2024-02-16
I magistrati aboliscono la normalità. Sui documenti tornano i genitori 1 e 2
La Corte d’appello di Roma boccia un decreto del Viminale del 2019, guidato all’epoca da Matteo Salvini: «Vanno rappresentate tutte le configurazioni dei nuclei familiari». Il leghista: «Assurdo e riprovevole».Basta madre e padre sui documenti. Non sia mai che qualcuno si offende con la natura. La Corte d’appello di Roma ha deciso che il ministero dell’Interno deve usare la dicitura «genitori», anche con il numero di serie (a quando il codice a barre?), in luogo di «padre e madre». Un assist in piena regola alle rivendicazioni di alcune coppie gay, che si erano opposte a un decreto del 2019, firmato dall’allora ministro Matteo Salvini. Per il leader della Lega, «cancellare per legge le parole mamma e papà è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso». A dare la notizia della vittoria in tribunale è stata l’associazione Famiglie Arcobaleno. La Corte d’Appello della capitale ha di fatto ribaltato il decreto del Viminale e prescrive di usare la dicitura «genitori», o un’altra formula che corrisponda al genere del genitore, sulle carte d’identità elettroniche rilasciate ai ragazzi minorenni. Per i giudici romani, la norma del 2019 che reintroduceva i termini «madre» e «padre» sarebbe in contrasto con la Costituzione: «Non possono trovare assolutamente ingresso le obiezioni formulate dal ministero perché in contrasto persino con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 30 I comma». Sempre nel dispositivo, i giudici osservano che «l’esistenza di istituti come l’adozione nei casi particolari, che può dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso (l’uno naturale, l’altro adottivo) dimostra che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non sono rappresentative di tutte le - legittime - conformazioni dei nuclei familiari e della conseguente filiazione imposta dai modelli ministeriali». Ovviamente, però, la battaglia non nasce dai genitori adottivi in quanto tali. Come ha raccontato l’associazione Famiglie Arcobaleno, cinque anni fa una coppia di mamme omosessuali si era rivolta prima al Tar del Lazio e poi al Tribunale di Roma, chiedendo che la carta d’identità della loro bambina rispecchiasse «la reale composizione della loro famiglia» e sostenendo che il documento emesso con la dicitura «madre e padre» potesse costituire «gli estremi materiali del reato di falso ideologico in atto pubblico, a carico del pubblico ufficiale». La sentenza d’appello dà loro ragione e Alessia Crocini, presidente dell’associazione, può piantare una nuova bandierina con un distinguo: «Quel decreto legge peccava di ideologia. Nessuno di noi vuole cancellare la dicitura “madre e padre” dai documenti, ma non vogliamo escludere i bimbi delle nuove famiglie. Tanto meno creare problemi a chi viaggia oltre frontiera e rischia un fermo perché il documento è falso». Sul fronte opposto, Pro vita & Famiglia rimarca che per l’ennesima volta si prendono decisioni e si fanno battaglie sulla pelle dei minori, per far accettare nuove frontiere e nuove idee di famiglia. Jacopo Coghe, portavoce della onlus, attacca le toghe romane: «La Corte d’Appello di Roma decide sulla pelle dei bambini, eliminando la mamma e il papà. Una decisione pericolosa perché si legittimano due donne o due uomini ad essere entrambi “genitori” dello stesso bambino». Per Pro vita & Famiglia, «tutto ciò mette in luce un problema che sta a monte, ovvero quello dei registri dello Stato civile dove l’omogenitorialità viene talvolta legittimata». «Chiediamo quindi al Parlamento una legge che ribadisca che ogni bambino nasce da una mamma e un papà», conclude l’associazione cattolica, e che sancisca una volta per tutte che «“due madri” o “due padri” non esistono in natura né dovrebbero esistere nell’ordinamento giuridico». Esulta invece Riccardo Magi, segretario di +Europa, per il quale «la dicitura genitore 1 e genitore 2 sui documenti dei minori è legittima e corretta. In sostanza è stato bocciato il decreto omofobo e discriminatorio di Salvini del 2019». Soddisfatta anche Marilena Grassadonia, responsabile libertà e diritti di Sinistra Italiana, che parla di rivincite: «Ancora una volta sono i tribunali a restituire dignità alla vita delle persone Lgbt+. Adesso bisogna ristabilire la dicitura genitori, l’unica corretta, sulle carte di identità dei minorenni». All’epoca del decreto contestato, nella maggioranza gialloverde vi furono pochissime prese di distanza. Tra queste, il ministro Giulia Bongiorno («Sinceramente non era una priorità») e Chiara Appendino di M5s. Oggi, tirato in causa direttamente, Salvini non si sottrae e parla di «decisione sbagliata» da parte delle toghe. Il ragionamento del vicepremier è che «ognuno deve sempre essere libero di fare quello che vuole con la propria vita sentimentale, ma certificare l’idea che le parole “mamma” e “papa” vengano cancellate per legge è assurdo e riprovevole. Questo non è progresso». Eppure ancora una volta il «progresso» passa dallo svuotamento e dall’edulcorazione delle parole. Il meccanismo funziona a meraviglia nel marketing, dove termini già abbastanza idioti o antipatici come «esclusivo» e «premium» vengono sempre più accostati a consumi di massa e standardizzati. E opera con ancora maggior efficacia in economia, dove le morti sul lavoro sono diventate «bianche» (ma nessuno ha il sangue di quel colore, neppure se profondo consumatore di cocaina) e le donne e gli uomini in carne e ossa da scaricare diventano «esuberi». E così, in attesa di «genitore 3» e «genitore 4», intanto meglio annacquare il concetto di genitorialità. Un concetto che ha dei limiti fissati dalla natura, la stessa natura matrigna che esclude i ghiacciai dal diritto di prendere fuoco, e che forse alla fine, ammettiamolo, non è perfettamente inclusiva.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.