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2022-12-22
Gas e inflazione le vere emergenze. Ma lì l’opposizione può solo tacere
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Con una trasparenza ammirevole, ieri, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è intervenuto alla convention di Coldiretti e ha condiviso con tutti i presenti una preoccupazione che La Verità cerca di raccontare da settimane. «Siamo consapevoli che, probabilmente, tra due mesi saremo ancora alle prese con qualche misura da fare, se la situazione non si risolve come temo non si risolverà nel brevissimo tempo; e, come fatto dai governi precedenti, la situazione dovrà essere aggiornata costantemente e continuamente per dare queste risposte». In altre parole ha spiegato che stiamo continuando a vivere due grosse problematiche: «L’energia, che ha raggiunto picchi incredibili e rimane una sfida ancora da risolvere; e poi l’inflazione, da un lato, che è una brutta bestia, e dall’altro l’aumento dei tassi d’interesse che implica sul bilancio dello Stato una cautela e un’attenzione che deve essere massima», ha concluso usando per entrambe le problematiche il termine «emergenze». Su questo ci permettiamo di dissentire. I picchi di prezzo energetico e l’inflazione sono problemi strutturali, che certamente si smusseranno nel breve termine, ma che comunque manterranno una linea di crescita ben al di sopra dei parametri che abbiamo conosciuto tra il 2000 e il 2019.
Aver quindi destinato circa due terzi dell’intero budget della manovra in via di approvazione a contrastare il caro bollette a favore di aziende e famiglie è significato andare in scia alle scelte di Mario Draghi senza prendere atto che lo schema proposto dall’Europa - per capirsi un price cap che non potrà mai funzionare salvo portare a ulteriore volatilità sui mercati o tagli ai consumi - non potrà mai garantire effetti pratici. Salvo infilare il sistema produttivo in un cul de sac. Salvo, quindi, portare le aziende italiane a chiudere i battenti non potendo più esportare.
Vale per l’acciaio così come per tutta l’industria pesante. Se il governo si attende un cambio di prospettiva da parte di Bruxelles rischia di scottarsi e farsi molto male. Ecco, perché da ora dovrebbe dichiarare che cosa avrà intenzione di fare dopo la fine di marzo, quando gli aiuti in manovra saranno esauriti. Possiamo immaginare di fare scostamento di bilancio per mettere un’altra toppa? Per carità si può fare. Ma la verità è che bisogna smettere di intervenire a valle e non a monte rispetto al problema. E il problema si chiama approvvigionamento energetico. Come sostituire il gas russo con altro oro azzurro che costi più o meno la stessa cifra e sia di simile quantità? Il mercato del Gnl non è sufficiente.
L’Africa, al contrario, è un continente interessante per l’Italia. Ma non si sta in Africa con la diplomazia dei pasticcini. Si sta là con l’uso sapiente delle forze armate e di un nuovo modello di cooperazione. Bisogna cambiare mentalità e accettare che per avere energia bisogna essere potenze militari. E gestire i propri fondi direttamente, spendendoli solo dove ci conviene. Ogni anno l’Italia stanzia circa 4 miliardi per la cooperazione e lo sviluppo. Il 70% abbondante finisce in canali multilaterali, quali l’Ue, la banca mondiale o Ong che fanno riferimento comunque a Bruxelles. La proporzione va invertita. Roma deve decidere a chi fare beneficenza. Quali tribù sostenere e deve affidarsi di più allo Stato maggiore della Difesa. Se i nostri militari addestrano colleghi africani, bisogna consentire ai nostri generali di gestire i fondi necessari per poi vestire i militari africani. Fornire loro tutto ciò che serve, anche tecnologia condivisibile. Così si creano legami duraturi. Altrimenti noi li addestriamo e poi arriva qualcun altro che li veste e li arma e si becca i benefici. Riteniamo che i temi dell’energia e dell’inflazione siano i veri dossier su cui i politici debbano perdere il sonno. Non ci sono soluzioni facili, ma solo soluzioni di sistema che richiedono tempo e ampia partecipazione, dall’Eni allo Stato maggiore della Difesa, alle imprese fino alla Farnesina.
Eppure, nonostante il nostro punto debole sia evidente e scoperto, l’opposizione continua a sollevare polveroni su presunte polemiche con non smuovono la manovra di un euro, né l’attuale crisi di un centimetro. Così l’opposizione batte sul Pos, sul bonus ai diciottenni e via dicendo. Invece che infilare il dito nella piaga del caro energia. Certo, noi sappiamo che, a partire dal Pd, chi sta all’opposizione non può permettersi di criticare le scelte di questo governo sulle misure anti bollette. Non può perché finirebbe con il contraddirsi, ma soprattutto finirebbe con il dover criticare le scelte dell’Europa. Vorrebbe dire per loro ammettere il fallimento della gestione di Bruxelles e al tempo stesso chiedere di imboccare un’altra strada. Ma il Pd dopo aver perso i voti non può permettersi di perdere anche la protezione di Bruxelles.
Ricette e Spid, tanto caos per nulla
La solita tempesta in un bicchier d’acqua all’italiana. Di quelle che accompagnano ogni legge di bilancio ma con l’aggravante, stavolta, che le priorità sono drammaticamente note ai più ma incredibilmente periferiche rispetto al dibattito sul mainstream mediatico. Nel momento in cui bisognerebbe parlare a ciclo continuo di come trovare le risorse per attenuare gli effetti della crisi energetica, che per stessa ammissione di alcuni esponenti dell’esecutivo potrebbero avere il fiato corto, le polemiche che monopolizzano l’agenda politica hanno riguardato prima il Pos e poi la app per gli acquisti culturali dei diciottenni. Che, se non altro, erano questioni reali, su cui maggioranza e opposizione hanno espresso punti di vista divergenti.
Il salto di qualità verso la «fuffa» assoluta è arrivato però con le ultime due polemiche in ordine di tempo, perché in questo caso alla base non c’era nemmeno l’annuncio di una possibile misura da parte del governo. Negli ultimi due giorni, infatti, la vis polemica di più di un esponente dei partiti di minoranza si è esercitata nel bersagliare la presunta intenzione del governo di farla finita con le ricette mediche elettroniche e addirittura con lo Spid, il sistema di identificazione digitale che ha avuto enorme impulso nel corso della pandemia.
La cosa bella, però, è che la genesi della polemica ha un che di misterioso, poiché agli atti mancano dichiarazioni univoche (e per la verità anche sibilline) di politici di maggioranza che abbiano criticato o le ricette elettroniche o la validità dello Spid.
A innescare il cortocircuito forse è bastata qualche affermazione non compresa sul fatto che per le ricette occorreva una proroga, visto che la piena legittimità di quelle elettroniche era stata sancita nel corso della pandemia, essendo i pazienti impossibilitati a spostarsi di persona negli ambulatori per ritirare la ricetta cartacea. Era stata un’ordinanza della Protezione civile a «sdoganare» la prescrizione elettronica (che per alcune fattispecie era prevista già dal 2011) per cui ora serviva un atto del governo per prolungarne la validità. Cosa che è arrivata ieri dal Cdm con l’inserimento nel Dl Milleproroghe della possibilità, ancora per un anno, di ricevere le ricette mediche via mail o sms. Forse è bastato che qualche addetto ai lavori facesse presente da una parte l’esigenza di stabilizzare la misura e allo stesso tempo di prevedere protocolli di sicurezza più severi per evitare la violazione della privacy, per far gridare +Europa e M5s al «ritorno al Medioevo» o alla «guerra al progresso».
E c’era già chi, come il candidato del Pd e del Terzo polo alla presidenza della Regione Lazio, nonché assessore alla Sanità della dimissionaria giunta Zingaretti, Alessio D’Amato, aveva già annunciato via social che la sua Regione avrebbe comunque mantenuto la ricetta elettronica, in barba alle intenzioni del governo centrale di toglierla.
Ancora più kafkiana la querelle sullo Spid, di cui sono in possesso ormai 34 milioni di italiani, che c’era prima della pandemia e non corre certo il rischio di abolizione. In questo caso c’è chi si è limitato - condivisibilmente o meno - a evidenziare la complicatezza della procedura per ottenere l’identità digitale e per esercitarla, che in effetti non è proprio intuitiva: «Stiamo cercando», aveva detto nei giorni scorsi il capogruppo alla Camera di Forza Italia Alessandro Cattaneo, «il modo di risolvere alcune criticità piuttosto che girarci dall’altra parte». In questo caso non ha perso occasione per farsi notare il ras campano Vincenzo De Luca, che invece ha attaccato coi consueti modi tranchant lo Spid, definito una «bestialità».
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Il ministro Giancarlo Giorgetti ammette: altri interventi di bilancio in futuro per la crisi dell’energia. A rischio la nostra capacità produttiva. La sinistra, per non attaccare l’Ue, preferisce sollevare polemiche su temi minimali.Ricette e Spid, tanto caos per nulla. Una tempesta in un bicchier d’acqua: la certificazione online prorogata di 12 mesi. Nessuno ha annunciato l’abolizione dell’identità digitale, ma solo un «tagliando».Lo speciale comprende due articoli.Con una trasparenza ammirevole, ieri, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è intervenuto alla convention di Coldiretti e ha condiviso con tutti i presenti una preoccupazione che La Verità cerca di raccontare da settimane. «Siamo consapevoli che, probabilmente, tra due mesi saremo ancora alle prese con qualche misura da fare, se la situazione non si risolve come temo non si risolverà nel brevissimo tempo; e, come fatto dai governi precedenti, la situazione dovrà essere aggiornata costantemente e continuamente per dare queste risposte». In altre parole ha spiegato che stiamo continuando a vivere due grosse problematiche: «L’energia, che ha raggiunto picchi incredibili e rimane una sfida ancora da risolvere; e poi l’inflazione, da un lato, che è una brutta bestia, e dall’altro l’aumento dei tassi d’interesse che implica sul bilancio dello Stato una cautela e un’attenzione che deve essere massima», ha concluso usando per entrambe le problematiche il termine «emergenze». Su questo ci permettiamo di dissentire. I picchi di prezzo energetico e l’inflazione sono problemi strutturali, che certamente si smusseranno nel breve termine, ma che comunque manterranno una linea di crescita ben al di sopra dei parametri che abbiamo conosciuto tra il 2000 e il 2019. Aver quindi destinato circa due terzi dell’intero budget della manovra in via di approvazione a contrastare il caro bollette a favore di aziende e famiglie è significato andare in scia alle scelte di Mario Draghi senza prendere atto che lo schema proposto dall’Europa - per capirsi un price cap che non potrà mai funzionare salvo portare a ulteriore volatilità sui mercati o tagli ai consumi - non potrà mai garantire effetti pratici. Salvo infilare il sistema produttivo in un cul de sac. Salvo, quindi, portare le aziende italiane a chiudere i battenti non potendo più esportare. Vale per l’acciaio così come per tutta l’industria pesante. Se il governo si attende un cambio di prospettiva da parte di Bruxelles rischia di scottarsi e farsi molto male. Ecco, perché da ora dovrebbe dichiarare che cosa avrà intenzione di fare dopo la fine di marzo, quando gli aiuti in manovra saranno esauriti. Possiamo immaginare di fare scostamento di bilancio per mettere un’altra toppa? Per carità si può fare. Ma la verità è che bisogna smettere di intervenire a valle e non a monte rispetto al problema. E il problema si chiama approvvigionamento energetico. Come sostituire il gas russo con altro oro azzurro che costi più o meno la stessa cifra e sia di simile quantità? Il mercato del Gnl non è sufficiente. L’Africa, al contrario, è un continente interessante per l’Italia. Ma non si sta in Africa con la diplomazia dei pasticcini. Si sta là con l’uso sapiente delle forze armate e di un nuovo modello di cooperazione. Bisogna cambiare mentalità e accettare che per avere energia bisogna essere potenze militari. E gestire i propri fondi direttamente, spendendoli solo dove ci conviene. Ogni anno l’Italia stanzia circa 4 miliardi per la cooperazione e lo sviluppo. Il 70% abbondante finisce in canali multilaterali, quali l’Ue, la banca mondiale o Ong che fanno riferimento comunque a Bruxelles. La proporzione va invertita. Roma deve decidere a chi fare beneficenza. Quali tribù sostenere e deve affidarsi di più allo Stato maggiore della Difesa. Se i nostri militari addestrano colleghi africani, bisogna consentire ai nostri generali di gestire i fondi necessari per poi vestire i militari africani. Fornire loro tutto ciò che serve, anche tecnologia condivisibile. Così si creano legami duraturi. Altrimenti noi li addestriamo e poi arriva qualcun altro che li veste e li arma e si becca i benefici. Riteniamo che i temi dell’energia e dell’inflazione siano i veri dossier su cui i politici debbano perdere il sonno. Non ci sono soluzioni facili, ma solo soluzioni di sistema che richiedono tempo e ampia partecipazione, dall’Eni allo Stato maggiore della Difesa, alle imprese fino alla Farnesina. Eppure, nonostante il nostro punto debole sia evidente e scoperto, l’opposizione continua a sollevare polveroni su presunte polemiche con non smuovono la manovra di un euro, né l’attuale crisi di un centimetro. Così l’opposizione batte sul Pos, sul bonus ai diciottenni e via dicendo. Invece che infilare il dito nella piaga del caro energia. Certo, noi sappiamo che, a partire dal Pd, chi sta all’opposizione non può permettersi di criticare le scelte di questo governo sulle misure anti bollette. Non può perché finirebbe con il contraddirsi, ma soprattutto finirebbe con il dover criticare le scelte dell’Europa. Vorrebbe dire per loro ammettere il fallimento della gestione di Bruxelles e al tempo stesso chiedere di imboccare un’altra strada. Ma il Pd dopo aver perso i voti non può permettersi di perdere anche la protezione di Bruxelles.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/gas-e-inflazione-le-vere-emergenze-ma-li-lopposizione-puo-solo-tacere-2658997628.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ricette-e-spid-tanto-caos-per-nulla" data-post-id="2658997628" data-published-at="1671669910" data-use-pagination="False"> Ricette e Spid, tanto caos per nulla La solita tempesta in un bicchier d’acqua all’italiana. Di quelle che accompagnano ogni legge di bilancio ma con l’aggravante, stavolta, che le priorità sono drammaticamente note ai più ma incredibilmente periferiche rispetto al dibattito sul mainstream mediatico. Nel momento in cui bisognerebbe parlare a ciclo continuo di come trovare le risorse per attenuare gli effetti della crisi energetica, che per stessa ammissione di alcuni esponenti dell’esecutivo potrebbero avere il fiato corto, le polemiche che monopolizzano l’agenda politica hanno riguardato prima il Pos e poi la app per gli acquisti culturali dei diciottenni. Che, se non altro, erano questioni reali, su cui maggioranza e opposizione hanno espresso punti di vista divergenti. Il salto di qualità verso la «fuffa» assoluta è arrivato però con le ultime due polemiche in ordine di tempo, perché in questo caso alla base non c’era nemmeno l’annuncio di una possibile misura da parte del governo. Negli ultimi due giorni, infatti, la vis polemica di più di un esponente dei partiti di minoranza si è esercitata nel bersagliare la presunta intenzione del governo di farla finita con le ricette mediche elettroniche e addirittura con lo Spid, il sistema di identificazione digitale che ha avuto enorme impulso nel corso della pandemia. La cosa bella, però, è che la genesi della polemica ha un che di misterioso, poiché agli atti mancano dichiarazioni univoche (e per la verità anche sibilline) di politici di maggioranza che abbiano criticato o le ricette elettroniche o la validità dello Spid. A innescare il cortocircuito forse è bastata qualche affermazione non compresa sul fatto che per le ricette occorreva una proroga, visto che la piena legittimità di quelle elettroniche era stata sancita nel corso della pandemia, essendo i pazienti impossibilitati a spostarsi di persona negli ambulatori per ritirare la ricetta cartacea. Era stata un’ordinanza della Protezione civile a «sdoganare» la prescrizione elettronica (che per alcune fattispecie era prevista già dal 2011) per cui ora serviva un atto del governo per prolungarne la validità. Cosa che è arrivata ieri dal Cdm con l’inserimento nel Dl Milleproroghe della possibilità, ancora per un anno, di ricevere le ricette mediche via mail o sms. Forse è bastato che qualche addetto ai lavori facesse presente da una parte l’esigenza di stabilizzare la misura e allo stesso tempo di prevedere protocolli di sicurezza più severi per evitare la violazione della privacy, per far gridare +Europa e M5s al «ritorno al Medioevo» o alla «guerra al progresso». E c’era già chi, come il candidato del Pd e del Terzo polo alla presidenza della Regione Lazio, nonché assessore alla Sanità della dimissionaria giunta Zingaretti, Alessio D’Amato, aveva già annunciato via social che la sua Regione avrebbe comunque mantenuto la ricetta elettronica, in barba alle intenzioni del governo centrale di toglierla. Ancora più kafkiana la querelle sullo Spid, di cui sono in possesso ormai 34 milioni di italiani, che c’era prima della pandemia e non corre certo il rischio di abolizione. In questo caso c’è chi si è limitato - condivisibilmente o meno - a evidenziare la complicatezza della procedura per ottenere l’identità digitale e per esercitarla, che in effetti non è proprio intuitiva: «Stiamo cercando», aveva detto nei giorni scorsi il capogruppo alla Camera di Forza Italia Alessandro Cattaneo, «il modo di risolvere alcune criticità piuttosto che girarci dall’altra parte». In questo caso non ha perso occasione per farsi notare il ras campano Vincenzo De Luca, che invece ha attaccato coi consueti modi tranchant lo Spid, definito una «bestialità».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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