calcio superbo, prima da protagonista e poi da dirigente dietro le quinte, in quello sport che fermamente considerava un mestiere da artigiano cesellatore, quasi mai un gioco, lui che alle ridondanze barocche dei commenti metafisici da sempre preferiva le poche parole, i lunghi silenzi, la baldanza mostrata solamente in campo.«Mi piacciono gli attori come Clint Eastwood perché parlano poco ma dicono molto», ammise durante un’intervista per parafrasare il suo approccio alle faccende terrene. E in effetti, il paragone col pistolero più micidiale di Hollywood calza eccome. Persino nelle anomalie, nelle scelte da outsider compiute senza provare rimpianti. Prima tra tutte quella di diventare bandiera dei rossoblu sardi, rifiutando con sicurezza masochista le sirene di Milan, Inter e soprattutto Juventus. Si dice che per assicurarsi le sue prestazioni, l’avvocato Gianni Agnelli incaricò il presidente bianconero, Giampiero Boniperti, di offrire al Cagliari 2 miliardi di lire - cifra mostruosa per gli anni Settanta - oltre a Bettega, Gentile e Cuccureddu. Lui rispose forse con falsa modestia: «Non me la sento di valere tanto». Immaginatevi una frase del genere pronunciata oggi da un Leao qualunque. Ma il no più clamoroso lo disse fuori dall’erba. Franco Zeffirelli lo voleva a tutti i costi per interpretare San Francesco nel film Fratello sole e sorella luna, il compenso sarebbe stato 400 milioni di lire. «Fare l’attore non è il mio mestiere», si schermì, dribblando la proposta nonostante l’amore dichiarato per Eastwood. Sarà che l’icona sacra era già interpretata in Serie A da Gianni Rivera, detto «l’abatino» per la sua prudenza da mistagogo, sarà che da giovincello Riva fu spedito dalla famiglia in collegi gestiti da religiosi, dove «fino a quando non finivi di pregare, non ti davano da mangiare, per questo avevo una gran voglia di scappare». L’approdo a Cagliari da calciatore è, del resto, la storia di una fuga. In casa di danè non ce ne sono, nel 1953 il padre Ugo, operaio di fonderia, muore in un incidente di lavoro. La madre fatica a sbarcare il lunario in filanda, c’è lui e ci sono le tre sorelle maggiori, gli anni di quasi indigenza gli mostrano nella carriera da calciatore, cominciata sui campi della parrocchia di San Primo, al suo paese, l’azzardo necessario a cercare una svolta. Nei tornei estivi giganteggia, non vince danari ma porta a casa uova, formaggi, salumi. «Li avrai mica rubati?», domanda preoccupata mamma Edis. Lo notano i dirigenti del Legnano, serie C, lo convincono a debuttare con la loro casacca: 37.000 lire al mese, un abbonamento ferroviario pagato, un piccolo appartamento incluso nel contratto. A lui pare tutto l’oro del mondo. Regala alla madre un televisore, lei non fa in tempo a goderselo, muore pochi mesi dopo. Ennesima pedata esistenziale a uno che i calci, soprattutto col sinistro, dimostra di saperli dare, imprimendo al pallone velocità e traiettoria fuori portata per la maggior parte dei portieri. Col destro si appoggiava per salire sul tram, insinuavano i maligni, ma col sinistro diventava barbaro come Brenno quando conquistò Roma. Il 13 marzo del 1963, Riva debutta all’Olimpico vestendo la maglia della nazionale Juniores contro la Spagna. Realizza il gol del 3-2 per l’Italia, i grandi capi del Cagliari lo osservano e lo acquistano dal Legnano per 37 milioni. Si fa avanti pure il Bologna, ne offre 50, ma ormai la trattativa è conclusa.La Sardegna del tempo non è quella del Billionaire, della vita smeralda e dei lussi per milanesi in trasferta. È terra impervia, ci mandano i carabinieri e i militari in punizione, ci si trovano bene, si dice, banditi e pecorai. Nell’animo del giovane attaccante, la riluttanza degli inizi si trasforma in certezza di aver compiuto la scelta giusta. Riva mette il mare tra la sua nuova casa e la terra natìa, che considera intrisa dei ricordi di fatiche titaniche e malasorte. Alla corte dell’allenatore Manlio Scopigno, detto «il filosofo» per le battute che trasudano saggezza aristotelica, si mette in luce: parte dalla posizione di ala sinistra per poi convergere e concludere a rete, spesso saltando in velocità il marcatore diretto, sfruttando la potenza fisica nello scatto. Vince con il Cagliari un incredibile scudetto nella stagione 1969-70. Con lui in rosa militano Albertosi, Domenghini, Cera, Bobo Gori, Nenè. Il riscatto per la Sardegna tutta passa attraverso i suoi piedi, al punto che, racconta lo scrittore Giulio Angioni, un giorno Riva si trovò a registrarsi nell’albergo di una nazione esotica. Era lì in vacanza. Il concierge non riesce a decifrare sul passaporto la parola Cagliari, poi lo squadra, riconosce il nome del giocatore, non batte più ciglio, «Ah, Gigi Riva, Cagliari football», gli risponde tutto contento. Persino Graziano Mesina, il nemico pubblico numero uno in Sardegna, è un suo grande tifoso. Oltre al sardo d’adozione Fabrizio De André. Proprio nel 1969 non agguanta di un soffio il Pallone d’oro, vinto da Rivera con soli quattro voti in più. Ma i numeri restano impressionanti: tre volte capocannoniere di Serie A, nel 1967, nel 1969 e nel 1970, tre volte di Coppa Italia. Nel 1999 la rivista World Soccer lo colloca al numero 72 dei primi 100 calciatori del XX secolo. Nel 2005 è inserito nella Golden foot, la classifica delle leggende del calcio. Con la nazionale si spreme come un limone, 35 reti su 42 presenze totali, record imbattuto. Nel 1967 lo pestano duro in un match col Portogallo, nel 1970 lo falciano gli austriaci, rischia di rimetterci un arto, ma «se devo giocare per tirare indietro la gamba, allora non vado nemmeno allo stadio». Il trofeo più importante è l’Europeo del 10 giugno 1968. L’Italia batte la Jugoslavia all’Olimpico nella seconda partita. La prima era terminata in parità e i calci di rigore non erano previsti. Riva segna dopo 12 minuti, Anastasi raddoppia. Il trofeo entra nella bacheca nazionale per la prima volta.Nel 1970 si disputano i drammatici Mondiali in Messico, la semifinale con la Germania vede i nostri prevalere 4-3 ai supplementari e lui realizza il terzo gol con un diagonale sinistro che infila il portiere Mayer. In squadra ci sono Rivera e Mazzola, «avercene di giocatori così in rosa, oggi non ci sarebbe alcuna staffetta, giocherebbero entrambi». Il Brasile stravince per 4-1, gli italiani sono esausti e poco abituati alle alture messicane. Dopo il ritiro, la carriera da dirigente del Cagliari sotto diverse proprietà, ricoprendone la massima carica nel 1986 e quella di presidente onorario dal 2019. Dal 1990 è stato team manager della nazionale, ricoprendo diversi ruoli in seno agli azzurri, con i quali ha contribuito alla vittoria dei Mondiali 2006. Uno dei suoi pupilli è sempre stato Roberto Baggio: schivo come lui, tonitruante vicino alla rete. Una specie di Rombo di tuono.